NH3: il vero Superhero è chi ha il coraggio di aprirsi

Gli NH3 hanno da poco rilasciato una nuova versione del loro ultimo album Superhero con all’interno anche una cover di Waiting Room dei Fugazi registrata assieme a Chris degli Anti-Flag.

Abbiamo colto quindi l’occasione per fare una lunga chiacchierata con Simone, chitarrista della band pesarese, per parlare di questo nuovo progetto.

Partiamo dal singolo nuovo, Waiting Room, che poi in realtà è una cover…come mai questa scelta e come è nata la collaborazione con gli Anti-Flag?
Allora abbiamo deciso di fare Waiting Room non per caso ma per il semplice motivo che è una canzone che unisce tutti e sette i membri della band. Tutti ascoltiamo generi diversi, ma davanti a Waiting Room ci siamo ritrovati a casa musicalmente parlando.
È un pezzo di storia della musica che ascoltiamo da quando eravamo dei ragazzi e da quando abbiamo iniziato proprio a suonare e quindi è una canzone che ci ha sempre fatto da sottofondo, da colonna sonora.
L’idea di farla è nata proprio in pulmino e durante uno dei nostri lunghissimi viaggi durante i tour in Europa e ci siamo detti perché no? pur sapendo di andare a toccare uno di quei pezzi che sai…

Fanno storcere il naso ai puristi?
Si, toccare una canzone del genere ti mette un po’ in difficoltà quindi dietro c’è stato anche un lavoro proprio fatto non con leggerezza ma con la coscienza che andavamo a toccare una canzone storica importante, simbolo di tante cose. La collaborazione invece è nata un po’ per caso da un’amicizia in comune.
Praticamente tra i tanti contatti che abbiamo acquisito in giro per l’Europa in 18 anni di attività, in Germania abbiamo conosciuto una ragazza, Sandra, nostra grandissima fan e amica degli Anti-Flag con i quali ha fatto cose anche a livello benefico, Punk Rock on Ice…e tante altre cose.
Ed è lei che si è chiesta “perché non avere in una canzone del genere due delle mie band preferite?” Quindi ci ha messo in contatto con Chris che è stato subito entusiasta di partecipare anche perché motivato dal fatto che abbiamo pensato di fare di Waiting Room una raccolta fondi in favore di Sea Shepherd.
Abbiamo fatto sentire la nostra idea ed è piaciuta subito a Chris che oltre ad essere un’artista meraviglioso è una persona di una caratura morale importante e quindi ha partecipato ed è stato super disponibile tutto il tempo.

A proposito della raccolta fondi a cui accennavi, c’è un progetto in particolare a cui verranno destinati i proventi?
Quando abbiamo iniziato a voler ufficializzare la raccolta fondi per Sea Shepherd ci siamo dovuti comunque confrontare con l’organizzazione perché parliamo di un’associazione ha dietro una struttura molto importante, non esiste scopo di lucro e le cose vanno fatte a regola d’arte.
Noi abbiamo chiesto il loro parere su che cosa al momento avessero più bisogno di finanziare e a livello italiano Operazione SISO era la cosa su cui attualmente erano un po’ bloccati nel senso che avevano le navi ferme ma è una cosa essenziale per contrastare la pesca illegale nel Mediterraneo.
Quindi abbiamo deciso di supportare appunto Operazione SISO nel mar Mediterraneo ed aiutarli nel loro tentativo di riportare le navi in mare.

Tornando invece al discorso musicale, la situazione attuale in cui siamo ricorda un po’ quella del concept-album Superhero, dove essere normale sembra una cosa da supereroe. Quindi ti chiedo, secondo te questa situazione cambierà qualcosa nella testa delle persone, potrà essere un’occasione per una presa di coscienza generale e magari di crescita proprio come umanità viste le scene quasi apocalittiche e di follia collettiva a cui si assiste?
Tu sai di avermi fatto una domanda da un milione di dollari vero?
A me piace essere sempre positivo nei confronti delle persone, io credo molto nelle persone. Purtroppo gli indizi e le prove che abbiamo non ci portano in una direzione positiva.
Anche facendo un passo indietro e analizzando la situazione in Italia prima di questa emergenza sembrava di essere in un paese un pochino allo sbando, un paese che stava continuando ad alzare muri e che faceva scudo a qualsiasi tipo di empatia fra persone.
Io penso che una situazione del genere in cui questo tipo di crisi non guarda in faccia la stratificazione sociale, potrebbe andare a toccare gli animi di qualcuno, soprattutto se toccato in prima persona.
Sicuramente non di una massa importante, ma credo che questa situazione di crisi, non economica ma di fatto umanitaria, così come ha sconvolto e ha fatto tremare alcune certezze potrebbe far sensibilizzare l’animo di qualcuno, almeno io me lo auguro e ci voglio credere.

