Intervista a Luca Benni – seconda parte

Venerdì prossimo il festival per il decimo compleanno di To Lose La Track farà tappa a Parma. Intanto gustatevi la seconda parte dell’intervista che abbiamo realizzato con Luca Benni, fondatore dell’etichetta umbra. La prima parte la trovate qui.

Parliamo ora di come è iniziato il tutto. Da dove nasce l’idea di fondare un’etichetta indipendente? Quali sono state le prime produzioni?

Prima ti ho detto che con alcuni ragazzi, quasi tutti miei coetanei della zona, tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 abbiamo iniziato ad organizzare dei concerti a Perugia portando dei gruppi esteri, come gli Owls, cosa che per questo territorio era abbastanza nuova. Le serate non andavano molto bene, però invece di spendere 50.000 Lire dell’epoca per andare a Roma o a Bologna a vedere i concerti, mettevamo la stessa cifra circa e ce li vedevamo qua a Perugia, poi magari veniva anche un po’ di gente e spendevamo anche meno. Dopo un po’ la cosa si è sfaldata, ma nel frattempo avevamo iniziato anche a girare alcuni piccoli festival indipendenti dove suonavano molti gruppi italiani tra cui Altro, Death Of Anna Karina e Fine Before You Came, e questa era una situazione dalla quale l’Umbria era un po’ estromessa. Quindi quando è finita l’esperienza con questi ragazzi a me è venuta in mente l’idea di fare un festival qua ad Umbertide: L’Italian Party. La prima edizione è stata nel 2003, poi piano piano l’iniziativa è cresciuta e venendo a contatto con queste realtà ho anche conosciuto tantissime persone, alcune delle quali ancora oggi lavorano in To Lose La Track, e soprattutto mi sono imbattuto nel “do it yourself”: stamparsi i dischi da soli e poi farli circolare per me è stata una sorta di illuminazione e mi sono detto “perché non lo faccio anche io?”. È iniziata così e ovviamente ero alla ricerca di un nome da dare all’etichetta, pensa che il primo che mi era venuto in mente era “Etichetta Discografica”, una cosa bruttissima in stile metalinguaggio. Quindi pensavo a come fare e mi ritrovai al primo Italian Party con questo gruppo di ragazzi che aveva un nome simile a To Lose La Track per un gruppo che poi non vide mai la luce, quando mi dissero che non lo avrebbero usato gli feci: “Sentite, se questo nome non lo usate, allora lo uso io”. Il nome poi è anche un gioco di parole che si lega a ciò che ci prefiggiamo: l’essere un po’ punk e un po’ sfigati. Le prime uscite sono state principalmente di gruppi locali, anzi la primissima è stata una coproduzione Fine Before You Came/As A Commodore, poi subito dopo i Dummo che era un gruppo di Umbertide. La svolta per l’etichetta è stata con i Gazebo Penguins, quando Jacopo dei FBYC mi ha chiamato e mi ha detto: “Guarda Luca, ho questo gruppo fichissimo, io ci ho anche cantato un pezzo e sono stupendi, ascoltali!”. Io non li conoscevo affatto quindi li ho ascoltati, mi sono innamorato dei pezzi e così abbiamo fatto il disco.

Va detto, infatti, che TLLT produce solamente gruppi amici o con i quali ha un qualche tipo di rapporto, diciamo che all’interno dell’etichetta non c’è il talent scout della situazione.

Esatto. Questa è una cosa che io tendo a ribadire ogni tanto, anche perché ogni giorno apro l’email o Facebook e mi ritrovo decine di richieste da vari gruppi, poi sono anche molto lento a rispondere e rischio di passare per maleducato, però a tutti dico subito che non ci riesco, al di là del piano puramente economico: non è questo il tipo di approccio dell’etichetta. Tutte le persone con le quali ho collaborato sono state persone con cui ho avuto un’interazione diretta. Prendi gli Havah ad esempio: Michele suona anche nella Quiete e nei Raein, ovviamente entrambe le band avevano già le loro etichette, però ci conoscevamo e c’era stima reciproca, quindi quando ha messo in piedi questo progetto me l’ha fatto sentire, mi è piaciuto e abbiamo fatto una cosa insieme. Il tipico rapporto è un po’ questo, non voglio che questa cosa sia un lavoro.

Nel 2010 avete prodotto l’Ep dei Fast Animals and Slow Kids “Questo è un cioccolatino”, che veniva accompagnato da un cioccolatino vero e proprio, in modo che se il disco non piaceva almeno potevi consolarti con il cioccolatino. Questa idea è stata in qualche modo ripresa da “I Soldi Sono Finiti” dei Ministri? E come è nata questa collaborazione?

