“DISUMANO” MOSTRA QUANTO FEDEZ SIA UMANO (E NON DEL TUTTO PERDUTO)

“Disumano” (ascoltabile qui) è un album che rispecchia esattamente il posizionamento ambiguo di Fedez nella zona intermedia di ogni giudizio morale esprimibile.

Seppure con alti e bassi, in fondo da sempre è qui che possiamo collocare il rapper: tra mediocre superficialità e impegno politico, tra la “riccanza” e la visibilità da influencer per cui è facile additarlo e il ruolo di responsabilità assunto in questi ultimi anni (per esempio nel momento clou dell’emergenza pandemica), tra il vuoto di un essere che assurge a diventare bieco prodotto commerciale di sé stesso (ricordiamo la squallida operazione della canzone dedicata al figlio ma anche allo sponsor che reclamizzava) e le rare prese di posizione intelligenti e forti come sul palco dell’ultimo concertone del Primo Maggio (non a caso citato in uno dei testi). Il discorso è sempre quello: non sarà un grande rivoluzionario, non sarà un degno rappresentante del popolo e delle sue istanze, ma di fronte al vuoto e al niente incontrastato viene da dire “ce ne fossero”.

Mentre nell’album precedente (vedi la recensione qui) avevamo visto spegnersi completamente il valore artistico, sepolto sotto le macerie di un personaggio ormai ‘altro’ rispetto al mondo musicale, sovrastato dalla figura fagocitante di una moglie simbolo del personaggio della moda e dell’esclusività, abbandonato dai compagni di merende con i quali era socio fino a quel momento, perso in un vuoto totale, in “Disumano”, sotto chili di retorica inutile, c’è qualcosa di buono.

“Disumano” innanzitutto è un album raccoglitore dei vari singoli già usciti, da “Bella Storia” a “Bimbi per strada” che rielaborava la famosa “Children”, suonando decisamente strano e poco convincente, visto anche che la composizione di Robert Miles colpisce sempre nella sua versione originale e proprio per questo è stata remixata e riproposta in svariate salse senza mai essere all’altezza dell’originale.

Ci sono poi ovviamente anche il brano portato a Sanremo insieme a Francesca Michielin, “Chiamami per nome”, l’allegro twist del tormentone nato post-Sanremo ovvero “Mille”, con Orietta Berti nel ritornello e il trasformista Achille Lauro e la risposta alle tante critiche ricevute in “Problemi con tutti (Giuda)”.

Tolta la maggior parte dei brani (che non è poco), sotto la scorza modaiola, “Disumano” è un disco strano pur nel suo essere sicuramente commerciale, esattamente come il suo autore e che quindi ne rivela la personalità.

Poliedrico dal punto di vista del suono e destinato a un pubblico medio-vasto, si caratterizza superficialmente come un facile prodotto per le masse e i ragazzini, quindi per il suo target: curato nel suono, moderno e sentimentale con una vena intimista e sferzate dance, senza tante pretese nei testi, semplici e basati su una vuota retorica romantica.

Però in alcuni momenti sembra quasi di tornare a vedere un valido rapper, sia nei contenuti che nella forma. Partiamo da quest’ultima.

La partenza con “Morire Morire”, sfogo pieno di rabbia contro la massa che lo maltratta e umilia (come si vede nel video che riprende e capovolge quello del brano che lo ha reso famoso, “Magnifico”), non è male, c’è suspense, c’è potenza, c’è un ritmo che rimane in testa, parla di cose pesanti come “morire per le proprie idee”, ma dopo poco tutto si perde in battute e punchline che si fanno via via sempre meno efficaci.

Dal punto di vista del contenuto nei primi pezzi c’è solo qualche bella frase sparsa tra i versi, come in “Stupido Stupido” (“mettiti nei miei sbagli”) in cui sono apprezzabili anche i pungenti riferimenti all’uccisione di Carlo Giuliani al G8 di Genova, nel contesto di una riflessione sul disagio vissuto dai ventenni nel nostro Paese.