I vostri testi hanno sempre un messaggio politico o comunque sociale abbastanza forte, secondo te qual è oggi a livello generale, quindi uscendo poi da questa che è la situazione contingente, la battaglia più importante o alla quale siete semplicemente più interessati?
Qui bisogna rispondere esattamente: l’ignoranza.
Secondo noi è un mostro che va combattuto con tutte le armi che abbiamo: con intelligenza, con la cultura, con una lotta alla paura generata dall’ignoranza.
Questo è un po’ se vogliamo anche il filo rosso, il leitmotiv che lega un pochino tutti gli album anche se sono molto diversi fra di loro: alcuni vengono da uno sfondo politico importante, altri sono più basati sulla sociologia che comunque è strettamente collegata alla politica, ogni nostra azione può influenzare la politica.
In Superhero non c’è più un riferimento astratto ma c’è proprio il percorso di una persona che decide di cambiare il suo modo di essere e di non avere più paura per uscire dal suo piccolo ed andare ad esplorare il mondo con tutte le prove da superare che questo comporta.

Guardando le vostre date salta subito all’occhio che all’estero voi suonate molto, forse più che in Italia come mai?
Non forse, decisamente di più!
Fino a qualche tempo fa era un’esigenza, adesso è diventata quasi una scelta, ma mi spiego meglio perché altrimenti sembra di voler bistrattare il nostro paese.
All’estero c’è una concezione diversa del musicista e questo causa un sacco di cose belle, nel senso che c’è un’organizzazione importante dietro tutto questo, c’è ancora un grosso entusiasmo e non c’è nessun tipo di pregiudizio nei confronti di un certo tipo di musica rispetto ad un altro, esempio banale tu nei grandi festival puoi trovare il gruppo metal così come in gruppo ska original e la gente se tu piaci ti apprezza, senza nessun tipo di problema.
Poi la gente comunque ai concerti va a prescindere, anche perché ci sono degli orari che facilitano il ritorno a casa anche dei ragazzi più giovani… insomma c’è sono tutto un insieme di attenzioni che riescono a mettere anche chi suona nelle condizioni migliori per poterlo fare.
In Italia culturalmente stiamo attraversando un periodo difficile in cui il il business dei locali deve fare i conti con determinati numeri che magari un certo tipo di musica non riesce più anche se dall’altra parte questo ha dato vitalità a diverse associazioni e situazioni basate sul DIY, Do It Yourself.
In questo senso ci cose molto interessanti che stanno facendo passi da gigante ma che al momento, perlomeno per noi che siamo strutturati in un certo modo, ancora non riescono ad avere spazio, alle volte anche semplicemente proprio spazio fisico visto che sul palco siamo in sette e anche muoversi richiede comunque un certo tipo di impegno economico.
Quindi io vedo una bella situazione da questo punto di vista mentre da un altro penso proprio ci sia un problema culturale del riuscire ad avvicinare i giovani ad ascoltare e non solo sentire la musica…e su questo siamo noi vecchi che dovremmo metterci un po’ più di impegno.