Guarda per la cosa del cioccolatino bisognerebbe sentire Aimone perché l’idea è stata sua. Per quanto riguarda la collaborazione va detto che li conoscevo da tempo, Aimone tra le altre cose era amico dei Dummo, la band che ti citavo prima. Devi sapere, poi, che per alcuni anni ho fatto il responsabile di Arezzo Wave Umbria a cui loro parteciparono venendo scartati quasi subito la prima volta, mentre il secondo anno che si presentarono, fecero una finale da paura al Norman e tutti furono d’accordo nel mandarli come rappresentanti dell’Umbria al festival. L’etichetta già abbastanza avviata, loro avevano un sacco di date e così abbiamo iniziato a lavorare insieme. In realtà io gli ho dato solo una mano, hanno fatto tutto da soli, anche perché bastava vederli dal vivo per capire che era un gruppo che valeva. Poi hanno fatto il primo disco con la Ice For Everyone di Appino, mentre il secondo con Woodworm e là ci siamo sentiti con Aimone e Marco Gallorini, che è il capo di Woodworm, perché mi piaceva l’idea di poter stampare il vinile di Hybris.

Spesso vi definiscono come etichetta “emo” quando in realtà producete molti altri generi, basti pensare ai Crimea X o ai già citati Havah. In tutti questi anni però non avete mai prodotto un disco Metal, eppure tu stesso hai cantato in un gruppo Metal per un periodo. Come mai questa scelta?

Essenzialmente è un genere che mi ha un po’ stufato, nel senso che a un certo punto non ha avuto più niente da dire. Io continuavo a cantare con questo gruppo perché mi divertivo e ho continuato a farlo fino al 2009, anche se non ascoltavo più Metal. Ad oggi potrei riascoltare gli Iron Maiden perché ci sono legato da un punto di vista nostalgico o posso ascoltarmi i Fleshgod Apocalypse, che sono uno dei pochi gruppi che mi piace del genere. Negli ultimi anni poi il Metal si è molto serializzato e professionalizzato, e questo è avvenuto anche in Italia: tutti suonano in un certo modo, tutti fanno certe cose, mentre quando suonavo io era diverso, era più divertente. Ad esempio i primi esperimenti di etichetta discografica li feci con un altro gruppo Metal che faceva Doom con il quale avevamo fatto una cassettina che scambiai in tutto il mondo e qualche anno fa mi è capitato che gente dalla Polonia, America e Australia mi ha scritto dicendo: “Ah ma tu cantavi in questo gruppo”.

Recentemente hai prodotto anche i Crash Of Rhinos che sono inglesi. C’è l’obbiettivo di espandere la produzione anche all’estero o è stata una casualità?

Fondamentalmente loro sono stati rilanciati in Italia, perché erano amici dei FBYC e quando hanno fatto il disco l’hanno inviato a Jacopo (cantante dei FBYC ndr) che era in contatto con Triste Records di Maurizio Borgogna, la quale ha prodotto il loro primo disco (“Distal” ndr). Nel passaggio tra il primo e il secondo disco l’etichetta ha chiuso, quindi si sono ritrovati con un disco nuovo senza sapere come fare per la distribuzione in Italia, Jacopo ha subito pensato a me ed io sono stato felicissimo di fare questa cosa, anche perché ho adorato il primo lavoro. Discograficamente parlando non è stato troppo rischioso, anche perché in Italia erano abbastanza conosciuti, dato che si erano creati questa base di fan in seguito ai tour sia con i Gazebo che con i FBYC. Il disco è andato bene, quindi mi dispiace solamente che si siano sciolti.

Parliamo appunto di scioglimenti: è chiaro che in questi dieci anni molte band che seguivi si sono sciolte, come hai vissuto queste situazioni?

Lo sciogliersi per una band è normale, quasi fisiologico, ma c’è stata una volta in cui mi sono… “arrabbiato”. È stato con i Distanti: mi piacevano tantissimo. Hanno fatto l’album, l’hanno portato in giro per tre o quattro date, poi fra di loro le cose si sono un po’ alterate e non hanno più suonato. Il tutto è capitato pochi mesi dopo l’uscita del disco, che secondo me era molto bello e non c’è stata quindi la possibilità di farlo girare come meritava, questa è la cosa che forse ferisce di più. Per quanto riguarda i Verme, invece, certo che mi è dispiaciuto ma più per il semplice fatto che ora non fanno più canzoni.

Questo era il penultimo assaggio, prossimamente la terza ed ultima parte!

Francesco Canalicchio