L’intervista a IOSONOUNCANE

In previsione del live che si svolgerà all’A NIGHT LIKE THIS FESTIVAL a Chiaverano (TO) il  18-19 luglio, ho fatto una chiacchierata con IOSONOUNCANE, cantautore sardo poco definibile stilisticamente perchè unico nel suo genere (almeno in Italia). Mescola sapientemente la musica cantautorale a sonorità folk, primitive, minimal, psichedeliche, sperimentali e techno.

Attualmente è in tour con il suo ultimo grande lavoro: “DIE”, frutto di anni di campionamenti, registrazioni e collaborazioni con ben 15 musicisti.

 

– Quali sono le tue influenze musicali?

– Le mie influenze sono tantissime: spaziano dalla psichedelia della metà degli anni Sessanta al cantautorato italiano, senza tralasciare la musica elettronica, la techno, la musica minimale e molto altro ancora.

 

– Come ti immaginavi da ragazzino? pensavi “voglio fare il musicista”? Quale altra occupazione pensavi avresti potuto svolgere?

– Credo che fino ai dieci anni desiderassi fare l’archeologo subacqueo, poi il calciatore e poi dai quattordici/quindici anni in poi il musicista. Alla fine, se ci pensi, sono comunque praticamente un archeologo subacqueo.

 

– Il tuo set attualmente è prevalentemente elettronico. Come sei approdato a ciò?

– Per necessità. Nel 2008 trovandomi solo dopo lo scioglimento del gruppo con cui avevo suonato per dieci anni e  non avendo una formazione da cantautore classico, diciamo che è stato naturale ibridare un set del genere. Oltretutto la mia formazione combacia con ciò che ascoltavo in quel periodo, quando il progetto ha preso il via, ovvero musica elettronica molto sporca, grezza, un tipo di genere che andava molto in voga qualche anno fa. I più noti di questi filone sono gli Animal Collective ed i Black Dice. La mia scelta è stata quindi una necessità dettata dalle contingenze.

 

– Se dovessi pensare a dei progetti futuri, non ti piacerebbe, invece, sperimentare con del cantautorato più tradizionale, utilizzando solamente una chitarra di accompagnamento alla voce?

– Mi è capitato di pensarci come anche ad altre opzioni che potrebbero essere un disco di sole voci,  o percussioni e voci oppure un album orchestrale o altro ancora. Penso che siano tutti dei mezzi e come tali sono funzionali semplicemente a dire qualcosa in una determinata maniera piuttosto che in un’altra.

 

– Parlando del tuo ultimo album, “Die”, che cosa hai cercato di rappresentare e comunicare con la scelta di questo titolo?

– Con questo titolo ho cercato di rappresentare la caratteristica principale del disco, ossia la convivenza e la compenetrazione degli opposti. Tutta l’opera è infatti costruita sia narrativamente che musicalmente su dei poli opposti e archetipici rappresentati dai binomi figura maschile-femminile, buio-luce, mare-terra ferma, dentro-fuori ecc. Anche dal punto di vista musicale convivono elementi differenti, alcuni molto arcaici come il canto tenore sardo, con altri estremamente futuribili come la musica elettronica di per sè, quindi della musica legata alla tecnologia.

“Die”, il titolo del disco, può essere letto in più lingue: in sardo significa giorno mentre in inglese significa morire. Nell’album si raccontano i pensieri che avvengono nella mente  di un uomo e di una donna, in una manciata di secondi, a mezzogiorno, sotto il sole cocente. L’uomo in mezzo al mare teme di morire e non poter tornare a casa. Lei, sulla terra ferma e così distante da lui, nello stesso istante incontra il pensiero di non poterlo più rivedere.

In generale tutta la struttura del disco è ben rappresentata e abbracciata da questo titolo.

 

– Un tema ricorrente nell’album è quello del rapporto tra la vita e la morte. Spesso le persone non riescono a vivere appeno la propria vita ma si limitano a soppravvivere, quindi in un certo senso “vivono morendo”. Ci sono  delle influenze letterarie e/o musicali che ti hanno portato a sviluppare questo tema?

– Mentre lavoravo alla scrittura dei testi ho letto e tratto molti appunti da diverse letture. Per quanto riguarda questa tematica l’influenza principale deriva dallo studio del ciclo di poesie di Cesare Pavese dal titolo “La terra e la morte”. Io non so se si possa “vivere morendo” o “morire vivendo” ma dal mio punto di vista le due cose sono inscindibili: penso che sia proprio nella morte che la vita si rivela nella sua ciclicità ineluttabile.

 

– Come ti prepari per il set ad un live e all’interno di un festival? su cosa punti maggiormente?

– Il live è strutturato con l’esecuzione totale di “Die” con l’aggiunta di uno o due pezzi vecchi. Nel caso dei festival a volte non è possibile eseguire un set del genere  per il fatto che spesso si ha a disposizione un tempo ridotto sul palco. Durante i live, sia per quanto riguarda l’esecuzione musicale che vocale, di trasmettere il tutto al massimo, portandolo al mio limite fisico, cercando di trasmettere al pubblico un’ esecuzione dei pezzi il più intensa possibile. Prima di salire sul palco, inoltre, mi preparo camminando avanti e indietro in maniera ossessiva e provando a gorgheggiare. Istintivamente sono portato a vivere il live quasi come un incontro di boxe, quindi faccio di tutto per arrivare sul “ring” preparato.

 

– Stai attualmente lavorando su dei progetti nuovi? cosa hai in mente per in futuro?

– Ho stilato privatamente un elenco di cose che mi piacerebbe fare. Esiste realmente un file di testo nel mio computer chiamato “Cose che voglio fare” (ride, ndr); il problema è che il mio metodo di lavoro è pachidermico, lento, pesante ed implica una grande quantità di cancellature e correzioni. Non posso quindi promettere nemmeno a me stesso che ciò che ho in programma verrà portato a termine con certezza. Attualmente comunque siamo molto occupati da tutto ciò che ruota attorno all’ultimo disco, uscito il 30 marzo. Si sta svolgendo la prima parte del tour quindi ho in programma parecchie date in giro per l’Italia.

Il tempo che, al momento, mi rimane lo sto utilizzando per trovare nuovi punti di vista da trattare con un futuro disco.

 

Federica Vismara

 

 

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