Tralasciando elementi più commerciali come l’acchiappa-teenager dal titolo Sapore insieme a Tedua, o Guarda cosa mi fai fare, il brano dedicato alla seconda figlia, “Vittoria”, che immagina cresciuta in un dialogo proiettato nel futuro, ha un che di melodico e ricorda le vecchie canzoni italiane; le strofe rappate non stonano con le aperture ai cantautori classici come Battisti.

Così come “Meglio del cinema”, romantica lettera d’amore alla moglie Chiara Ferragni, che ha un’atmosfera e una sonorità molto più simile al pop semplice alla Max Pezzali che al rap e non suona male per chi apprezza il genere. Questa è la chiave di lettura giusta di 3/4 dell’album: fino a qui non stiamo più parlando di rap ma di un lavoro ben riuscito, se inquadrato sotto la lente pop melodica moderna (potremmo dire urban). Almeno fino a qui.

Le parole sono per lo più insensate nel loro accostamento e spesso mozzate copiando (male) gli stilemi della trap, le frasi vuote, c’è sempre quel senso di finta poesia basata sul niente, non ci sono grandi giochi retorici o letterari, solo tante stucchevoli smancerie e sentimentalismi adolescenziali, senza il brivido dell’essere adolescente, senza la concretezza, senza l’elemento clou. Le musiche sono in linea con le mode attuali ma neanche troppo. Fino a qui tutto male. O quasi tutto.

Ma poi, seppure non se ne capisce il senso, arriva il pezzo migliore dal punto di vista strettamente musicale e sonoro (perché si torna indietro nel tempo): “Vecchio” è un brano ironico e divertente nel suo flow vecchio stile, hip hop giocoso e malato, umoristico, molleggiato, in cui fa la sua parte fondamentale la strofa di Dargen D’amico, uno sketch leggero che riflette sull’età mediana di chi non è vecchio e non è più abbastanza giovane per certe cose, il tutto con la simpatica citazione al film Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone e una parte strumentale più funky che alleggerisce il tutto.

Seguono altri brani poco significativi come “Fuori dai guai” con la splendida voce sussurrata di Cara (in cui funziona il ritornello estremamente pop, come già visto nella collaborazione precedente con lei) e quelli in cui scimmiotta gli americani come in “Notte brava”, con una base drill e il cantato soul intimista.

L’ultima osservazione negativa consiste in una domanda: cosa c’è di peggio del reggaeton che ci ammorba nelle spiagge d’estate? Semplice: il reggaeton lento de “Le madri degli altri” con il deprimente ritornello di Tananai.

Poi, quando meno te lo aspetti, parte una cosa strana, intitolata “Un giorno in pretura” e viene da citare la scena di un film di Checco Zalone: “e qui la situazione cambia”…

All’intro recitata da quel personaggio spregevole che è Giuseppe Cruciani, proprio quando stavo pensando “ecco, questa è l’ennesima volta che dopo mi dovrò lavare le orecchie”, dal gioco di voci registrate sovrapposte viene fuori il tema dell’album, “this”-“umano”, “disumano”, e qui avviene il miracolo: uno spoken word potente che nella prima strofa fa un exploit di forte denuncia politica e massacra letteralmente l’ex premier Renzi. Era quello che volevo! Questo basta per riscattarsi da tutti gli scivoloni precedenti. Hasta siempre comandante Fedez!

Poi, nel fluire di questa strofa unica continua, se la prende rabbiosamente con la Lega e i leghisti, Bocelli e i complottisti, Giorgia Meloni e i fascisti, Berlusconi come Mussolini, e mette in mezzo i nomi di Aldrovandi e Regeni, Amazon e la Coca Zero, citando La guerra di Piero in modo satirico e pungente. Bentornato rap!…

Qui non solo il contenuto è fatto di verità sacrosante che andrebbero rese evidenti ma lo stile è unico: da un po’ non si sentiva un esempio di denuncia politica come questo, anzi, non si è mai sentito! Non si è mai sentito qualcuno fare i nomi in quel modo spregiudicato, che, lo abbiamo visto, a Fedez ogni tanto prende quando si ricorda di essere un personaggio talmente in vista da essere per esempio incaricato dal governo di opere di comunicazione verso i più giovani in un momento critico di emergenza sanitaria (o talmente ricco da potersi permettere cause e querele, il che non cambia di una virgola il merito nelle prese di posizione).

