Intervista ai Management, che hanno superato il “Dolore Post Operatorio” cimentandosi nel “Sumo”

Sumo”, uscito il 13 novembre per Full Heads e distribuito da Believe/Audioglobe, è il quinto album in studio della band composta da Luca Romagnoli (voce e testi) e Marco di Nardo (chitarra e compositore), ovvero i MANAGEMENT, già noti come Management del Dolore Post-Operatorio.

L’album è stato anticipato dal videoclip del brano “Come la luna”, seguito dal singolo “Sumo”, la title track.

L’ascolto si dimostra interessante sin da subito con “Avorio“, la prima traccia, dal sapore malinconico e sonorità elettroniche a cui seguono quelle della title track “Sumo“, metafora della lotta contro il tempo (in cui evidentemente si trova la band, uscita  cambiata dal passare del tempo, cambiamento di cui parleremo nell’intervista), che, esattamente come quella tra i lottatori di Sumo, è una battaglia tra giganti che a volte risulta buffa, come è effettivamente la vita, mettendo in chiaro che la band, nonostante i vari cambiamenti di prospettiva e di stile, continua a lottare e a tenere viva la lotta (nell’accezione più rivolta al tema sociale).

Tanto che oltre a dare il titolo all’album, questa immagine ne ha ispirato anche la copertina che ha assunto la forma della bandiera del Giappone, con la differenza che al Sol Levante rappresentato al centro del campo bianco, i Management hanno messo una luna, riferimento all’altro singolo “Come la luna” e alla canzone “Luna Rossa” di Roberto Murolo, uno dei tanti personaggi di spicco che hanno lavorato nell’Auditorium “Novecento” di Napoli (ex-Phonotype Records), luogo di registrazione di questo album, in cui la cultura che si respira ha notevolmente influenzato la band nella composizione. La luna è un riferimento anche al fatto che Sumo è un disco più introspettivo e quindi mosso da sensazioni e atmosfere più “notturne”.

Come la luna” parla della violenza sulle donne mostrando nel video la semplicità e la delicatezza, la meraviglia e la valenza piena di significato del corpo, il corpo di una donna che si accarezza e che senza provocazione trasmette la sua femminilità.

Molto interessante il brano “Chiara scappiamo” che coinvolge al punto di sentirsi travolti da questa voglia di scappare, rapiti da una buona base musicale su cui troneggia un testo dal linguaggio metaforico e sorprendente. Come all’inizio, quando introduce il discorso dicendo “Mentre prendiamo questo caffé / e io ti guardo le tette dalla canottiera”, per poi proseguire con una cruda analisi della società e di un mondo in preda alla follia dal quale è meglio fuggire.

Sto impazzendo“, senza entrare nello specifico, è la richiesta di aiuto di chi annega nell’oblio, la sensazione di delirio, follia e smarrimento di fronte alla società complessa in cui viviamo. Potrebbe essere adatta a qualsiasi situazione, anche a quella attuale, in cui ci troviamo chiusi in casa a lottare contro una realtà paradossale che sta tenendo in scacco un’intera nazione (e il mondo intero).

Poi, trascinati dal ritmo di “Forte Forte“, passando per la struggente “La notte nelle vene“, si arriva a “Soltanto acqua” e alla finale “Sessossesso“, canzone collettiva scritta insieme ai fan, con un argomento preciso e abbastanza evidente, un andamento più serrato e percussioni e bassi aggressivi.

Per saperne di più abbiamo parlato con Luca Romagnoli dei MANAGEMENT. Ecco la nostra intervista:

Luca Romagnoli, autore dei testi e cantante dei Management, è diventato famoso per aver alzato con le mani un preservativo come fosse l’ostia nel gesto liturgico della consacrazione sul palco del Concertone del Primo Maggio a Roma, esaltando la capacità di quello strumento nel difenderci dalla trasmissione di malattie. Ironia della sorte, da un’abitazione a un’altra, perché costretti in questa reclusione forzata della quarantena per difenderci da una pandemia, ci troviamo a parlare con lui a distanza, toccando temi che vanno dalle grandi riflessioni filosofiche a battute divertenti su musica e quant’altro.

Partiamo dalla vostra storia, e dal nome come sintesi dell’evoluzione della vostra storia, per presentarvi ai pochi che non vi conoscono: si può dire che avete superato il “Dolore Post-Operatorio”?

Il fatto è che la cosa in cui siamo più bravi è sbagliare: per anni ci hanno rotto le palle chiedendo “Perché vi chiamate così?”, adesso l’abbiamo cambiato e ci rompono le palle chiedendo “Perché non vi chiamate più così?”…

Il nostro nome descrive la nostra storia (nel senso che nasce da un comune periodo di riabilitazione in ospedale in seguito a un incidente da cui “Management del Dolore Post-Operatorio”, nda). Quest’ultima parte del “Dolore Post-Operatorio” l’abbiamo tolta, non tanto perché l’abbiamo superato, perché, anzi, in questo ultimo disco la dimensione del dolore, della sofferenza, della malinconia è ancora più presente.

