Intervista ai Geller: l’indie orgoglioso di essere pop

In occasione della data milanese del loro Male Male Tour abbiamo fatto quattro chiacchere con Valerio e Dario, il duo romano dei Geller.

So che il vostro nome viene da Ross Geller uno dei protagonisti di Friends, il personaggio “sfigato” che però alla fine…ce la fa a mettersi con Rachel. Voi pensate di avercela fatta o a che punto vi sentite della conquista?

No, noi siamo sempre all’inizio della lotta, ci piace anche vederla un po’ così, ancora tutto da fare, tutto da scrivere. Siamo un po’ al punto di quando Ross sta per dire a Rachel che la ama ma non ci riesce, noi siamo più o meno lì: abbiamo capito cosa vogliamo e ci stiamo arrivando…pian piano ci arriveremo.

Qual è la vostra formazione musicale e quali sono i vostri riferimenti sia storici che presenti?

Veniamo da parecchie esperienze con diverse band prima di cominciare a scrivere assieme. Io (Valerio) ho suonato per anni la batteria.

Io (Dario) quando a 20 anni facevo metal e andavo in giro a suonare in Europa sul furgone, mentre andavo a suonare al festival metal in Germania, ascoltavo i cd degli 883. Quindi il mio sogno era “tra 10 anni faccio un gruppo e faccio il pop degli 883” quindi per me è una sorta di realizzazione di un sogno.
Per quanto riguarda la formazione…infinita, c’è il metal c’è il brit pop, il pop italiano…un po’ di tutto.

Tu (Dario) so che hai fatto anche il conservatorio

Ho fatto il triennio di musica pop sperimentale

Quindi una cosa moderna non il classico conservatorio…

Si, non era uno strumento, io diciamo sono entrato più con la voce ma in realtà si studiava composizione, arrangiamento, pianoforte…un po’ tutta l’infarinatura per tirare fuori un musicista, un arrangiatore, un compositore…però lo facevo già da prima.
Io le prime canzoni le ho scritte a 15 anni, quello l’ho fatto al di là di un’esigenza mia anche perché mio padre, musicista classico mi ci ha mandato “a calci” nel senso che lui mi ha detto “sono contento tu vai in giro a suonare vuoi fare dischi etc,  però se vuoi far questo studi”. Però alla fine mi è servito.

Voi fate dichiaratamente musica pop quando ormai sembra un po’ che la gente si vergogni a definirsi tale. Come mai secondo voi?

Un po’ è un discorso di associazione mentale: se dici che fai indie è più classificabile, moderno, la gente ti associa a Gazzelle, Calcutta…però alla fine è pop quello che fai.
Togliendo le maschere e le parrucche di fatto è quello. Oggi l’etichetta, il fatto di vestire una cosa in un certo modo ne fa anche il destino, perché se rientra in quella categoria lì sta nel mercato. Chiamarlo semplicemente pop oggi è demodè, anacronistico.
Forse la gente associa ancora il pop al mainstream e basta, ad una forma di pop che oggi si ciba di nuovi artisti perché molti della vecchia scuola pop oggi si fanno scrivere i pezzi da Tommaso Paradiso o da altri e poi stentano a fare i numeri che fanno questi live. Dire pop nel mercato moderno ma anche tra gli addetti ai lavori significa parlare non so, di Nek o di Francesco Renga

Voi però non avere problemi a definirvi pop…come mai?

Sarà anche per l’età, ma poi è quello che vogliamo fare. È una forma di onestà intellettuale, non ci piace mettere troppe maschere: rientrare nell’indie ci fa gioco perché siamo nelle playlist, siamo nel mercato e ci chiamano a fare determinate serate, quindi va bene così. Ma se poi guardi realmente è tutta “una parrucca”.

Non vi faccio la domanda sulla scena romana nel senso classico, ma vi chiedo: secondo voi c’è un motivo per cui negli ultimi anni sono venuti fuori tanti artisti romani o è semplicemente una coincidenza che in questo momento ci sono più artisti di talento a Roma e in altri momenti invece altrove?

