Shandon: 25 anni on the road, intervista a Olly Riva

È uscito lo scorso 22 aprile Best of 25 Years on the Road la raccolta che celebra il primo quarto di secolo degli Shandon.

20 brani con ospiti musicisti della scena punk-rock e alternativa sia italiana che straniera, per saperne di più abbiamo fatto una chiacchierata con Olly Riva, frontman e anima della band.

Per prima cosa ti faccio gli auguri per questi 25 anni, un bel traguardo.
Poi partendo da un tuo post di qualche giorno fa volevo chiederti come è cambiata la scena alternativa in questi 25 anni? In meglio o in peggio?
Non mi piace fare il disfattista o quello che dice “ai miei tempi era meglio”: all’epoca ci lamentavamo e adesso ci lamentiamo ancora, non è cambiato molto! (ride, nda)
All’epoca ci lamentavamo che la scena non era unita, adesso non c’è proprio più una scena, anche se il mio post non era tanto legato alla scena punk, era più in generale sulla musica alternativa, quella fatta dalla gente che ancora oggi spende di tasca propria per creare a fare uscire nuova musica.
Tante volte si pensa all’ultimo disco, che so, di Rihanna e a quello di una band punk-rock emergente semplicemente come file diversi della stessa piattaforma di streaming, senza pensare alla fatica diversa che c’è dietro a quel prodotto.
E nel post citavo appunto band che si fanno tutto da sole ma non come passatempo, ma musicisti professionisti, che vivono di quello facendo numeri molto più piccoli rispetto a quelli mainstream ma facendo il triplo della fatica per farli e senza avere nessuna tutela.
Quindi mi piacerebbe che l’ipocrisia del “tutto gratis” almeno in questo momento venisse meno: so che la situazione è difficile per tutti, ma io non riesco a mettere sullo stesso piano chi fa concerti in tutta Europa e, non so, l’idraulico che ha fatturato meno.
Soprattutto quando mi sento dire “si ma lui fa un lavoro vero tu invece sei in giro a divertirti”

Forse è proprio un problema italiano quello di non riconoscere tutto ciò che è artistico come una vera professione…
Guarda hai detto la parola chiave: artistico.
Perché il problema è che in Italia tutto quello che è artistico diventa automaticamente di intrattenimento mentre la parola arte noi l’associamo solo a quella dei secoli passati. Non ci rendiamo conto che anche oggi c’è un’arte che potrebbe essere esportata ma siamo rimasti a farci belli della gloria passata.
Io non voglio mettermi sullo stesso piano di un artista del ‘700 sia chiaro, però non accetto neanche che quando uno ha uno strumento in mano allora è lì per far ballare e far divertire: ci sono paesi che spiegano fin da piccoli ai bambini la differenza tra arte e intrattenimento, in Italia se sei su un palco invece devi far ridere.
Avevo fatto anche un altro post qualche tempo fa sul fatto che in questo periodo tutti a suonare sui balconi, le dirette, etc., ma quando c’erano i concerti tutti questi amanti della musica dov’erano? Adesso ti serve la musica per stare bene, per riempire il tempo, per sentirti un artista, ma quando c’erano le alternative invece di andare ai concerti stavi a casa e i locali che fanno musica dal vivo sono con l’acqua alla gola e fanno suonare sempre meno.
All’estero ci è capitato che gente che non ci avesse mai visto live sapesse tutto, comprasse il vinile anche se era un album che già sapeva a memoria e questo perché approfondiscono e gli interessa sapere cosa c’è dietro ad un progetto.

Parlando invece del disco, qual è stato il processo decisionale dietro ai brani?
Il disco inizialmente è nato principalmente per l’estero perché l’anno scorso abbiamo fatto un tour in Francia con i Rumjacks che è andato molto bene e ci siamo un po’ “ingolositi” nel voler far sentire le nostre cose vecchie al nuovo pubblico in giro per l’Europa, quindi doveva contenere solo brani in inglese.
Poi mentre mettevamo giù le idee abbiamo pensato che però fare uscire un best of così senza Viola, Questo si chiama Ska e gli altri pezzi più forti in italiano avrebbe fatto storcere il naso ai fan italiani.
Quindi abbiamo rivisto un po’ il tutto e facendo un sondaggio tra di noi e tra i fan storici sono uscite quelle canzoni lì.

La scelta degli ospiti invece è dipesa dalla canzone o anche da un discorso di possibilità pratica?
No, è stata fatta in base alle canzoni. Ad esempio, nel caso di Noir Vinx dei Vanilla Sky l’aveva già cantata con noi ogni volta che eravamo a Roma oppure a Ketty Passa avevo prodotto un disco anni fa più ska-reggae/funky e quindi le ho proposto una canzone in quella direzione.
Con la Micky degli Shock ci conosciamo da quando aveva 14 anni e già all’epoca si parlava di fare assieme un pezzo hardcore melodico e infatti le ho proposto un pezzo così.
È stata tutto molto naturale perché per la maggior parte parliamo di artisti che sono prima di tutto persone che conosco molto bene quindi il rapporto è stato molto facile.
In un paio di casi, come gli Shinobi Ninja che sono di New York e sono amici soprattutto de batterista, ho ascoltato cosa facevano e ho cercato di associare il loro suono ad un nostro brano.