Siamo arrivati a eliminarlo e a cambiare nome per fare una sintesi, perché rappresentava un po’ il nostro modo di essere pazzi, urgenti, iconoclasti, casinari e rock ‘n’ roll, di prenderci denunce, eccetera, e faceva parte di un senso di immortalità che caratterizza i giovani. Per questo disco ci siamo fermati facendo una lunga pausa e solo allora ci siamo resi conto che sono passati ormai degli anni e che noi siamo diversi. È uscito fuori questo nuovo modo di scrivere che è più “dentro” che “fuori”, è molto intimo, ci rivolgiamo meno verso la società e quei pochi sguardi che gettiamo al “fuori” sono riflessioni che poi ci portano a rientrare “dentro”.

Quindi, parlando di generi musicali e definizioni, come vi situereste all’interno della scena musicale italiana? In “Sumo” c’è una svolta “indie” che vi rende ancora più indie?

Si, anche se il termine “indie” oggi è sinonimo di “pop” quindi possiamo dire pure semplicemente che è più pop. Anche perché non si sa più che significano queste parole, quindi vanno bene tutte. In Sumo c’è stata una svolta studiata in cui abbiamo cambiato tutto quasi radicalmente. L’unica radice alla quale rimaniamo attaccati è quella della libertà artistica. Tutti cambiamo e io vorrei esprimere questa esigenza di cambiamento.

Parlando con sincerità, quanto in questo è una forma di adattamento alla moda del momento e quanto invece un’esigenza creativa o espressiva?

Quando si parla di un gruppo si guarda sempre alla sua storia. Quindi dei gesti di cambiamento e di avvicinamento a una moda sono spesso visti come un tradimento della storia del gruppo. Il nostro primo disco è del 2012, quindi proprio un’altra epoca (se fosse uguale a uno del 2020 sarebbe una follia) e dal primo fino all’ultimo nostro disco si può notare, confrontandoli con il resto della musica italiana e internazionale, che in realtà sono quasi fuori moda, non seguono i dettami del momento. C’è quel poco di malinconia che riporta a un certo cantautorato italiano ma sempre in un modo diverso. Non c’è l’approccio radiofonico. In realtà in Sumo non ci sono singoli dal punto di vista radiofonico. Noi non siamo né così fuori dalla moda, né così dentro.

E cosa pensate invece in generale di queste stesse definizioni e generi? Qual è la vostra visione della musica?

Oggi sotto la parola pop ci puoi mettere quasi tutto, chiaramente con la varie sfumature dovute. Per quanto riguarda l’Italia l’indie si può definire come il nuovo pop. È qualcosa che comunque fa bene, perché porta aria nuova, ha permesso un cambio generazionale, perché lo fanno i giovani scalzando magari quelli più attempati che avevano anche un po’ rotto i coglioni!

Pensiamo per esempio a Sanremo: da quando è iniziato è stato sempre uguale, ci sono andate più o meno le stesse persone per settant’anni. Dal 2015 in poi è cambiato. Non che adesso sia chissà quale grande cosa, fa comunque parte del calderone televisivo, però almeno ci sono un po’ di giovani, un po’ di casino, il rap, la trap… Si sta sostituendo il vecchio col nuovo. E la differenza nel linguaggio e nelle tematiche si vede e di questo c’era bisogno. Poi è chiaro che servirebbe una musica veramente alternativa. Ora la musica che una volta si poneva come alternativa cioè l’indie è il nuovo pop per cui prima o poi ci dovrà essere per forza un’alternativa nuova, come lo è stata la trap rispetto al rap.

C’è qualche artista che vi ha ispirato nel vostro modo di fare musica o che semplicemente apprezzate?

Il mio artista preferito degli ultimi anni è Damon Albarn con i Blur (che secondo me vincevano la sfida con gli Oasis), i Gorillaz, il progetto solista a suo nome, il disco acustico, quell’altro progetto con The Good, The Bad and The Queen… Tutto quello che fa, in tutti i generi che tocca, è di una qualità estrema, è uno dei più grandi artisti viventi.

Marco invece ha una cultura molto più internazionale e più aggiornata rispetto a me, io ascolto molto cantautorato classico. Poi ovviamente quando abbiamo cominciato a suonare eravamo più giovani, siamo cresciuti come molti con Beatles, Rolling Stones, Nirvana, Jim Morrison, Woodstock… Il mio disco preferito è Freak Out di Frank Zappa, per dire. Poi siamo passati alla musica progressive, i Van der Graaf Generator, sono stati per molto tempo il mio gruppo preferito, tra gli italiani il Banco del Mutuo Soccorso. E tra l’altro questi ultimi due sono entrambi gruppi che hanno accorciato il loro nome, come abbiamo fatto noi!

Nella vostra musica però sono presenti molti riferimenti culturali di vario tipo, non solo influenze musicali. Sapreste individuare quelle per voi più importanti che hanno caratterizzato la vostra discografia e la vostra biografia?

