VICTORIA STATION DISORDER: elettronica e oltre

A volte ti capita di vedere una band dal vivo. Ti piace ma poi non approfondisci la conoscenza. Quella musica che hai ascoltato sedimenta, poi parli per caso con una persona, rispolveri la memoria e scopri che quella band è cresciuta. È successo esattamente così con i Victoria Station Disorder che hanno allargato la formazione includendo Alberto Argentesi, per tutti Pernazza, e pubblicando il terzo EP “Non è questo il giorno” (Gente Bella). Abbiamo intercettato Edoardo, Daniele e Tomaso in un assolato pomeriggio per scambiare due chiacchiere prima della partecipazione, il 18 luglio, ad A Night Like This Festival, dove si esibiranno sul Palco del Quieto Vivere.

Dal precedente lavoro “Lift Off” avete cambiato formazione, o meglio avete aggiunto un nuovo elemento. È il sound che ha seguito l’inserimento di Pernazza o è stato Pernazza ad essere attirato dal vostro sound?

Edoardo: “Pernazza è arrivato per caso, ci aveva visto ad un paio di live ed è stato attirato da noi. Si è proposto ed è stato un naturale arricchimento al nostro suono”.

Daniele: “Ha aggiunto qualcosa che mancava. Il suo intervento si sente soprattutto nei testi, che hanno acquistato più spessore. Il suo gusto si è fuso con quello che avevamo già creato noi”.

Tomaso: “Anche se non suona riesce a darci indicazioni giuste, in modo indiretto, attraverso le sue opinioni, si mette in gioco con noi”.

Oggi va molto di moda la parola elettronica, spesso usata a sproposito come succedeva con la parola “indie”. Vi sentite parte di questo “contenitore”?

E: “Lo sdoganamento dell’elettronica non è un fatto negativo in sé. La questione è che è diventata una scusa. È un linguaggio che funziona, viene ben recepito e strizza l’occhio al danzereccio e al festaiolo. È naturale che tutti se ne interessino”.

T: “Questo polverone ci fa comodo”.

D: “La polemica credo nasca dal fatto che l’uso del PC ha moltiplicato le possibilità espressive, per noi è stato sicuramente un bene”.

Come siete arrivati alla scelta di fare il tipo di musica che proponete? Qual è stata la scintilla che ha fatto scattare la chimica del gruppo?

E: “La band è nata nel 2012 e la nostra scelta musicale risente degli ascolti di quel periodo. Una grande influenza su di noi l’ha avuta l’uscita di “Black Rainbow” degli Aucan, e poi Chemical Brothers, Prodigy, Moderat e via dicendo”.

T: “Il primo approccio è stato molto punk, tipico della saletta. Tante jam session fino a che non abbiamo costruito i brani in modo più razionale”.

Quanto conta per voi la dimensione live?

T: “Il concerto è una parte importante, cerchiamo di impostarlo come uno spettacolo totalizzante

D: “Le luci, il fumo, le litigate…

E: “L’attitudine e l’impatto nei live sono molto distanti da quelli di un dj, non facciamo elettronica pura

In Italia ANLTF si sta proponendo come una buona realtà. Cosa ne pensate? Rispetto ad un Primavera Sound, forse il festival per eccellenza, c’è qualche realtà italiana che potrebbe competere?

E: “Il Primavera Sound è unico per una questione di infrastrutture. In Italia abbiamo delle realtà più piccole ma comunque molto valide tipo il Club To Club. Ad ANLTF sono stato a tutte le precedenti edizioni e devo dire che è una bella dimensione, una situazione più intima”.

T: “Il PS è un tritacarne della musica preferisco ambientazioni più raccolte”.

E: “Direi che è più un centro commerciale della musica, hai la tua lista della spesa e corri da una parte all’altra per vedere tutto”.

Ascoltando il vostro ultimo EP sono rimasta colpita dal senso di oppressione che si respira…

E: “Sicuramente non sono brani allegrissimi. La sensazione è data anche dalla formula della ripetizione, in “Uscire di casa” ad esempio le strofe sono molto descrittive, è un’oppressione causata dall’indolenza, dal rigirarsi su se stessi, è una situazione che ti crei da solo. La depressione funziona più o meno così, ti svegli, guardi fuori dalla finestra e semplicemente dici: no”.

T: “Ci sono un sacco di cose da fare se si sta in casa. L’indolenza è una situazione creativa”.

E: “Altri temi sono il fallimento, le dipendenze… “Medusa” è la canzone più d’atmosfera, è una proiezione verso l’esterno”.

A quale, delle vostre canzoni, siete più affezionati e perché

D: “Non ne ho una in particolare ma in questo periodo direi “Prima”. È un brano che ha un messaggio stupendo. Non sarà mai più come prima. Non c’è frase migliore”.

T: “Ti direi “Sotto Controllo” dal primo EP. È strumentale e ricrea il suono giusto della nostra band”.

E: “Per chi ancora” ha un contrato netto tra la melodia e le parole che non lasciano nessuna possibilità di azione. Il ritornello sembra quasi un coro alpino, ovviamente fatto a modo nostro”.

Una cosa che mi affascina è scoprire gli ascolti adolescenziali delle band che intervisto, è una domanda che riserva sempre delle sorprese. Quindi non abbiate timore e svelate i vostri altarini

D: “Ho iniziato verso i 14-15 anni con gli Offspring, poi sono approdato alle band con la chitarra distorta e adesso l’elettronica mi ha portato via da quei lidi anche se nella band suono la chitarra distorta. È un quotidiano scisma”.

T: “Io ho una formazione classica però come ascolti personali ho iniziato da Prodigy, Massive Attack e Radiohead”.

E: “La prima cosa ascoltata consapevolmente credo sia stato Max Gazzè, poi i Clash. Quando ho iniziato a suonare la batteria sono diventato un vero nerd appassionato di tutti quei gruppi con la batteria “difficile” tipo il rock progressive anni Settanta, perlopiù gruppi inglesi come Genesis e Yes, tra gli italiani amavo molto gli Area”.

Soddisfatta delle loro risposte ammetto che anche io ho iniziato ad approcciarmi alla musica con gli Offspring “tanto è una cosa che si supera”.

Amanda