Clio and Maurice: finalmente diamo corpo alla nostra musica

Uno suona il violino, l’altra canta, sembrerebbe un abbinamento impossibile invece Clio and Maurice sono una bellissima realtà italiana.

Coppia nella musica e nella vita, dopo numerose esperienze in giro per il mondo hanno deciso di fermarsi per registrare finalmente i loro lavori.

So che suonate insieme da tre anni ma non avevate mai pubblicato niente, quindi vi chiedo come mai avete aspettato così tanto? c’è stato un motivo che vi ha spinto a compiere questo passo?
Maurice – Bella domanda! abbiamo iniziato a registrare le prime cose con Giuliano (Pascoe, nda) un anno fa. Però volevamo essere “attenti” a come avremmo usato quel materiale, quindi lo abbiamo fatto ascoltare tanto, avuto parecchi feedback.
Uno di questi feedback tra l’altro si è poi trasformato in un secondo intervento che ha dato vita al singolo (Lost, nda) che all’epoca non avevamo ancora registrato.
Da lì altre registrazioni, altri invii, altri feedback positivi e alla fine è stato liberatorio uscire con questo brano e avere un primo riscontro con il pubblico.

Qual è la cosa più difficile di questo progetto così originale?
Clio – Fare le prove…no scherzo, ce ne sono un po’. Far coesistere la convivenza personale e quella artistica, trovare il punto in cui smetti di parlare di lavoro e torni a parlarti come coppia. Anche se poi è una cosa in realtà molto stimolante.
M. – A livello musicale un po’ di difficoltà ci sono state. Ad esempio all’inizio abbiamo avuto l’idea di fare questa cosa violino e voce ma non avevamo ben chiaro come metterli assieme, quindi abbiamo provato tantissime soluzioni diverse e ancora continuiamo a cambiare continuamente soluzioni, idee, attrezzatura, modo di scrivere…è una ricerca continua insomma.

So che avete suonato anche all’estero, è più facile suonare all’estero o c’è comunque un apertura mentale maggiore verso una forma di band non tradizionale?
M. – Fuori non si stupiscono più di tanto di quello che facciamo…ma credo che dipenda dal fatto che l’Italia ha una scena molto forte, molto radicata, di musica pop in italiano che in forme diverse è sopravvissuta fino ad oggi, basta vedere anche Sanremo come si è rinnovato.
Noi non ci connettiamo direttamente con la tradizione, abbiamo altri modelli e quindi non è un discorso di maggior attenzione all’estero per la musica in generale, anche in Italia si stanno muovendo tante cose…sicuramente fuori c’è più attenzione alla musica che facciamo noi.
C. – Abbiamo già notato parecchia differenza tra il primo anno e oggi, c’era una reazione un po’ più stranita inizialmente mentre ora sicuramente meno.
M. – Forse anche perchè abbiamo sperimentato noi su sonorità diverse.

Quali sono i vostri riferimenti musicali con riferimento alla scena più mainstream?
C. – Nell’ultimo anno tantissimo tantissima Rosalia
M. – Si l’album El mar querer in particolare, ma poi un po’ tutta la sua produzione…James Blake che ha avuto questa svolta più mainstream e l’abbiamo ascoltato tantissimo nell’ultimo anno ed è comunque un riferimento per il minimalismo, visto che anche lui è partito da questa idea molto coraggiosa di svuotare completamente le canzoni lasciando spesso questi scheletri di percussioni e di arrangiamenti.
E poi forse non lo è più di tanto oggi ma Bjork sicuramente, anche per la vocalità di Clio.

Come vi dividete il lavoro di scrittura?
C. – Lui si occupa soprattutto della parte strumentale, io mi occupo della melodia della voce e dei testi. Ci influenziamo un po’ a vicenda, però lui è più improntatato sull’armonia anche se io posso dargli delle idee ogni tanto e viceversa lui con la melodia.
M. – Io ho un archivio in continuo aggiornamento di idee che vengono in maniera così, estemporanea, al pianoforte o al violino. Poi faccio una selezione e ci lavoro sopra al computer per l’arrangiamento prima di proporli a lei.
In realtà i brani nuovi sono nati invece al pianoforte e abbiamo inserito la parte vocale prima degli archi: di solito lei arriva con un’idea di testo non troppo strutturata e poi la sviluppa.
C. – Poi dipende, a volte improvviso in inglese su quella che è la linea musicale e quella parte improvvisata diventa parte del brano finale, altre volte invece è solo un’idea che poi si sviluppa in un testo diverso.

Qual è il miglior complimento che vi hanno fatto e la peggior scusa invece che hanno usato per non apprezzarvi?
M. – In Marocco una volta ci hanno detto una cosa che era un complimento ma in realtà era una frase piuttosto forte tipo “si vede che la vostra musica esprime il dolore dell’anima” ed è una delle cose che apprezziamo di più quella di vedere che le persone sono emotivamente coinvolte.
C. – Si, era “ho potuto sentire il dolore” o “sono riuscito a sentire il dolore”
M. – In realtà per entrambi la musica è un po’ un modo per esorcizzare il dolore, una catarsi, quindi il fatto che un’altra persona abbia sentito questa cosa e non nel senso mi avete fatto stare male, mi avete rovinato la serata è come dire…

Una forma di empatia diciamo
M. – Esatto, questa cosa l’ho vissuta e vi ho capiti. La peggior scusa non so…
C. – Forse quando ci dicono “eh, ma non cantante in italiano…” che alla lunga è una cosa che stufa
M. – Anche se suonando da più tempo di lei devo dire che paradossalmente oggi, con molta più musica italiana che va bene, io lo sento dire di meno rispetto non so a 5 anni fa
C. – Allora l’altra è “guarda, se solo ci fossero delle percussioni…”
M. – Io una cosa che non capisco e quando dicono “perchè non mettete gli effetti anche sulla voce”…come se non ce ne fossero già abbastanza!

Progetti per il prossimo futuro?
M. – Abbiamo un po’ di pezzi pronti, ne stiamo finendo di registrare altri due…quindi per ora finire questi e implementarli dal vivo.
Poi organizzare l’uscita dell’EP che abbiamo registrato un anno fa per non metterlo nel cassetto dato che il tempo passa e la musica invecchia…e poi da lì riprendere a suonare per portarlo dal vivo.