EUROVISION 2022: vince l’Ucraina, perde la musica, trionfa l’ipocrisia

Innanzitutto, per fugare ogni dubbio sull’onestà intellettuale della mia critica, premetto che non sono filorusso o filoputiniano e soprattutto che sono probabilmente il più grande tifoso italiano dell’Ucraina all’EUROVISION, visto che per me lo scorso anno dovevano vincere i Go_A con la loro Shum. Per quanto riguarda l’edizione di quest’anno il discorso è un po’ più complesso e andremo a sviscerarlo in questa recensione.

Dopo un anno di grande entusiasmo dal momento del trionfo italiano con i Måneskin proprio in Italia, a Torino, si è svolto l’EUROVISION SONG CONTEST 2022.

L’impressione data dalla manifestazione quest’anno è che questo entusiasmo e il relativo senso di grande partecipazione si sia in qualche modo sgonfiato, che non sia riuscita l’impresa di ripetere quell’atmosfera. Forse perché in quel periodo ancora immerso nel clima di lockdown e di restrizioni abbiamo seguito quella grande festa musicale con un atteggiamento diverso e un diverso approccio psicologico e concretamente avevamo meno da fare.

Questo potrebbe spiegare perché, al di là delle polemiche sulla vittoria dell’Ucraina, sembra che in questa edizione si sia tornati a vedere nell’Eurovision qualcosa di finto.

Dal punto di vista dello spettacolo, niente da dire, soprattutto grazie ai bravissimi conduttori nostrani; se non che, coerentemente con la conduzione anche degli anni precedenti, il tutto è sembrato un po’ velocizzato, un po’ forzato, un po’ finto, confermando l’impressione generale.

Dal punto di vista musicale innanzitutto si vede un meccanismo poco funzionante nella selezione già dalla prima serata in cui, in piena continuità con il “trionfo del rock” a cui si era urlato e inneggiato con la vittoria dei Måneskin, battutisi tra l’altro con altre band rock e addirittura metal, stavolta viene subito tagliata fuori la BULGARIA, unica nazione a portare un sano hard rock, con Intention degli Intelligent Music Project, e con tanto di aggressive fiammate durante l’esibizione. Fuori al primo giro. E tanti saluti al rock.

Poi era interessante anche il brano della GEORGIA, un assaggio di delirante mix psichedelico elettronico, prontamente escluso nella competizione, non sia mai ci fosse troppa originalità. E la stessa sorte è toccata alla dance mista a sonorità mediorientali di ISRAELE.

Bene invece hanno fatto a lasciare a casa SAN MARINO che pensava di fare la furbata rubandoci il performer Achille Lauro (ma se vogliono se lo possono anche tenere) con la sua canzone Stripper, nota anche come “Rolls Royce versione 5”.

Parlando di chi è arrivato in finale ecco i flop e top di questa edizione.

FLOP:

Partiamo dai padroni di casa, i nostri Mahmood e Blanco, che non sono riusciti a fare le veci degli eroi nazionali dello scorso anno, i Måneskin, pur essendo altrettanto divisivi. In molti non trovano niente di entusiasmante in quel mucchio di urletti dal titolo Brividi ma sicuramente la sensibilità dei due artisti, comunque molto bravi nei rispettivi campi, incide nell’ambito della musica urban pop attualmente di moda. Nel complesso di questo Eurovision però risultano totalmente fuori posto; e a proposito di posto, riescono a strappare il sesto.

Andando avanti, la qualità generale rimane bassa:

ALBANIA:

la cantante Ronela Hajati porta un misto tra i reggaeton modaioli e le sonorità orientali che lascia un po’ interdetti.

ISLANDA:

le Systur, sorelle musiciste che compongono questo trio country sembrano le prime ad essere poco convinte. Sicuramente l’isola di Bjӧrk ha tanti talenti particolari da sfornare ma perché non sono tornati di nuovo i Daði og Gagnamagnið che l’anno scorso hanno portato una ventata di freschezza funky?

AUSTRALIA:

la maschera di brillocchi fa pensare a Achille Lauro ma il pezzo dalla melodia classica non suscita alcunché.

NORVEGIA:

le maschere buffe, colori, le allusioni sessuali di Give that wolf a banana, i Subwoolfer hanno sicuramente catturato il pubblico e altrettanto facilmente cattureranno l’air radiofonico e le piste da ballo ma non si può dire lo stesso del testo poco significativo.

LITUANIA:

l’eleganza con cui la cantante sfoggia quel suo vestito lungo e luccicoso rievoca il ricordo di Cher innestato con il caschetto di Arisa, senza che la canzone riesca a rimanere impressa né in un modo, né nell’altro.

E per la serie dei cloni e delle copie abbiamo poi un’Adele armena, una cantante svedese che si presenta bene ma si rivela una brutta copia di Lana Del Rey con un po’ di voce alla Emma Marrone, e per finire, con Ochman della POLONIA l’effetto deja-vù è assicurato.

