Intervista ai Keemosabe, la band italiana che suona british

In occasione del loro live al Serraglio di Milano abbiamo fatto quattro chiacchere con Alberto, Pino, Sebastiano e Andrea ovvero i Keemosabe.

Partiamo dal nome, ho letto che Keemosabe è un nome di origine indiana pellerossa: avete una particolare passione per questa cultura o è stata una cosa così, un po’ casuale?

Alberto – Sicuramente non è una scelta culturale, nel senso è una cultura che apprezziamo molto ma perché nel momento in cui ci siamo formati eravamo in questo luogo molto bucolico in cui abbiamo proposto i primi pezzi e c’era quindi questa vicinanza alla natura che è alla fine uno dei principi cardine delle religioni delle tribù native americane. In realtà poi è saltato fuori in modo casuale però si allacciava anche molto bene al contesto da cui eravamo partiti e quindi abbiamo scelto questo nome che aveva proposto Andrea.
Poi abbiamo scoperto essere uno nome molto usato in America perché c’era un personaggio della serie tv The Lone Ranger (poi ripresa nel film di Verbinski con Johnny Depp, nda) ovvero Tonto che chiamava tutti i suoi amici Keemosabe e per questo negli Stati Uniti tutti gli over 50-60 sanno cosa significa essendo cresciuti con questa serie.
Anzi in America se usi la parola in amicizia devi anche stare attento perché potrebbero prenderla come una mancanza di rispetto verso la cultura dei nativi

Adesso voi vivete In Italia, so che avete vissuto all’estero, soprattutto a Londra: dove si vive meglio musicalmente parlando? E soprattutto c’è una differenza?

Andrea – Enorme, c’è tanta più gente, tanta competizione in più però comunque l’Italia in questo momento è viva dal punto di vista musicale non è così brutta come situazione.

Sebastiano – C’è fermento artistico anche in Italia in questo periodo

Alberto – Si, per noi poi è un po’ diverso perché facciamo un prodotto che forse è più rivolto all’estero sia perché cantiamo in inglese ma anche per il genere quindi ovviamente è una sfida in più riuscire ad emergere facendo un qualcosa che non è prettamente radiofonico, che magari potrebbe esserlo all’estero ma in questo momento ovviamente in Italia non ha una speranza di diventare un genere mainstream sicuramente. Però se siamo qua stasera vuol dire che la gente dal vivo questa roba la vuole ancora vedere e soprattutto se gli artisti anglofoni continuano a venire in Italia a fare sold out sicuramente c’è un pubblico in Italia che vuole quello. Ovviamente la sfida è capire se il pubblico vuole quello fatto da italiani, quindi dobbiamo essere convincenti noi, però finora ci sta piacendo la risposta.

Pino – Il vantaggio di Londra sicuramente è che essendo di più grande suoni tutti i giorni: cioè il lunedì potenzialmente è uguale al venerdì e al sabato

Alberto – Sì anzi a volte per noi a volte era meglio fare concerti quasi infrasettimanali o pomeridiani, come abbiamo fatto un sacco di volte, nel senso che essendo una città immensa rispetto a Milano magari ci sono 50 concerti ogni sera, quindi ovviamente se tu puoi vai a scegliere date nel weekend essendo emergente è molto più probabile che magari i tuoi possibili fan siano a vedere eventi più grandi.

Sapete già che vi tocca una domanda su X-Factor, quindi ce la togliamo subito. Anzi in realtà le domande sono due. La prima è legata appunto al cantare in inglese, lì invece vi siete presentati con un pezzo in italiano inizialmente (Roma Stasera di Motta, nda): c’è una volontà per il futuro di spostarsi anche sull’italiano o era legato poi a quel contesto li in particolare?

Andrea – No, non c’è al momento l’idea di fare qualcosa madre perché non è quello da cui siamo partiti e quindi non è un progetto che stiamo discutendo. Ci siamo presentati con dei brani con un brano in italiano perché…

Sebastiano – …fa parte del gioco e quindi abbiamo voluto affrontare anche la sfida di approcciarci all’italiano. Anche perché sapevamo già che una delle critiche poteva essere “si ok, ma in italiano fanno qualcosa?” e quindi ci siamo tolti subito questo problema

Andrea – poi alla fine è un bel pezzo, ci piace Motta…quindi perché no?