Secondo me un po’ tutte e due le cose: è un po’ un caso che c’è gente brava, di talento e che ha qualcosa da dire sicuramente. E poi secondo me è anche un po’ un fatto linguistico, di immaginario, se tu vai a vedere la parlata romana è stata sdoganata, diventa quasi mainstream.
Penso a Carl Brave che dice “li mortè” in una canzone che è diventata una cosa nazionale…Pellaria che era un termine solo romano la cantavano tutti a Milano, è un fattore anche linguistico quindi mi verrebbe da dire.
Poi è trasversale il discorso linguistico perché va dall’indie pop alla trap, sempre il discorso del romano diventato un po’ un marchio di fabbrica. La gente ha voglia di questo, dell’inflessione caratteristica perché comunque adesso stanno uscendo anche un sacco di rapper napoletani, cose in cui l’accento è molto marcato e alla gente piace. 10 anni fa magari si tendeva alla dizione classica, non si capiva neanche da che parte d’Italia venisse un cantante, invece oggi è il contrario: più sei personale più arrivi.

Musicalmente invece? C’è un fulcro di produzione che magari attira? Penso a I Cani che dicevano “noi che a Milano ci andiamo per la moda e la radio, per trovare i contatti perché lì stanno le cose” è cambiato anche questo?

In realtà questo è rimasto uguale, tutti gli artisti romani di fatto lavorano con producer di Milano. Anzi i producer che nascono a Roma poi vengono a Milano a lavorare.
Quello che dicevano I Cani è sacrosanto, era così ed è rimasto tale e quale…difatti sono sempre stati i primi.

In che rapporti siete con altri artisti a voi vicini geograficamente o musicalmente? Avete collaborato con qualcuno, c’è qualche progetto in corso?

Ancora no, è in programma ma non c’è ancora nulla di definito. A livello personale però li conosciamo un po’ tutti, non è che siamo amici ma a stare a Roma ci si incontra sempre.
Poi ci sono amicizie collaterali, il produttore di uno o dell’altro, tipo il produttore di Gazzelle è un nostro amico quindi capita di incontrarsi, come con altri.

Nelle vostre canzoni c’è un forte rimando alla vita di periferia, che è poi la vostra periferia ma assomiglia molto alla mia periferia che sicuramente non è romana. È perché tutte le periferie si somigliano in qualche modo o c’è una volontà da parte vostra di non marcare troppo alcuni riferimenti per far identificare più gente possibile?

La periferia è l’ambiente dove siamo nati e cresciuti, fa parte dei nostri testi, tutte le ambientazioni partono dal nostro quartiere anche se ormai Centocelle è periferia ma non così tanto…non è la banlieu parigina!
Non è più quella degli anni ’90, ormai è quasi un posto fighetto perché aprono locali a 100m uno dell’altro…hanno finalmente collegato la metro dopo 30 anni…quindi sicuramente non è più quella di un tempo.
D’altra parte Roma tende ad essere ancora abbastanza rionale, quindi quando nasci in un quartiere hai un senso di appartenenza per quel quartiere.
Quindi probabilmente è come hai detto te, tutte le periferie si somigliano ma bisogna capire di che periferia si parla: c’è quella dove si parla di degrado, di cose anche più pesanti e poi c’è la periferia solo in senso geografico, come la nostra. Infatti nelle nostre canzoni non c’è l’idea di raccontare determinate situazioni di periferia che non ci appartengono come fanno invece altri, peraltro benissimo.

Immagino che tra produzione, promozione, etc. giriate molto, le prossime canzoni risentiranno di questo “allontanamento dal vostro habitat” o rimarrà un vissuto?

Credo che noi rimarremo sempre legati al nostro quartiere anche se domani magari ci trasferiamo a Milano.
Immagino che però lo porteremo sempre dentro e i nostri testi saranno sempre incentrati su quello anche perchè abbiamo vissuto lì una vita.

Uno scrive i testi e l’altro le musiche, è mai successo che uno dei due avesse degli appunti sul lavoro dell’altro, ad esempio come scrivere una frase o sull’atmosfera immaginata con un determinato testo?