Risultato comico anche per la ROMANIA: su questo Ricky Martin rumeno si è detto un po’ malignamente che avrebbe potuto dare lezioni di sonorità spagnoleggianti alla rappresentante della SPAGNA, che invece è cubana e ha basato la sua esibizione sull’eclatante esposizione di cosce e glutei come una spogliarellista del barrio, piuttosto che su un qualche senso da dare al suo balletto da tormentone estivo. Tanto fuoco, tanto fumo, niente arrosto (anche se tanta coscia).

Per il resto, Azerbaijan, Belgio, Svizzera, Olanda, Grecia, Portogallo, Australia, Estonia… c’è poco da dire sulle rimanenti: in questo Eurovision 2022 regna una generale tristezza, fatta di canzoni depressive e melense che prendono il sopravvento numerico; e anche quando non è così, in alcuni casi come quello di IRLANDA e REPUBBLICA CECA, si tratta di semplici ritmi costruiti da dj per ballare, o di una sorta di funk jazz poco incisivo come nel caso della LETTONIA.

TOP:

Vediamo invece quali sono stati i migliori tra gli artisti arrivati in finale, quelli che al piattume musicale di pop melodico di quest’anno hanno fatto eccezione e che quindi potevano meritare la vittoria:

REGNO UNITO:

tra i più validi, Sam Ryder, un Mika vichingo, ha una voce che da sola basta a conquistare tutti eppure non è bastata per portare a casa il titolo con la bella canzone Space Man.

SERBIA:

questa strana esibizione in cui la cantante si lava le mani in una bacinella mentre fa una sorta di monologo che facilmente ci ricorda la “peffommans” della Marina Abramovic interpretata da Virginia Raffaele, è l’unica che con un’ironia un po’ inquietante lancia chiaramente un messaggio forte, quello dell’importanza della salute mentale rispetto all’imperante esaltazione della salute e della forma fisica, giocando con il motto latino “Mens Sana In Corpore Sano”. Il testo probabilmente più meritevole di vincere che però forse non è arrivato in modo forte, facendo riuscire a metà la strategia comunicativa.

FINLANDIA:

la rediviva band The Rasmus avrà sempre un posto speciale nel cuore di chiunque abbia vissuto la sua adolescenza negli anni 2000, quando la loro In the shadows con relative immagini del video di questi tizi gotici pallidissimi, truccati e con piume d’uccello tra i capelli, era un must nelle playlist dell’epoca. Ancora in auge in patria e miracolosamente riesumati a livello europeo, si sono presentati con impermeabile giallo che richiama il film It; il brano Jezebel, seppure con un ritornello un po’ telefonato, non è per niente male. A loro quindi doveva andare almeno un premio per il valore affettivo.

GERMANIA:

anche se la sua performance non è risultata eccelsa, Malik Harris meritava, se non la vittoria, almeno un buon piazzamento, non certo l’ultimo posto. Questo per via del numero di cose che sa mischiare muovendosi tra i suoi due idoli dichiarati Eminem e Ed Sheeran. Sul palco dell’Eurovision si mostra come one mand band che suona diversi strumenti mettendoli in loop, canta sdolcinato, rappa, e sa fondere così pop, rock e rap in un unico calderone facendo tutto da solo, con un atteggiamento più adatto ai buskers e al circo che al mainstream.

C’è da dire poi che il suddetto clima di sonnolenza indotta dall’Eurovision 2022 è andato a confinare al ruolo di macchietta i pochi resistenti esempi di quello che era questa manifestazione fino a qualche anno fa, ovvero un colorato carrozzone carnevalesco di costumi e musiche folkloristici dei vari paesi europei. A rappresentare questa sparuta minoranza c’erano essenzialmente la già citata ALBANIA, la FRANCIA, la MOLDAVIA e l’UCRAINA, la cui vittoria è sospetta anche proprio per il fatto che appartiene al novero di questo tipo di esibizioni generalmente poco apprezzate e bollate come trash.

MOLDAVIA:

con il loro rap / ska su musica balcanica, pieno effetto trash, Zdob şi Zdub & Advahov Brothers hanno portato sicuramente il pezzo più allegro, ritmicamente movimentato e quindi il più apprezzato dell’intero Eurovision.

FRANCIA:

insospettabile, rientra in questo ambito perché i suoi rappresentanti sono bretoni e hanno quindi messo in scena la più esplicita celebrazione della fierezza delle loro radici pagane (impara, Giorgia Meloni…) associate alla loro musica tradizionale, con tanto di fuochi rituali, il simbolo di un trisquel gigante e rune celtiche nella scenografia, a dare l’idea che stessero compiendo una sorta di sabba rave satanico in piena Eurovisione (buttando con nonchalance nel testo un semplice “Io danzo con il diavolo, e allora?”).