Quindi è vero quanto malignamente affermato da alcuni, che forse non era così male l’idea diffusa nella campagna di lancio del disco e che aveva generato tante polemiche, quella del Fedez candidato in politica (insinuando che potrebbe essere meglio che come artista); ma questa malignità è contraddetta da questo pezzo in cui non solo ci va giù pesante ma dimostra di avere anche una certa originalità nello stile, imbastendo non un vero e proprio rap, ma un j’accuse parlato con un ritmo coinvolgente.

Sarà sulla scia dell’entusiasmo che si può riuscire a farsi piacere anche qualcosa di fortemente tamarro come “La cassa spinge 2021”, remake dell’omonima hit house underground di Dargen D’Amico e Lucky Beard con DumbBlond, in cui l’alchimia tra Fedez, M¥SS KETA e Dargen D’Amico sulla base dei Crookers regala un momento di leggerezza e divertimento che non stona e non disturba, inserendo giochi creativi anche piuttosto particolari. Divertente anche la frecciata alle numerose querele ricevute:

“Sono veramente euforico / non mi ha ancora querelato il Codacons”.

E finalmente anche la metrica riacquista incastri e un minimo di complessità tipica del rap in “Fede e Speranza” che, come suggerisce il gioco di parole del titolo, lo vede duettare con Speranza la cui credibilità, parola non a caso usata nella sua strofa, è incredibile (qui faccio io il gioco di parole): ogni volta basta sentire i suoi testi urlati per sentire il sapore della strada e delle banlieus ma senza la pesantezza che generalmente caratterizza il gangsta rap.

Credibilità: è questa una parola chiave che riguarda anche il pregiudizio che quasi tutti hanno nei confronti di Fedez (basta leggere le altre recensioni). Vale per il discorso fatto sopra sulla politica come vale per la sua musica e per il suo ruolo di comunicatore, ovvero i tre aspetti che questo personaggio fatica a tenere insieme.

Eppure, quanto a credibilità, non c’è altro da aggiungere nel constatare che parte dei ricavati dell’album, comprensivi delle varie mosse di marketing ad esso connesse e sponsorizzate da grossi marchi, andranno in favore della fondazione Tog, (l’acronimo sta per Together To Go, un centro di riabilitazione d’eccellenza per bambini che hanno delle patologie neurologiche complesse).

Il punto è proprio questo: l’ingenuità e il livello di successo in cui si è andato a ficcare lo portano a compiere passi falsi e movimenti goffi ma non si può non riconoscere dietro questi tentativi una sincerità di fondo.

Comunque l’escalation di pezzi interessanti torna poi a placarsi con il brano già conosciuto a Sanremo insieme a Francesca Michielin, “Chiamami per nome” e con “Leggeri leggeri” che se non altro contiene una frase esplicativa del momento che stiamo vivendo: “Questo tempo è un film che premia solo attori cani / un aereo di carta contro i caccia militari”.

Infine il rap emozionale di “Mi sto sul cazzo” in cui Fedez ammette di non essere un granché, di avere tante caratteristiche negative e di essere schiavo di una finzione, ma che sotto sotto è una persona buona e valida. In particolare ci sono dei versi con i quali dice esattamente la verità su se stesso. E in fondo su tutti noi:

“Amo ‘sta vita anche se è quella di un altro / che nove su dieci abbiamo problemi / che dieci su nove non siamo sinceri / un selfie allo specchio e mi sto già sul cazzo / Però c’ho due figli così non mi ammazzo”.

E qui, nel dire la verità, una verità che forse riguarda un po’ tutti, Fedez offre la sua sincerità, la sua sensibilità, una certa capacità di raccontare le cose e quindi in questo suo album “Disumano” mostra il suo lato più umano.