L’altra domanda è se avete continuato a seguire X-Factor anche grazie a delle amicizie o dei rapporti che possono essere stati coltivati oppure è una cosa che avete abbandonato completamente.

Sebastiano – Assolutamente sì, quello che ci siamo portati più a casa dall’esperienza di X-Factor è stato il contatto con gli altri artisti. È stato un buon modo per trovare talenti, magari sconosciuti, super emergenti come noi ma che hanno qualcosa da dire e soprattutto si è creato con alcuni un rapporto che è proseguito fuori.

Pino – Sì forse è stata forse l’esperienza più bella quella di stare con gli altri musicisti, eravamo alloggiati tutti nello stesso albergo quindi abbiamo passato tanti bei momenti tutti assieme, è stato veramente bello. Poi adesso grazie a Instagram puoi rimanere in contatto con tutti quindi ci si scrive sempre…è stato figo.

Andrea – Però che io sappia non abbiamo continuato a guardarlo, forse giusto qualcuno i riassunti…ma non ci esprimiamo!

Voi scrivete tutti i vostri pezzi, chi scrive cosa?

Andrea – Alberto testi e principalmente musica di questo album, ma in realtà le musiche sono cambiate tanto negli anni, al punto che fino all’anno scorso c’erano brani che suonavano in un modo e poi li abbiamo rivisti insieme e stravolti

Alberto – L’idea è sempre molto democratica, portare qualcosa in sala prove e lasciarla evolvere rispetto anche alle inclinazioni o alle influenze di ognuno di noi e non fermarci mai a un genere perché è quello che dobbiamo fare. Anzi in tanti ci dicono che siamo troppo aperti nel senso che ogni due mesi magari cambiamo idea su qualcosa e vogliamo riarrangiare un pezzo quindi è veramente sempre un discorso in evoluzione.
Adesso stiamo finendo di registrare il primo disco e quindi sarà bello vedere cosa arriverà dopo dato che probabilmente sarà un processo creativo completamente diverso. Magari lo scriveremo tutti assieme, magari partirà da generi opposti quindi è una bella sfida per noi perché la sala prove è proprio il momento in cui succedono cose che non ci aspettiamo.

Sebastiano –  Ma poi è anche un po’ una necessità per noi cambiare, evolverci mano a mano, perché ci reputiamo una band da live show e quindi ogni volta che ci troviamo a suonare in una situazione diversa magari ci nasce proprio l’interesse nel dire “ok, come rendiamo questo brano che già facciamo da diverse date? Come lo rendiamo diverso?

La domanda che vi stavo per fare era appunto sul discorso live, quindi ci sarà poi un cambiamento tra quella che sarà poi la versione in studio e quella invece è la versione live dei brani

Alberto – si, assolutamente si, anche perché è proprio la cosa su cui puntiamo di più in assoluto. Anche solo quando sappiamo che abbiamo fan che ritornano ai concerti, è bello dargli qualche novità qualche cosa di improvvisato. Ogni live cerchiamo sempre di pensarlo come se fossimo noi gli spettatori cosa ci piacerebbe trovare. Soprattutto adesso che suoniamo da un po’ gli stessi brani, che saranno poi quelli dell’album, puntiamo proprio ad avere un live dinamico in modo da invogliare la gente a uscire di casa. Anche perché se noi salissimo sul palco semplicemente a riprodurre il disco, come fanno per altro tanti artisti, perderemmo l’essenza della band.

Pino – Anche perché è nata prima la band dal vivo e poi in studio

Andrea – Poi se sei i Pink Floyd magari la gente viene e vuole sentire proprio quella roba lì com’è sul disco. Noi che non abbiamo né la fama  né i mezzi in studio dei Pink Floyd pensiamo sia bello dare sempre qualcosa di diverso: fai una figata in più…fai l’assolo in un altro modo… il pezzo totalmente diverso a seconda dell’ambiente, quindi magari in radio più piccolo ed elettronico invece sul palco più rock, più spinto…dipende come ci gira quella settimana e soprattutto dipende dal luogo in cui sappiamo di andare a suonare.

Nuovo album in uscita quando?

L’anno prossimo…

Ok ho visto le facce da “non si può dire niente” quindi non indago oltre, però raccontatemi qualcosa, quello che si può dire…chi vuole prendersi questa responsabilità?

