“GUESUS”, il dio (s)caduto che torna sulla retta via. Recensione dell’ultimo album di Gue

Il 10 dicembre è uscito Guesus, l’ultimo album di Cosimo Fini in arte “Il Guercio” poi “Gue Pequeno” e ora diventato per questa occasione solo GUE (link all’ascolto qui).

Il rapper ex Club Dogo qui si atteggia a Messia, sottolineando il suo ruolo di rapstar nazionale, di divinità nostrana del genere, giocando con il suo nome e col fatto di essere nato il 25 dicembre e ricordando in questo paragone irriverente e megalomane con Nostro Signore la star mondiale d’oltreoceano Kanye West (ed è questo l’accostamento ancora più megalomane).

Abbiamo parlato del suo album precedente Mr. Fini (recensione qui), la sagra del luogo comune e della ripetizione e bisogna dire che rispetto a quel brutto momento c’è una bella differenza. Intanto perché nel frattempo era uscito il mixtape Fastlife Vol. 4 e, come si poteva notare già da allora, il “ragazzo d’oro” ha decisamente recuperato il sound. Peccato per i contenuti che, nel bene e nel male, non cambiano mai. O cambiano poco.

Le produzioni sono come al solito extra lusso soprattutto grazie al contributo di esperti come DJ ShoccaShablo (oltre alla presenza fissa in tutti i brani di Sixpm): La G, la U, la E pt. 2, con cui si apre il disco, è un’autoesaltazione che ha sonorità entusiasmanti così come Gangster of love.

Anche i featuring sono tutti con personaggi importanti, a partire dall’americano Rick Ross che dice la sua nella seconda traccia “Gangster of love” mentre in “Piango Sulla Lambo” Rose Villain è abbastanza inutile, visto che canta poco più che il ritornello e non viene valorizzata nelle sue qualità.

Ma l’inutilità dei feat ha il suo culmine in “Veleno”, dove a cantare ritornelli, pre-ritornelli e post-ritornelli c’è un super cast composto da Mara Sattei, Madame, e addirittura un outsider della scena rap come Gazzelle, senza che tutto ciò faccia la minima differenza: riempire di hype e nomi illustri un brano non significa riuscire a riempire un pezzo vuoto. Ecco il video ufficiale:

Lo stesso dicasi per “Nessuno”, quello che dovrebbe essere il pezzo introspettivo, riflessivo, e invece neanche la parte di Coez riesce a salvarlo dall’essere banale e insignificante.

Nel complesso purtroppo siamo sempre lì: il tenore delle rime e dei giochi di parole è: “Una fidanzata versatile / in Versace la bitch è Versacile” (verso estrapolato da “Blitz”); i riferimenti sono sempre alla mafia, ai gangster, alle belle donne, alla moda, agli oggetti di lusso, fino ad arrivare a intitolare una canzone “Daytona”, brano che ospita Marracash e nonostante questo non dice niente di che.

La verità Gue la dice in “Futura Ex”:

“Sicuramente avrai pensato fossi una persona super
Ma col tempo capirai, non sono niente di speciale
La sceneggiatura si fa scura, sembra sempre uguale”
.

Dice la verità perché si mette a nudo, come fa un po’ anche in altri pezzi (la già citata “Piango sulla Lambo” parla chiaro già dal titolo), togliendosi la sua maschera e ammettendo quanto in realtà si senta attanagliato da un senso di solitudine profonda, legato probabilmente all’età, alla retorica della doppia faccia del successo, dell’eroe maledetto, sicuramente comprensibile e che denota una maturità che troppo spesso viene nascosta dietro l’autocelebrazione estrema (e sia chiaro non perché ci sia qualcosa di male nell’autocelebrazione ma perché stufa quando è fine a se stessa). In questo pezzo è buono il flow adatto all’atmosfera e ben cadenzato, sia il suo sia quello di Ernia nella seconda strofa.

Dopo l’inutile interludio “Cose non sane”, pochi secondi di autotune francamente evitabili, passiamo a un’altra voce importante, altro feat della Madonna (per restare in tema con Guesus) malamente sprecato in Senza Sogni, con Elisa a cantare un ritornello bellissimo, mistico, un canto ultraterreno da creatura fantasy, che mette veramente i brividi, inserito magistralmente all’interno di una cantilena insopportabile con un tema da scolaretto basato sulla spocchia. O, come lo definisce lo stesso Gue, riuscendo a descrivere benissimo la sua caratteristica ripetutamente ostentata: “Un altro testo pieno di sterone“.

A ben vedere però, anche qui viene ripreso il concetto precedente:

“Sono il re del mio castello ma di sabbia
sul mio trono con un calice di rabbia”.

