MURUBUTU fa piovere: nessuno muore nel suo ultimo album!

Una danza della pioggia del Marabutto? No, piuttosto una cronistoria crononautica da romanzo di fantascienza con ambientazioni quasi steampunk; questo è il nuovo concept album del rapper e professore di storia e filosofia di liceo Alessio Mariani noto come MURUBUTU, il cui nome d’arte deriva proprio dalla figura del Marabutto, ruolo della cultura africana sub – sahariana dotato di poteri particolari.

Conoscendolo (ne abbiamo parlato più volte, vedi qui) e vedendo il titolo dell’album, Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali, in effetti ci si poteva aspettare una sorta di danza della pioggia magari riprendendo musiche tribali e sciamaniche; invece in questo disco, a differenza dei precedenti, l’uso di un elemento o fenomeno naturale, con la fascinazione poetica che può evocare, fa più che altro da sottofondo della narrazione.

Qui la pioggia rappresenta più che altro lo scorrere del tempo, incessante come il ritmo delle gocce che cadono e che nella base del primo singolo lanciato, Black Rain, addirittura sono al tempo stesso evocative del tic tac di lancette, tanto per rendere l’idea.

Quindi siamo di fronte a un lavoro nuovo per il rapper professore di Reggio Emilia. Infatti tutto è partito dall’idea di un album incentrato su viaggi nel tempo e universi paralleli e solo successivamente, per via del tema eccessivamente complicato da rendere, è subentrato l’adattamento al tema della pioggia.

Nel complesso si tratta di un album con meno parole da divoratore di vocabolari, più accessibile, più letterario nel senso stretto e, nello specifico, di un ramo della letteratura attinente alla narrativa fantascientifica con una visione più cinematografica e meno descrittiva, pur conservando la presenza dello storytelling tipico del professore.

Dal punto di vista della forma presenta più sonorità hip hop, alternate a reggae e cori soul, con un vestito più pop; le produzioni di James Logan, Gian Flores, XXX Fila e Red Sinapsy, con gli scratch dei turntablist Dj FastCut e Dj Caster, suonano più moderne, accostabili all’hip hop ma anche alla drill e alla trap e il flow di Murubutu  è caratterizzato da maggiore velocità e tecnicismo, ma anche molto più tendente al cantato e al melodico.

E soprattutto, a conferma di un cambiamento evidente c’è un elemento che balza agli occhi (o meglio alle orecchie) degli ascoltatori più affezionati, abituati a storie tristi e commoventi e finali strappalacrime, spesso dovuti alla morte di qualche personaggio: udite, udite!… In questo album non muore nessuno! 

Vediamo i vari brani nel dettaglio.

Si parte per questo viaggio con un elemento di conferma dell’imprinting poetico di Murubutu, un’Ode alla pioggia. Ma dalla splendida produzione di DJ Caster si nota già in questa prima traccia introduttiva un altro elemento ricorrente che però qui incontra un’evoluzione: l’aumento vertiginoso e potente degli incastri, dell’extrabeat e del flow velocissimo, dimostrando di non avere niente da invidiare sul lato tecnico a rapper più giovani e che solitamente privilegiano la forma rispetto ai contenuti.

Da notare il suono della pioggia come collegamento tra una traccia e l’altra, riprendendo questa sua tradizione di caratterizzare così i suoi concept album (i primi concepiti come libri, quindi utilizzando il rumore di pagine sfogliate, i successivi con il suono degli elementi naturali che di volta in volta rappresentavano il concept).

Nel secondo brano ci addentriamo nel discorso di fondo, interrogandoci su quale sia Il migliore dei mondi possibili con pieno riferimento alla filosofia di Leibniz.

Vi siete mai chiesti se la vita che state vivendo, nel mondo in cui vi trovate, nella linea di eventi in cui vi trovate coinvolti, sia quello che desiderate o potrebbe esserci di meglio? In ogni caso, finalmente qualcuno ne parla in una canzone, anche se sempre attraverso la storia di un personaggio di finzione di cui viene raccontata la vicenda.  

Qui Murubutu mette in campo un bel timbro vocale, dimostrando di aver lavorato molto sul miglioramento della sua voce che, come lui stesso ha riconosciuto, è particolare. Appare qui, come altrove nel disco, più melodico e pop, con un sussurrato che rasenta quasi lo stile Tiziano Ferro con il suo r&b (e non è un insulto, ricordiamo che Tiziano Ferro è stato praticamente un anticipatore, il primo a fare urban prima che fosse un genere di moda).

L’unico difetto (se così si può definire) che permane è la ritmica ripetizione di sillabe e suoni che in certi casi rovina un po’ l’atmosfera, un vizio che il professore non riesce a togliersi ma che è probabilmente un retaggio della sua appartenenza e formazione prettamente hip hop e che comunque si può certamente sopportare facendosi trasportare dall’insieme.

