Il 2014 in cinque album


Il 2014 è stato un anno di grandi album. Tante emozioni e puntine di giradischi consumate. Canzoni cantate fino allo sfinimento e balli frenetici, quasi sempre tra le mura di casa in versione Desperate Housewife.



1) Fast Animals and Slow Kids “Alaska”

Un viaggio, questo è per me Alaska dei perugini FASK: un viaggio attraverso delle sensazioni che ti si incollano addosso come il freddo umido e che ti fa scorrere davanti tutto quello che a vent’anni credevi eterno ed imprescindibile e che a trenta ti sembra cosí lontano ed immobile nei ricordi; proprio come l’Alaska, distante kilometri e kilometri e apparentemente congelato nella sua bianca natura. Questi ragazzi non hanno mai smesso di migliorarsi: da quel primo EP (“Questo è un cioccolatino” del 2010) hanno continuato a percorrere la loro strada, affinando testi e melodie, curando la produzione che non è mai invadente, anzi, lascia spazio all’impressione di essere in sala prove con loro e regalandoci cosí quel piccolo gioiello che è quest’album, il loro terzo. Il nichilismo dentro al quale affogano ogni lirica riesce comunque a trasmettere positività, a dispetto di quell’urlo in “Il mare davanti” dove ci dicono chiaramente che “non c’è più speranza”. Sarà così, ma a me il mare ha sempre trasmesso pace e l’idea che tutto torna, come in un cerchio (forma molto cara ai FASK), come la gioia di sentire, non solo con le orecchie, ogni canzone di quest’album… anche se qualcuno non lo ascolterà mai perché oltre allo scaffale della top 20 all’autogrill proprio non riesce ad andare.

2) Jack White “Lazaretto”

Basterebbe il nome volendo, ma questa volta Jack White ha superato se stesso: è riuscito a prendere vari generi apparentemente lontani tra loro e a restituirli agli ascoltatori dopo averli destrutturati e ricomposti secondo la propria personalissima sensibilità e storia musicale. Ha sapientemente rielaborato il suo tanto amato blues, l’r’n’b, il country, il gospel e anche un certo rap stile Beasty Boys. Con questo caleidoscopio stilistico, White va ben oltre la qualità e la ricchezza culturale già sfoggiata in “Blunderbuss”. Valga su tutti il rifacimento di “Three Women”, un vecchio blues di Blind Willie McTell che Jack White non ha semplicemente coverizzato, ma l’ha letteralmente riscritto, catapultandolo nel presente tanto nella musica quanto nel testo (i versi originali “I got three women. Yellow, brown and black. It’ll take the Governor of Georgia, to judge one of these women I like“, qui diventano “I got three women. Red, blonde and brunette. It took a digital photograph, to pick which one I like”). Personalmente fremo già all’idea di quale altro coniglio estrarrà dal cilindro quest’uomo.

3) Caparezza “Museica”

Il Capa non delude mai: con questo lavoro Caparezza ha confermato per l’ennesima volta la sua maestria di paroliere… come se ce ne fosse stato ancora bisogno. I suoi testi, sempre critici e mai scontati, attraverso e grazie ad un viaggio nell’arte, sono l’affresco pungente della società e dei tempi che viviamo. Non mancano i brani autobiografici come “Chinatown” (prego, leggasi “china” come inchiostro e non “China” come Cina), la sua prima ballad e una dichiarazione d’amore per la scrittura e il disegno, e “Avrai ragione tu (Ritratto)” nel quale chiede “scusa ai discotecari, fighetti, politici, elfi, facoceri, gnomi e re” salvo poi ironizzare su tutte queste categorie, sue detrattrici, in “Troppo politico”. CD consumato durante le ferie estive con ripetuti e vari head banging ai quali partecipava anche il cane su “Mica Van Gogh”, il mio pezzo preferito di questo album.

4) Rancore & Dj Myke “Elettrico/Acustico”

Lo so, è contro le regole del gioco mettere in questa classifica un lavoro datato dicembre 2013, ma poco conta quando ci si trova davanti ad orgasmi multipli dati dall’utilizzo della lingua italiana che fa l’mc di questo duo. E con buona pace dei pignoli, il doppio album che raccoglie i primi due lavori di Rancore & Dj Myke (al secolo Tarek Iurcich e Marco Micheloni) precedentemente usciti solo in digitale nel 2010 e nel 2011, ha iniziato a girare nei negozi soltanto a gennaio 2014. La formazione è di stampo classico (un dj producer e un mc), ma la loro formula trova nuove soluzioni stilistiche ben lontane dall’hip hop patinato al quale ci ha abituato MTV. Oltre a graffiare vinili, infatti, Dj Myke infila nelle sue basi suoni elettrici mischiati a chitarre acustiche suonate, mentre Rancore sa far ben mostra di allitterazioni, metafore e giochi di parole, fortunatamente, però, i suoi testi non parlano di soldi, droga o belle fanciulle, anzi, spesso serve più di un ascolto per apprezzare tutto quello che questo rimatore ha da dire. Se come me siete musicalmente onnivori, questo non potete perdervelo.

5) Royal Blood “Royal Blood”

Album di debutto per un duo dell’East Sussex che sa come far incollare le cuffie alle orecchie. Questi ragazzi sono riusciti con una manciata di brani a farsi scritturare dagli Arctic Monkeys, come gruppo spalla per le due date a Finsbury Park (maggio 2014) e soprattutto hanno convinto i discografici della Warner che hanno pubblicato il loro primo lavoro. Batteria e basso, nient’altro, ma non si sente affatto la mancanza di una chitarra. Intendiamoci: non è niente di nuovo, anzi, qua e là si possono ritrovare i White Stripes, i Queens Of The Stone Age, gli Audioslave e anche qualche nota di un Matthew Bellamy senza farsetti e acuti, ma i Royal Blood sanno miscelare bene vari sottogeneri (dal garage all’indie, dal blues al grunge), picchiando quanto basta per cavarne fuori un sano rock basilare che già al primo ascolto diventa una droga.


Manu P.

P.S.: per evitare ripetizioni, ho volontariamente escluso da questa classifica gli artisti scelti nella top 5 dei live e viceversa.