C’è una canzone alla quale siete particolarmente legati per un qualche motivo?
No, ogni canzone è un po’ “piezz’ ‘e core”. Gli Shandon sono di fatto un mio progetto che ho condiviso con tanti musicisti che sanno benissimo questa cosa ed è facilmente visibile anche dai tanti cambi di formazione: se guardi le copertine degli album non ci sono mai le stesse persone! (ride, nda)
Questo non perché io sia un despota ma perché ognuno ha preso la sua strada e quindi di fatto i miei pezzi preferiti sono quelli legati ad un ricordo o ad una storia particolare, forse Noir e Viola sono quelle un po’ più emotive anche per i fan che mi dicono spesso di aver chiamato la figlia Viola o di essersi tatuati il testo di Noir.

Tra le collaborazioni c’è qualcuna di cui sei particolarmente contento e qualcuna che invece non sei riuscito ad avere o ad inserire in questo best of?
Purtroppo si perchè arrivati a 20 canzoni ci siamo guardati e ci siamo chiesti come avremmo fatto a mettere tutti i brani su un album visto che il vinile ha il limite di avere 25 minuti per lato e quindi dovevamo stare in quel tempo.
Avrei voluto Divi dei Ministri per fare assieme una cover acustica di PNX ma eravamo agli sgoccioli con la deadline di consegna e soprattutto come ti dicevo al limite con il minutaggio.

C’è invece qualcuno che inseguivi da un po’ e con cui questo best ti ha dato finalmente l’occasione di collaborare?
No, però devo dire che queste canzoni, come tutte quelle che registri, sono un po’ come dei tatuaggi: lo fai ma poi ogni volta che lo riguardi vedi magari una linea che non fa schifo e pensi che avresti voluto dire al tatuatore di fare una cosa diversa.
Ecco, è stata un po’ l’opportunità di rifare il tatuaggio senza l’errore e mi ha permesso di far pace con i difetti delle versioni originali, dagli errori di pronuncia agli accordi presi male o cose così.
Quindi riascoltarle oggi, 25 anni dopo senza quegli errori, te le fa voler bene un po’ di più, ma non credo che gli mancasse nulla per essere complete anche prima.

Hai accennato prima ai tanti cambi di formazione e anche tu hai avuto esperienze anche di altre band, qual è il motivo per cui alla fine si torna sempre agli Shandon?
Credo sia una cosa che si chiama nostalgia. Perché la gente, e mi ci metto dentro anch’io, quando va ad ascoltare i Deep Purple vuole sentire Smoke on the water, Highway Star e quando fanno il singolo nuovo poi pensa che non sia male…ma non è la stessa cosa di quelle che ascoltavi a 8 anni!
Quindi c’è la voglia di di rivivere anche un po’ quelle emozioni di quando avevi vent’anni, sia da parte mia che di chi ci viene ad ascoltare che spesso ci dice “mi ricordate gli anni del liceo” e permette al nome Shandon di andare avanti.
Però senza voler essere cinico ma solo realistico, purtroppo pubblico nuovo che si affaccia al genere e rimane sono 1 su centomila.

Come è cambiato il progetto di promozione dell’album a causa dell’emergenza sanitaria e come mai avete scelto di uscire comunque in questo momento?
Diciamo che da una parte ci siamo trovati obbligati dagli accordi con le piattaforme di streaming e dal fatto che il disco fosse già in stampa.
Purtroppo il tour in programma di una ventina di date per questa estate è saltato interamente ma posticipare l’uscita all’inverno o all’anno prossimo per essere più a ridosso dei live avrebbe avuto poco senso.
Dall’altra abbiamo pensato che magari ci sarebbe stata un’attenzione maggiore visto che la gente ha più tempo e cerca sempre nuova musica che in questo momento magari non c’è.
Certo, se prossima primavera dovessimo riprogrammare il tour bisognerebbe vedere un attimo il tutto perché dovrebbe essere comunque quello di questo album.

L’ultima domanda che volevo farti era proprio questa, secondo te quando e in che modalità di potrà tornare a fare musica dal vivo?
Io credo che sia stupido pensare alle vie di mezzo. In primis perché, dispiace dirlo, ma in Italia le regole non sappiamo gestirle né assecondarle: basta una persona che ha bevuto troppo o ha voglia di fare confusione e siamo punto e a capo.
Però finché non ci sarà un vaccino o un qualcosa che permetta alla gente di essere sicura e mettere da parte la paura di uscire di casa, pensare di uscire e andare in un locale…anche no
Posso capire la cosa del drive in ma fino a un certo punto perchè sarebbe comunque strano suonare sul palco con il microfono disinfettato e gli altri intorno a te con le mascherine e la gente sotto nelle macchine.
Però pensare che la normalità possa tornare già in inverno la vedo dura, magari nel resto d’Europa si…ammesso sempre che a quel punto che ci facciano andare e non ci trattino da appestati!