Echi elettronici per fuggire “Fuori dalla giungla”: il nuovo album dei TERSØ, fuori dal 22 febbraio

Chi, come me, è un amante della natura e dell’armonia con essa, che cerca di recuperare ritenendo che un ritorno alla natura sia necessario, non può non accogliere bene questo lavoro della band bolognese TERSØ, ovvero Fuori dalla giungla, in uscita per Vulcano il 22 febbraio 2019, anticipato dal singolo Lynch ascoltabile su Spotify.

Dopo il debut EP L’altra parte, che ha conquistato pubblico e critica e il cui primo singolo estratto Non mi sento, uscito in anteprima su Rolling Stone, ha portato la band a intraprendere una lunga serie di live fino alla recente apertura dei concerti di Frah Quintale e Cosmo, sono arrivate recensioni positive anche da riviste come Internazionale e Rumore e l’EP è stato inserito nella Top It 2017 di Rockit con il secondo singolo I semafori in centro.

Ma perché parlare di un ritorno alla natura? Nel senso di un ritorno alla purezza dell’anima, che solo con una certa sensibilità si può recuperare, sotto la coltre di elementi della quotidianità che la ricoprono. Questo è il vero significato del ritorno alla natura. Non a caso qui si parla di giungla e la maggior parte delle canzoni hanno titoli che evocano figure appartenenti al mondo animale o vegetale.

Il richiamo forte alla natura o a suoi elementi, non è affatto in opposizione all’artificio e allo stile futuristico in musica, ma al contrario è reso molto bene dalla musica elettronica (come ci ha insegnato ad esempio Bjork) o ambient (come indica il termine). Anzi, forse questo binomio tra elettronica e naturalismo funziona bene proprio per l’accostamento tra idee apparentemente antinomiche.

In questo caso però il riferimento è molto concettuale e appena accennato: la giungla è la foresta impervia, piena di animali feroci e selvatici, un sottobosco che inghiotte e intralcia, pericoli e assenza di luce, che non riesce a penetrare la vegetazione fitta. La giungla è la quotidianità, il buio e la banalità della routine, la vita di tutti i giorni che sommerge e oscura la vita vera con il suo potenziale.

Per opporsi a una “natura” (che in realtà natura non è) nemica dell’uomo, bisogna allora tornare all’essenza più selvaggia e più vera, per cercare di liberarsi e uscire da questa giungla e proseguire verso la radura, alla ricerca della luce.

Le canzoni del disco sono quindi nove reazioni, nove modi diversi per uscire da questa situazione opprimente della giungla.

Le Frasi è la canzone di apertura, una sorta di manifesto il cui ritornello annuncia l’intento di andare “Fuori dalla giungla” come indica il titolo dell’album. Ma le sonorità elettroniche della base fanno capire che siamo ancora dentro, che bisogna compiere un viaggio metaforico seguendo la luce che filtra dalle chiome degli alberi, attraversando la fitta giungla di situazioni di stallo, stranezze e idiosincrasie della quotidianità, dall’assurdità degli specchi nei camerini dei negozi di vestiti che ci fanno sembrare più magri ai gps dei telefoni che dobbiamo attivare per scaricare le app che ci servono, il tutto descritto con frasi poetiche.

La seconda canzone è Lynch, primo singolo estratto, che nomina il regista celebre per la follia compositiva e l’imperscrutabilità interpretativa, perché come guardando un suo film, spesso ci troviamo a “non capire niente”.

Il ritmo cresce e diventa più trascinante, nonostante la voce narrante nel ritornello annuncia “io stasera non esco”, nel brano intitolato indicativamente Stramonio, nome della pianta magica conosciuta come “erba del diavolo” o “erba delle streghe”, per il suo potere allucinogeno, giocando sul confine tra realtà, immaginazione e percezione alterata di quello che si vive in un rapporto sentimentale.

Lo stesso discorso continua con Sembra in cui sembra che all’inizio tutto sia disturbato dalle irregolarità sonore, che poi però prendono il via con l’aumento della velocità, come una macchina che si mette in moto e fa girare i suoi ingranaggi e così quelle che prima sembravano irregolarità assumono invece un ritmo incalzante e inquietante al tempo stesso.

Più adatto al testo e alla riflessione sulle situazioni sentimentali, il suono di Le promesse, una denuncia di quelle situazioni accettate come “normali”, perché ci siamo abituati, ma che non lo sono affatto; è comunque presente un certo ritmo movimentato, e i cui echi finali assumono un tono interrogativo, come a indicare qualcosa che non va.

Dopo la Metamorfosi, una creatura è rigenerata, e diventa qualcos’altro, le cose non finiscono ma si trasformano.  Musicalmente emerge la complessità che inevitabilmente ci permea, fa parte di noi, tanto che si può dire che “siamo noi le metamorfosi”.

Più semplice, anche per dare risalto al testo molto profondo, il contorno, comunque evocativo, di Petali, in cui si percepisce la forza e la resistenza dei petali di ciliegio, nati nel passaggio dal freddo dell’inverno alla primavera e che assomigliano alla neve, rendendo l’idea del sentirsi fuori stagione.

Le Libellule fanno parte di quell’insieme di cose che volano leggiadre quasi senza che ce ne accorgiamo, quasi a voler “fare finta di niente”. Un testo senza una struttura vera, immagini e usanze, previsioni su quello che succederà e che non potremo controllare e le cose che, invece, dobbiamo decidere.

Infine compare La tigre bianca che su un tappeto sonoro vagamente esoterico steso sotto le sue zampe, si muove lentamente insieme alle parole di questa canzone che nei punti centrali evidenzia ancora di più le frasi ripetute dalla cantante Marta Moretti e nel finale si addensa come in un turbine. Nata come improvvisazione, tutte le parti che la compongono sono state improvvisate e registrate al momento. Il testo richiama immagini assurde di sogni fatti veramente che si sono rivelati premonitori, dimostrando che l’assurdo a volte (o sempre?) si rivela avere ragione.

Complessivamente è un album interessante soprattutto per le atmosfere che è in grado di evocare, tramite pulsazioni e synth eterei, tra i quali la voce di Marta Moretti si inserisce perfettamente. Perturbante.