E anche il suddetto ritornello esprime, ancora una volta, questa solitudine e questo lato malinconico: 

“Chi realizza i sogni a volte, no, non sogna più
chi si sente solo a volte, no, non piange più
se ti dicessi che io non sono quel che vedi
se tu mi credessi te lo direi, perché non ho freni”.

Poi, un po’ come abbiamo visto in Disumano di Fedez (vedi recensione qui), improvvisamente tutto sembra cambiare. E cambia quando si arriva a “Lunedì blu” con Salmo: quando cita “la rana bollita di Noam Chomsky” finalmente si innalza a un livello superiore, inserendo per la prima volta in questo disco un concetto intellettuale significativo, riferito alla realtà e alla società.

Sarà un caso, ma dopo anni di egocentrismo e autoesaltazione nei suoi testi, quando dedica qualche parola al mondo al di fuori di sé, torna veramente a brillare, a emanare luce come una divinità.

Da qui in poi questo brano è tutto una serie di riflessioni giuste e per niente scontate sul mondo in cui viviamo, da chi fomenta le minoranze a chi segue solo le mode, a chi non si interessa del mondo, come se avesse condensato i contenuti validi tutti in un unico brano, dimostrando di essere anche bravo nel fare analisi e critica sociale quando esce dal suo personaggio (“Ho un occhio guercio, ma ci ho sempre visto lungo“).

Magistrale la parte di Salmo piena di autocitazioni e stile a dare brio punk al pezzo che, diciamolo, è quello che salva il disco.

E anche qui, spulciando, vediamo che continua la riflessione sulla solitudine, che a questo punto è un filo conduttore di Guesus, perché in fondo anche la figura di Gesù è quella di un uomo osannato da tutti ma che rimane solo nel momento più difficile.

Ciò avviene stavolta con le parole di Salmo “La fama è solitudine, fa diventare mostri / infatti in questa Lambo ci sono solo due posti”. Il concetto è ribadito più avanti anche in “Fredda, triste, pericolosa” insieme a Ketama 126.

Forse la definizione migliore di se stesso Gue la dà dicendo “Sopra il beat sono un bullo” nel pezzo “Nicholas Cage”, che vede la partecipazione di un pezzo grosso della storia dell’hip hop americano come Jadakiss e che tra l’altro è un ulteriore esempio di come la matrice street hip hop torni prepotentemente nelle preferenze di sound e nello stile, con un beat che lungi dal voler essere brillante e alla moda, è brillante nel suo essere aggressiva e cruda, una scelta azzeccata e di buon auspicio per il ritorno in sé di uno come il signor Cosimo che la storia del genere l’ha fatta qui da noi in Italia.

Poi, andando avanti in ordine di traccia, il brano successivo è “Domai”: come non detto!

Torna l’autotune, torna la trap, tornano quegli attestati di giovanilismo assolutamente non richiesti da un rapper che si situa al di sopra di tutti e che pertanto dovrebbe essere libero da tutto questo e non avere niente da dimostrare.

Le sterili riflessioni nel finale (Fredda, triste, pericolosa, Too old to die young) possono piacere ai cultori del genere, ma fanno ripiombare l’atmosfera dell’album intero in quella penombra dalla quale Gue non esce, rivelando sì un ritorno all’hip hop, un ritorno al rap, un ritorno ai contenuti, e in definitiva quindi un ritorno alla qualità, ma, a dispetto di titolo e copertina, niente di epico.

Un dio caduto, dunque. O meglio, un dio scaduto, che continua a incensarsi per cose gloriose fatte in passato e che non lo riguardano più. Ecco chi è questo Guesus. Un’autorità del rap italiano che rimane tale ma che è ancora invischiata con il difficile equilibrio tra la grande abilità nella scrittura e l’ossessione per l’ostentazione e per le mode, che in qualche modo fanno parte del personaggio.

Vogliamo definirlo “il disco della maturità”? Facciamolo, anche se forse non è questo il punto. Vogliamo chiamarla affermazione della celebrità, della divinità? Non sembra il massimo del livello a cui Gue può arrivare. E non perché debba fare di più, casomai di meno. Gue va capito e interpretato: è un personaggio che ha puntato sul diventare iconico, in un modo che non può piacere a tutti. In attesa di una vera e propria resurrezione e un ritorno alla retta via, siamo comunque contenti di tornare a sentire, almeno nelle sonorità e nell’atteggiamento, il rap vero.

Per chi fosse interessato, sono già stati annunciati live il 20 dicembre 2021 al Fabrique di Milano, il 24 giugno al Carroponte di Milano e il 25 giugno al Rock in Roma.