Proprio parlando di questo, io ricordo che una ventina di anni fa c’era comunque una bella scena italiana punto di vista punk-rock, ska e affini e ancora oggi se ci sono grandi eventi, penso al trentennale dei Punkreas di poco tempo fa o gli Ska-P lo scorso anno, si riesce a muovere tanta gente…non c’è stato forse il ricambio generazionale nel pubblico o magari queste band arrivano perché ormai hanno mezzi diversi e quindi possono puntare a spazi diversi appunto dai locali che dicevamo prima?
Devo dire che ogni tanto mi concedo anche io di andare a questo tipo di eventi, però guardandomi intorno non vedo ragazzi giovani quindi si, secondo me c’è un problema di ricambio generazionale assolutamente.
Poi possiamo parlare anche del fatto che adesso la musica è fruibile in tutti i modi possibili ed immaginabili e non si sente quasi l’esigenza di andare a vedere un concerto live, nel senso che io ormai con il mio telefono scorro un milione di gruppi e la mia attenzione su un gruppo in particolare magari rimane molto bassa mentre invece una volta c’era il desiderio di avere il cd e di alcuni lo potevi trovare solo dal vivo.
Le band che oggi fanno i numeri del nostro genere sono tutti gruppi che hanno saputo rinnovarsi, tu citavi i Punkreas che secondo me hanno il talento di essere sempre attuali in quello che trattano e di farlo con un linguaggio semplice come lo farebbe uno di noi con un amico, magari senza approfondire poi troppo.
Anche gli Ska-P, hanno chiaramente una musica e una lingua che li aiuta ma soprattutto nei paesi latini perché al di fuori di questi poi non hanno la stessa presa quindi anche loro fanno fatica.
Il problema è che bene o male sono sempre le stesse band che poi si dividono questi spazi, penso a quelli più vicini come il Bay Fest, dove per altro ho un sacco di amici, o al Punk-Rock Holiday in Slovenia e ad anni alterni bene o male le band si ripetono quindi c’è anche poca fiducia nelle band emergenti dove potrebbe esserci.

Mi riallaccio al discorso linguistico degli Ska-P per chiederti questa cosa, voi suonate tanto all’estero ma cantate prevalentemente in italiano, c’è effettivamente una ricerca dei testi da parte del pubblico straniero o la musica supera in realtà la barriera linguistica e quindi arriva lo stesso?
È un insieme di cose in realtà nel senso che all’estero sono molto più interessati di noi a capire quello che dici. Io lo vedo anche semplicemente con con con gli addetti ai lavori che mi chiedono le traduzioni dei testi e quindi loro fanno particolare attenzione, vanno a leggersi di che cosa parli. Ma lo vedo anche quando finito il concerto scambiamo due parole con il pubblico e vengono fuori degli argomenti di attualità proprio che prendono spunto dalle canzoni.
Ancora da noi questa cosa è un po’ di nicchia, c’è più il canticchiare la melodia piuttosto che le parole derivata soprattutto dalle band inglesi e americane che delle volte piacciono ma non si sa neanche che cosa dicano.
Per noi comunque non è mai stato un ostacolo cantare in italiano perché il messaggio arriva forte e chiaro quando c’è l’attenzione del pubblico.

Come vivete questo periodo di isolamento forzato e come il tempo come band non potendo appunto suonare dal vivo ma anche solo trovarvi a provare…
I viaggi sono lunghi e sono tanti spesso, quindi approfittiamo un po’ per tirare il fiato e per parlare organizzativamente dei prossimi passi che ci sono da fare anche per quanto riguarda le date cancellate. Lì siamo in stretto contatto col nostro management per cercare di recuperarle il prima possibile.
In più cerchiamo di creare delle interazioni con le persone che ci seguono perché comunque insieme a noi anche tante altre persone stanno subendo il momento e pensiamo che la leggerezza che può dare la musica possa essere qualcosa di importante.
Adesso abbiamo appena fatto un contest con con i nostri fan regalando tra chi condivideva il video di Waiting Room il vinile in edizione limitata autografato con dedica e pensiamo sia comunque un modo di sentirsi vicini.
Poi noi ci sentiamo perché prima di essere una band comunque siamo un gruppo di amici, quindi ci teniamo in contatto e viviamo la situazione con un po’ di ansia perché comunque anche lavorativamente parlando non è semplice.
Però cerchiamo di comunque di viverla in maniera costruttiva e quindi di organizzare qualcosa anche per il prossimo futuro che speriamo possa essere meno pesante di questo momento che stiamo vivendo.