Dario sa scrivere in italiano ovviamente, io (Valerio) invece non saprei scrivere da quel punto di vista perché nascendo come batterista non ho grandi conoscenze di armonia, quindi non mi sento di metterci mano. C’è però una sintonia naturale, io ho sempre in mente un mood quando scrivo un testo e fino adesso è sempre successo che lui lo cogliesse prima senza concordarlo, semplicemente dal testo.

Per quanto riguarda il testo invece è capitato di smussare qualcosa in seconda battuta perché magari con la base non funzionava al 100%. È capitato a volte di riscrivere proprio delle cose, altre volte solo di allungare o accorciare per la metrica, però finora che non funzionasse proprio non è mai successo, è capitato solo di rivederle. Che credo sia la normalità

Attualmente state scrivendo cose nuove, contate di uscire subito con un nuovo album o pensate di prendervi del tempo per fare le cose con calma?

Sicuramente adesso usciremo con un singolo per l’estate, poi non so ancora quando sarà il nuovo album ma ci saranno una serie di singoli che lo anticiperanno. Anche perché non ti puoi più permettere di fare un disco e fare mesi in cui non ti fai sentire con qualcosa di nuovo a meno che non sei Calcutta o simili.
Non puoi permetterti di sparire, devi stare sempre sul pezzo, anche il lancio di questo album è partito a settembre e abbiamo rilasciato un singolo ogni 2 mesi, poi dopo 5 singoli è uscito.
L’idea di base è di restare sempre sul mercato…poi vediamo!

Secondo voi è in bene o un male questa cosa? Nel senso, da un lato è un sistema che premia chi ha una produzione costante e continua, dall’altra se uno fa un album veramente bello magari scorre via subito come gli altri…

Eh…boh.
È un po’ il rovescio della medaglia: sei costretto a pubblicare sempre cose nuove per rimanere sempre a galla, però certo tutte le cose che hai fatto prima rischiano un po’ di sparire. Ma fa parte del gioco, questa è la realtà e ci si deve adeguare.
Oggi il mercato è ultra saturo, veramente pochi possono permettersi di sparire per un po’, chiudersi a fare il nuovo lavoro…non so se è un bene o un male, il problema che hai sollevato esiste e ne risente la qualità delle cose, probabilmente si. Però non possiamo permetterci di sparire per non perdere quel piccolo pezzetto di terra che ci siamo conquistati, c’è troppa proposta, escono 1000 cose nuove a settimana.
Noi da quando abbiamo iniziato a pubblicare i singoli non c’è stata una settimana che non uscisse qualcosa di contemporaneo a noi, se prendi la playlist Scuola Indie avrà proposto altri 100 artisti quest’anno, escono cose a raffica: fa venire l’ansia.
Poi non è una forzatura, non è che ci frustiamo per scrivere cose nuove, anzi il prossimo pezzo che uscirà è stato scelto tra una serie di cose che avevamo già pronte, quindi è venuto in maniera abbastanza naturale, non artefatta.

Voi avete sempre suonano con gruppi vostri prima di adesso, non avete mai fatto dei talent?

No, mai.

Se non foste arrivati al successo così li avreste fatti?

No, ci dà proprio fastidio come idea il format.
Adesso poi da un paio d’anni ha anche perso l’appeal che poteva avere, alla gente ormai piace sentire l’autore non l’interprete. Il concetto di talent è diventato davvero anacronistico tant’è che quelli che escono da lì ormai tempo 2-3 mesi spariscono, non mi è mai piaciuto ma oggi è proprio fuori dalle logiche anche di quello che vuole la gente.

E come giudici?

Dipende quanto ci pagano. (risata)
C’è stato un periodo in cui a fare i puristi pensavamo “ah, Manuel Agnelli, l’idolo di una vita va a fare il giudice lì, che schifo”…invece chissene, se ti danno 200mila euro non ci vai? Tanto è tutta una presa in giro.

Fate voi i talent un attimo, un artista che secondo voi non è considerato che consigliereste invece di ascoltare.

Che non è considerato? Non so…ce l’hai un’oretta?
No è complicata, non vorremmo dare del non considerato o del poco noto a nessuno, anche perché non è che conosciamo tutta questa gente emergente…noi siamo non considerati!
Dai ce l’accolliamo noi, diciamo i Geller.