Intervista a Giorgio Ciccarelli: l’onestà di dire Non credo in Dio

È uscito lo scorso 3 giugno Non credo in Dio, il nuovo singolo di Giorgio Ciccarelli, seconda anticipazione dal suo nuovo progetto discografico, il terzo da solita di una carriera lunghissima anche come musicista di band (Afterhours su tutte) e al fianco di nomi importanti della musica internazionale (Mark Lanegan, Patti Smith, Mina tra gli altri).

Abbiamo colto quindi l’occasione per fargli qualche domanda e come prevedibile, partendo dal singolo, sono emersi diversi aneddoti, spunti e riflessioni interessanti che trovate tutti in questa ricca intervista.

Non credo in Dio è l’ultimo, in ordine di tempo, capitolo di una carriera molto lunga e diversificata. C’è un’esperienza che ritieni particolarmente importante per la tua crescita artistica?

Tutte le esperienze che ho fatto sono state importanti e mi hanno portato ad essere quello che sono e che faccio oggi. Tutte le persone, i musicisti, gli artisti con i quali mi sono confrontato negli ultimi 35 anni mi hanno “regalato” qualcosa, dai più noti, come Mark Lanegan, ai meno noti come ad esempio Luca Pastore e Roberto Rabellino dei Fluxus, con i quali mi onoro di aver messo su un gruppo, i Maciunas, che per me ha significato molto.
E ti dirò che sono artisticamente cresciuto anche misurandomi con artisti con i quali, umanamente, avevo veramente poco a che fare…
Insomma tutto è stato estremamente importante per me e tutto mi ha aiutato a crescere dal punto di vista artistico.

Come tu stesso hai dichiarato la fede in Italia è sempre un argomento delicato da toccare, nonostante sia forse uno degli aspetti su cui c’è più ipocrisia tra vissuto e dichiarato. È anche un modo per prendere le distanze da quel tipo di ipocrisia?

Sì, lo è. L’ipocrisia è una cosa che reggo proprio poco. Come ormai è chiaro, io non credo e non è che non credo per presa di posizione politica o ideologica, non credo perché non riesco a credere. Mi piacerebbe affidarmi e pregare in qualcosa di superiore, ma ciò va oltre la mia comprensione.
Questo, ovviamente, non significa che io non abbia dei principi morali ed etici che mi guidano e che cerco di rispettare in ogni momento della mia vita (ricordi Kant? Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me…). Se uno si dichiara credente, va a messa tutte le domeniche, fa fare battesimo, comunione e cresima ai suoi figli, poi dovrebbe anche mettere in pratica, nel quotidiano, i principi che sono alla base di quel credo.
Invece mi pare che in tanti casi questo non avvenga. Dai rappresentanti politici, ai cittadini comuni … l’atteggiamento ostile verso i migranti è solo uno dei più eclatanti esempi di questa ipocrisia

Uno dei temi del brano è anche la rabbia, rivolta però verso se stessi e non contro appunto una divinità in cui non si crede. Il messaggio è quindi un po’ anche quello di responsabilizzarsi e rimboccarsi le maniche senza trovare scuse “esterne” a noi?

Sì, penso che ogni cosa che facciamo abbia conseguenze di cui poi, nel bene e nel male, ci dobbiamo prendere la responsabilità. E parlando di rabbia, penso che sia un sentimento che se sai gestire bene, è utile e costruttivo, soprattutto se è una rabbia “sana” di quelle che, come dici tu, ti portano a rimboccarti le maniche per puntare direttamente e caparbiamente al tuo obiettivo, evitando, appunto, di accampare scuse “esterne”.
Inoltre nel testo si parla di quanto la rabbia sia un sentimento umano, di come sia paradossalmente giusto averne e che ha bisogno del suo tempo per essere smaltito.

Al testo ha collaborato Tito Faraci che per me cresciuto con Topolino è un nome familiare in quanto appunto autore di diversi fumetti, non solo Disney. Come è nata la collaborazione con lui e cosa ha portato di diverso rispetto ad un professionista della musica? È stato difficile collaborare su un tema così particolare?