Andrea – è un bel album…

Sebastiano – … a mamma piace

Andrea – Ecco si, a mamma piace quindi già una ce la siamo portati a casa

Alberto – No seriamente, è un album che abbiamo fatto tanto per i fatti nostri nel senso non abbiamo pensato a un pubblico di riferimento, non abbiamo pensato a giudizi esterni, è voluta essere proprio una cosa che piacesse a noi e che rappresentasse quello che abbiamo fatto negli ultimi anni come la chiusura di un ciclo. E secondo me lo è stato.
Poi oltretutto l’abbiamo registrato alla Sauna Recording Studio in provincia di Varese che ha uno studio prettamente vintage come attrezzatura, molto intimo. Secondo me sta uscendo tanto la cosa di noi come band da questo disco che è quello che volevamo. Poi magari ci sarà tempo per i dischi ultra prodotti, mega arrangiati, con i singoloni elettronici…vedremo. Però adesso questo volevamo che fosse proprio la chiusura di questo ciclo.

Ho visto che c’è anche qualche vostro brano remixato in maniera più elettronica… è una direzione che vi interessa o è rimasta al momento solo come esperimento?

Sebastiano – Siamo aperti a collaborazioni. Ci fa sempre piacere sperimentare, quindi perché no?

Alberto – Poi essendo una band è chiaro che diventa difficile mischiarlo con quello che è il mondo elettronico, però ci stiamo provando a modo nostro. Abbiamo amici, collaboratori che lavorano proprio più nel settore diciamo della produzione di musica elettronica, DJ, eccetera ed è bello entrare in sala prove insieme a loro e vedere cosa esce.
Le cose che magari hai sentito per la maggior parte sono state registrate nel nostro studio casalingo insieme a questi musicisti, quindi l’idea era proprio di mettersi lì e di suonare il brano con una persona in più, che porta tutto un altro bagaglio di esperienze, ed era bello vedere come reagiva con noi a questo. Quindi si, anche quello è uno dei tanti esperimenti che ci interessa fare.

Un’ultima cosa a questo punto visto che il disco non si può dire nulla, non vi chiedo se ci sarà una promozione live anche se penso di si. Vi chiedo invece quali sono i vostri progetti oltre all’uscita di questo album.

Andrea – Farne un altro. Ma magari anche un altro paio perché no. Dovremmo iniziare a “figliare” un po’ di più in questo senso perchè questo album è stato bello lungo e bello sentito ed è stato necessario anche per affermarci a livello personale, anche tra di noi. Quindi adesso che abbiamo capito un po’ come funzionano le cose, sarebbe bello fare un altro, farne altri due, farne anche dieci se ce ne vengono dieci.

Siete comunque per l’idea dell’album quindi come concetto e non per i singoli sparsi e poi eventualmente l’abum come “raccolta”

Pino – L’album è come un quadro e una la canzone è solo un pezzo, una parte del quadro. Quindi se tu ascolti una canzone, hai visto e hai capito solo quella parte del quadro, perciò l’album va sentito dall’inizio alla fine proprio perché può raccontare una storia, un concetto che il solo singolo non può darti a pieno.

Andrea – Poi se capita il singolo che si sentiamo di tirare fuori da solo perché no…

Alberto – Io ci rifletto spesso e penso come sia paradossale che ormai siamo abituati a vedere serie TV da 87 stagioni con episodi che durano 2 ore l’uno e poi non siamo in grado di ascoltare 40 minuti di fila dello stesso artista. È incredibile.
Quindi il nostro obiettivo a lungo termine è quello di provare a riportare l’ascoltatore a quel tipo di ascolto.
Però bisogna anche fare i conti con le esigenze dell’industria discografica quindi non possiamo sapere neanche noi come andrà: se ci verrà imposto di fare dei singoli in quel caso proveremo ad esprimerci con i singoli.
Se invece avremo la possibilità di continuare come stiamo facendo, quindi di registrare in casa tra di noi la versione embrionale dei brani, vivendo i nostri luoghi e le nostre esperienze, e poi riversare tutti in un disco intero…beh sarebbe bellissimo, però allo stato attuale ci teniamo veramente aperte tutte le possibilità.

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