Si, certo, allo stesso modo in cui ti influenza la musica e da adolescente ascolti i Nirvana con i jeans strappati, anche leggere Bukowski e cominciare a bere è abbastanza automatico. Io cerco di leggere le cose più svariate ma c’è stato un periodo, uno di quelli in cui vengono riscoperti degli autori, in cui c’era molta attenzione agli scritti di Carmelo Bene, che ti fa uscire di testa, è molto difficile da capire e anche lui era molto estremo. Da lì poi si passa per Nietzsche e tante altre cose che non sono le comuni letture. Sono stato molto appassionato anche di Dario Fo, per cui ci sono anche influenze del teatro nel nostro modo di stare sul palco che è molto teatrale. E quindi ancora…. La rivoluzione russa, il teatro del corpo, Majakovski… Io penso che a volte è pure un caso. Noi pensiamo spesso di avere nelle mani le nostre scelte, invece sono anche le persone che hai intorno, gli amici, i professori, che comunque ti influenzano in queste scelte.

Dopo tanti cambi di formazione, con l’album Un incubo stupendo del 2017 era già iniziato quel processo di cambiamento che vi ha portato a cambiare il nome. Nell’ultimo album “Sumo” mi sembra che ci sia una componente più introspettiva e malinconica e una maggiore ricorrenza del tema dell’amore, parlando dei testi, il tema più classico, seppure trattato a modo vostro, con il vostro personalissimo stile, rispetto ai primi album…

Si, anche se in questo caso si parla più di un’assenza. Quasi tutte le canzoni che parlano d’amore sono in realtà dedicate a mia madre che non c’è più. Tutte queste componenti malinconiche sono riferimenti a questa assenza ed è per questo che parliamo spesso del tempo, della lontananza, dell’infinito, degli altri pianeti, dello spazio, del vuoto, di quello che siamo e del fatto che non ci saremo più.

Per esempio in Chiara scappiamo, non volevo parlare dell’amore fra due persone ma del mondo che cambia tutto intorno e il desiderio di scappare da una realtà che è sempre più brutta.

Quindi, senza entrare nei classici discorsi sul “disco della maturità”, si può dire che è normale un atteggiamento diverso anche nell’esibizionismo sfrenato e nello stile estremo, nelle diverse fasi della vita e della carriera artistica? È chiaro che da giovani esordienti siano dominanti la rabbia, la voglia di divertirsi, di mettersi in mostra con fare provocatorio, per esempio creando scandalo con la blasfemia, mostrando i genitali sul palco del Primo Maggio, venendo censurati e cacciati dal palco e diventando degli “eroi” per questo, mentre più avanti potrebbe subentrare una voglia di andare oltre… Perciò siete d’accordo sul fatto che questa idea di “purezza” e di coerenza pretesa dai fan e dalla critica sia molto spesso qualcosa di errato?

Non solo errato, ma la gente non si rende conto che questa in realtà è la più grande forma di conformismo. Quindi per prima cosa non bada all’umanità dell’artista, in secondo luogo non rispetta l’arte, la cui caratteristica invece è quella di poter parlare di qualsiasi cosa, non di quello che gli altri si aspettano da me. Cioè, partendo dalla tua battuta sugli “eroi” e prendendo come esempio invece i supereroi, a me quello che piace dell’arte è proprio questo: di Batman o Superman mi piace pensare il momento in cui hanno cinque minuti in cui sono tristi, oppure mi piace pensare a Batman mentre va a cacare.

È come se noi dovessimo essere sempre uguali in ogni situazione ma io dico: potremo avere anche noi due minuti per amare, per piangere o per fare altro?! Non è che possiamo sempre fare la cosa giusta, ammesso che la cosa giusta sia accontentare chi ci vorrebbe in un certo modo. Tutti i nostri dischi in realtà sono diversi tra di loro e neanche all’interno di ciascuno di essi ci sono canzoni uguali. I fan hanno anche ragione ad avere delle aspettative ma noi non vogliamo sottostare a nessuno, neanche a noi stessi; io sono la prima persona che mi sta sul cazzo, quindi non voglio essere schiavo di qualche gesto che ho fatto in passato. Questa è la libertà dell’artista.

L’ultima traccia di Sumo si intitola Sessossesso, è una collective song, in che senso? Come è nata?

Abbiamo elaborato questa traccia confrontandoci con i fan attraverso domande, sondaggi vari tramite Social, ci hanno proposto parole, frasi, tematiche, confessioni personali, e poi noi le abbiamo selezionate e rielaborate scegliendo l’argomento del sesso in quanto molto gettonato e interessante.

Per promuovere Sumo eravate in giro con un tour che è stato annullato. Compatibilmente con l’incertezza dovuta alla situazione attuale, in cui è tutto fermo, avete altri progetti?

Noi per fortuna avevamo quasi finito il tour di presentazione del disco quindi ci sono saltate solo due date. Essendo un periodo in cui dobbiamo stare fermi probabilmente ci verrà voglia di scrivere e quindi magari ci divertiremo a creare qualcosa di nuovo; per quanto riguarda altri singoli e altri progetti per adesso non sappiamo ancora niente.