Insomma, decidetevi: o continuiamo a fare un festival della canzone popolare europea, magari modernizzata in questa specie di sagra elettro folk, che a me andrebbe benissimo, oppure si va verso l’occidentalizzazione e l’appiattimento conformista, verso le hit che siamo abituati a sentire in radio, indistintamente da provenienza e sonorità locali.

Infine, arriviamo alla questione scottante: l’UCRAINA.

L’opinione pubblica è divisa principalmente su due posizioni opposte:

-la considerazione di tale vittoria come un’assegnazione a tavolino, o una pietistica forma di premio di consolazione a una nazione martoriata dalla guerra, che implica anche la protesta verso una presunta manipolazione del contest musicale, sospettando che non sia stata valutata oggettivamente la canzone, poco in linea con quelli che sono i soliti standard suddetti e che quindi, normalmente, non avrebbe vinto (una posizione condivisa dalla maggioranza);

-la giustificazione per cui al contrario la vittoria sia realmente meritata perché, al di là di una possibile influenza nel televoto del pubblico di una palese empatia, la canzone allegra e mista di folk e rap abbia realmente conquistato gli spettatori.

A fronte di questi discorsi è chiaro che possono essere entrambi validi ed entrambi opinabili. Infatti al primo si può obiettare che effettivamente la canzone è tra quelle che potevano ispirare più simpatia e che è stato il televoto a far trionfare il brano dei Kalush Orchestra; riguardo al secondo, non è facile stabilire se la canzone avrebbe potuto vincere lo stesso, visto che fin dall’inizio si ipotizzava una sua vittoria influenzata dal contesto geopolitico attuale.

C’è da dire che la melodia, soprattutto nella parte con i cori e l’uso della telenka, quella sorta di flauto tipico della zona, è effettivamente orecchiabile e tale da rimanere in testa. Non possiamo negare però che la simpatia data dalla situazione possa aver influito più del dovuto.

Non si tratta però soltanto di una rigida mancanza di accettazione di un voto popolare.

Infatti, entrando nello specifico della storia dell’Eurovision, immagino che non tutti sappiano che i Kalush Orchestra non dovevano partecipare all’Eurovision 2022, il cui posto invece spettava alla cantante e rapper Alina Paš, vera favorita per la vittoria con una bellissima canzone, che dopo minacce e attacchi hacker è stata costretta a ritirarsi perché nel 2015 aveva fatto un viaggio in Crimea, andando contro una legge del governo ucraino che stabilisce che l’artista non può recarsi nel “Paese aggressore” o venire da questo (episodio già verificatosi nel 2017 con Yulia Somoilova, cantante russa che per lo stesso motivo non poteva andare a Kiev, sede dell’Eurovision di quell’anno).

A loro volta poi, i Kalush Orchestra che hanno sostituito la cantante in quanto secondi classificati alla trasmissione televisiva selezionatrice, probabilmente non dovevano comunque essere lì, visto che sembra che questa trasmissione sia gestita talmente con modi grossolani che già a inizio febbraio (quindi ben prima della guerra) si parlava di imbrogli e irregolarità nella selezione.

C’è poi il discorso dell’appello fatto dai Kalush Orchestra nella finale che, secondo il regolamento, avrebbe potuto portare la band alla squalifica.

E ad aggiungere benzina sul fuoco, durante questa settimana successiva all’evento sono state lanciate accuse dalla TV della Romania, riguardo a una presunta modifica del voto della loro giuria in favore degli ucraini, che loro avevano invece assegnato alla Moldavia.

Non c’è da stupirsi: anche nel 2016 c’erano state polemiche per la vittoria dell’Ucraina.

Il fatto è che, come hanno riportato diverse testate già prima dell’inizio della manifestazione, da sempre nella storia dell’Eurovision le tensioni e le situazioni geopolitiche incidono in qualche modo sulla gara che inevitabilmente riflette i rapporti diplomatici tra i vari Paesi partecipanti.

Quindi se è vero che ha poco senso contestare la legittimità della vittoria dei Kalush Orchestra, ammettendo che questa sia stata conferita principalmente dai numeri spropositati raccolti con il televoto, rimane il retrogusto di una vittoria “consegnata”, che annulla il senso della competizione.

Quindi la vittoria dell’Ucraina non è che la ciliegina sulla torta della finzione. Potrebbe essere comunque meritata? Si. C’erano canzoni migliori? Questo non possiamo dirlo perché è qualcosa di soggettivo. La canzone Stefania della Kalush Orchestra può certamente piacere a molti (me compreso). Ma in ogni caso è difficile non vedere quell’ipocrisia che, insieme a quanto detto sopra circa le contraddizioni della gara e dello spettacolo in sé, conferma quanto l’Eurovision in fondo sia qualcosa di bello ma finto.