La collaborazione con Tito è nata in modo casuale e spontaneo. Io e Tito ci conosciamo da più di 30 anni. Ci siamo frequentati nella Milano anni’80, quando era tutto un fermento di band, di incontri,  di concerti fatti e ascoltati qua e là. Abbiamo condiviso musica, amicizie e anche qualche vacanza fatta come la si faceva in quegli anni: parti in autostop e vai!
Tito all’epoca non aveva ancora preso la strada della scrittura per fumetti, scriveva, sì, ma su una fanzine (e già solo questo termine la dice lunga sugli anni che sono passati) musicale e suonava le tastiere nei Litania. Poi ci siamo persi per diversi anni, senza un motivo particolare. Abbiamo preso strade lavorative che non ci hanno fatto più incontrare.
Fino a una sera, nel backstage di un concerto (una reunion di una band in cui suonavo, appunto, negli anni ’80), ci siamo incontrati, ci siamo raccontati le nostre vite da dove ci eravamo lasciati e ci siamo ritrovati come se fossero passati non più di due giorni dall’ultima volta in cui ci eravamo visti! Qualche giorno dopo gli ho scritto un messaggio per proporgli di scrivermi i testi. Ero in un periodo non brillante e non riuscivo a tirar fuori niente di interessante da quello che scrivevo io. Ha accettato subito ed eccoci qui al terzo disco insieme.
Cosa ha portato di diverso rispetto ad un professionista della musica? Be’ sicuramente un’attenzione particolare all’uso delle parole, Tito è un professionista della metrica, si accanisce su cose che per quelli che chiamiamo “professionisti della musica”, hanno un senso relativo, cerca connessioni tra i vari brani, come se ci dovesse essere un filo conduttore nei diversi testi che si scrivono per le diverse canzoni e si arrovella per trovare soluzioni alternative al solito testo italiano . È questo che mi affascina e mi ha sempre affascinato nella scrittura di Tito.
Per quanto riguarda questo tema in particolare, no, non è stato difficile, anzi, ci siamo trovati immediatamente d’accordo e in piena sintonia. Tutto è nato da un’intervista a Ricky Gervais in cui l’argomento era il suo ateismo agnostico. Ci siamo confrontati su questo tema ed eravamo sulla stessa lunghezza d’onda e da lì è partito tutto…

Nella produzione invece si sente la mano di Stefano Keen Maggiore, abituato a collaborare con artisti originali e dissacranti (come Immanuel Casto e Romina Falconi, nda). È una scelta dovuta anche a questo, visto il titolo del brano, o soprattutto legata al tipo di sonorità ricercate?

Guarda, tutto è nato a causa di questa maledetta pandemia. Per quanto mi riguarda, ogni mia problematica si è azzerata e il pensare in maniera diversa, il tentare di rimettersi in gioco reinventandosi, è stato per me un bisogno impellente e necessario.
Sono partito da questa premessa per affrontare il nuovo disco e per cercare di soddisfare questo bisogno, mi sono avventurato in sentieri da me finora poco battuti. E Stefano Keen Maggiore ha rappresentato per me l’opportunità di solcare questi sentieri in modo consapevole e personale, ha vestito i brani come io non avrei mai pensato di fare e il risultato per me è davvero notevole…

La copertina del singolo, che poi riprende lo stesso disegno del precedente Conto i tuoi passi, è di un altro grande del fumetto, Milo Manara. C’è un significato che si può svelare in questo disegno? Sei un appassionato di fumetti?

Inizio dal fondo, i fumetti hanno rappresentato molto per un certo periodo della mia vita e confesso di appartenere alla vecchia scuola, per cui Andrea Pazienza, Milo Manara, Tanino Liberatore, Max Bunker, Magnus, Bonvi, Tamburini (Rank Xerox per me è inarrivabile) e certo fumetto politico, Frigidaire, Il Male, Cannibale, Linus e Alterlinus sono le cose che preferisco e ho sempre preferito. Poi Tito mi ha fatto entrare in un altro mondo e mi ha fatto conoscere e scoprire nuovi autori e nuovi disegnatori davvero in gamba, ad esempio quelli che  hanno partecipato alla lavorazione del libretto contenuto nel mio primo disco “Le cose cambiano”. Addirittura con due di loro (Paolo Castaldi e Claudio Sciarrone) ho organizzato concerti con live paintings che mi/ci hanno dato parecchie soddisfazioni.
Come ti dicevo, Milo Manara rappresenta il mondo del fumetto che ho sempre apprezzato e il fatto di associare il mio nome al suo, è una cosa che mi riempie d’orgoglio!
La copertina non è stata disegnata apposta per il disco ma è una tavola contenuta ne Lo Scimmiotto, un fumetto uscito nel 1976 e liberamente ispirato ad un classico della letteratura cinese: Il viaggio in Occidente. È successo che Tito stava appunto curando una nuova edizione de Lo Scimmiotto e me lo ha fatto rileggere. Io l’ho trovato davvero stupefacente, mi ha sorpreso fosse stato disegnato nel 1975, il tratto così attuale e il concetto espresso dal fumetto stesso, mi sembrava si sposassero perfettamente con le tematiche contenute nel disco e da qui è partita l’idea di chiedere a Milo il permesso di usare una sua tavola. Ho scelto proprio la tavola dello Scimmiotto che sta per scrivere, perchè ci ho visto l’idea di un inizio nuovo e insieme anche di un ripensamento di qualcosa che è stato, di un pensiero che si fa parola insomma ci ho visto qualcosa di potente, a ben guardare anche qualcosa che può adattarsi a questa situazione di (quasi) post-pandemia in cui dovremmo (speriamo che sia così) iniziare a riscrivere una nuova pagina della nostra storia

Questi due singoli anticipano il tuo terzo album solista, puoi anticiparci qualcosa in merito? Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sì, uscirà un nuovo album in autunno e s’intitolerà Niente demoni e dei. Sarà un album molto compatto ed influenzato da un certo tipo di elettronica; sarà scuro, a tratti addirittura cupo, sicuramente rifletterà sia musicalmente che testualmente l’anno e mezzo di delirio che abbiamo e che stiamo passando.
Il mio progetto prossimo venturo è solamente uno, suonare dal vivo!!! L’ultimo mio live, risale a febbraio 2020…