Andando avanti, ecco il primo singolo lanciato con rispettivo video: Black Rain, la cui copertina riprende la grafica dei libri Urania, rendendo manifesto il contenuto fantascientifico.

Questo pezzo era chiaramente destinato a generare hype, visto che per la prima volta vede riunita in un solo brano la triade – ma in questo caso sarebbe più appropriato dire “la piramide” – dei rappresentanti del rap “alto”: il professore e poeta Murubutu, Claver Gold specialista degli incastri ripetuti e l’ermetico Rancore equilibrista matto sulla fune dei paroloni esoterici, sospeso tra teorie e scienze dell’impossibile, tra fisica quantistica e teorie del complotto.

Il tutto descrive una realtà intrisa di visioni letterarie distopiche e post – apocalittiche, che ben si adattano al periodo che stiamo vivendo: si parla di un mondo in cui chi detiene il potere tiene il popolo soggiogato in una realtà squallida, con Murubutu che evoca la pioggia anche con la suddetta ripetizione sillabata nel modo di trattare il ritornello.

A questo punto si potrebbe respirare troppa pesantezza e allora arriva un altro brano a tema ma con sonorità reggaeggiante che trasmette la leggerezza delle Nuvole, in cui la voce profonda e graffiata del rapper ricorda quella di Babaman, inserendosi perfettamente con la voce della cantante salentina Dia e la strofa dancehall del rastaman italo-britannico Lion D.

Anche negli argomenti ci si imbatte in qualcosa di insolito, come la caduta del muro di Berlino raccontata dai punti di vista di due innamorati separati dal muro, Markus ed Ewa, passando poi per un’altra esplorazione concettuale sul tema delle precipitazioni; ciò avviene con Temporale, possibile finale alternativo o sequel della canzone forse più bella in assoluto della discografia di Murubutu, ovvero I marinai tornano tardi.

Parlando di fenomeni atmosferici non si può non rimanere colpiti dalla tempesta di scratch in Black Rain pt. 2, in cui lo stesso tema della parte 1 viene affrontato in modo completamente diverso, più metafisico, da due pesi massimi del rap nostrano altrettanto diversi tra loro: il giovane liricista Mattak, bilanciato dal veterano dell’hip hop underground Inoki

Un espediente classico presente in tutti gli album di Murubutu è l’inserimento di un pezzo didattico storico: in questo caso si tratta di Legio XII Fulminata, ambientato nell’Antica Roma.

Andando avanti si intrecciano storie di crononauti a Parigi, viaggi nel tempo, universi paralleli, si parla di metaverso, si assiste alla Pioggia infinita di rime insieme a Moder, altro rapper dal linguaggio ricercato.

E ancora, uno dei pezzi più forti in assoluto, sapientemente inserisce il liricista En?gma nell’atmosfera biblico – apocalittica che parla di diluvi universali mandati come punizione da divinità crudeli che portano a una cattiveria ancora maggiore dell’umanità.

In tutto questo trionfo di un evidente nuovo approccio, sono invece confermate la rinomata abilità nel rielaborare la letteratura e nello storytelling dai finali commoventi, elementi entrambi presenti in Pentagramma dell’acqua, così come nella costruzione poetica di Murubutu, evidente in Palazzo di gemme, alla quale segue una seconda Ode alla pioggia, in cui il professor Mariani si apre di più e parla di sé stesso in prima persona (cosa che di solito non fa), nell’outro perfetta per chiudere il disco.

Cosa c’è da aggiungere? Questo disco, che sicuramente andrebbe ascoltato in una giornata di pioggia, è capitato invece in un periodo in cui di pioggia non se ne vedeva da un po’.  Quindi ci si poteva aspettare più banalmente un’esaltazione di quei momenti, che hanno un certo mood poetico, in cui si può godere dell’atmosfera piovosa, per esempio rintanati in casa a leggere un libro.

Sicuramente però Murubutu è riuscito a portarci quella che è la funzione della pioggia nell’ambito musicale e, nello specifico, del rap: la fertilità della terra.

Infatti questo album dimostra che il rap è un terreno fertile per far crescere nuove opportunità e nuove strade e per immettere contenuti anche alti, cercando di arricchire l’ascoltatore. Cosa che tra l’altro, a ben vedere, non è così lontana da quella “cultura” di cui si parla fin dalle origini dell’hip hop.

Con questo album il rap letterario diventa più pop senza snaturarsi e questo è un segno di speranza: significa che è possibile essere creativi e originali, che nella musica si può ancora osare, inventare, innovare, e nel frattempo istruire.