Intervista a Caso

Concludo il mio 2015 musicale con una bella intervista ad un cantautore: Caso. Con estremo piacere perché non nego che il suo disco “Cervino” sia stato una delle più belle sorprese ascoltate quest’anno. Un album da ascoltare la sera, che racconta storie piccole, raccontate con precisa minuzia e accuratezza nell’uso delle parole. Storie in movimento. Quelle che seguono non sono domande specifiche, sono pensate per incuriosirvi e introdurvi all’ascolto di questo preziosissimo artista.

Le tue canzoni sono quasi sempre rivolte a qualcuno, anche nel quotidiano ti sfoghi con gli amici come fai nelle canzoni?
Capita, non spesso. Forse le canzoni sono anche quello, una seconda occasione per dire quella frase o quel pensiero rimasto in sospeso. Ho perso il tempo magari, l’attimo giusto o non ho trovato il coraggio e allora ricostruisco ambiente e atmosfera, scelgo con calma le parole e ci riprovo.

Scrivi canzoni che sono più dei racconti, ricordi nostalgici, malinconici, pubblicheresti mai un libro?
Sei la terza persona che me lo chiede in una settimana. Inizio a crederci. Mettiamola così, se non scrivessi canzoni scriverei altro; al momento sono ancora stimolato dalla musica, se in futuro cambierò rotta, credo che quella potrebbe essere navigabile.

Curiosità: perché non si trovano i testi delle tue canzoni in internet?
Io li metto nei dischi chiari, leggibili e ben impaginati; in rete non mi interessa, non fa parte del mio mestiere. Faccio dischi fisici, di plastica e cartone, e mi piace che certi contenuti siano molto legati all’oggetto, se poi qualcuno me li chiede glieli mando senza problemi. Se qualcuno sente la necessità di caricarli, non c’è problema. Non sarò io a farlo.

Sai che a tratti mi hai ricordato Ligabue in alcuni brani, come la prendi una considerazione di questo tipo?
Non mi stupisce. Volevo che il disco avesse un suono rock piuttosto classico, con arrangiamenti di carattere ma che non rimandassero a particolari scuole o mode del momento. Volevo un suono piuttosto “standard” per non farlo invecchiare nel breve periodo. Piaccia o no, Ligabue è il classic rock italiano, quello più popolare e riconosciuto e io ho smesso di essere snob nei confronti di questi nomi di ampio consumo già da un po’. Per questo non mi interessa prendere le distanze, è giusto che ognuno in un disco ci senta quello che vuole in base al proprio bagaglio e alla propria sensibilità.

Storie in macchina, per strada, di sera, quasi sempre in movimento. Fiumi di parole che si incastrano nelle frasi in modo preciso. Ci racconti il tuo rapporto con questa atmosfera e perché le tue canzoni si sviluppano quasi sempre in questo contesto?
Frequento spesso la notte. Per anni ho lavorato di sera, staccavo dopo le 2 e camminavo per la città buia. Anche ora mi capita spesso semplicemente perché mi piace fare tardi, non andrei mai a dormire. In più la maggior parte delle canzoni, soprattutto di questo disco, le ho scritte proprio di notte. La macchina invece è diventata quasi una seconda casa negli ultimi anni in cui ho girato l’Italia da solo per suonare. Ho cercato di vivere la solitudine di questi viaggi come un’occasione speciale per stare con me stesso; l’abitacolo è diventato un luogo intimo dove poter lasciare andare per chilometri i pensieri come le ruote sulla strada. È  stato a volte molto piacevole e liberatorio, altre volte più difficile, in ogni caso così forte che non poteva non finire nelle canzoni.

Tra i ‘nuovi’ cantautori d’oggi molti purtroppo finiscono per fare il verso ai De Andrè oppure ai Capossela/Mannarino. Tu ti distingui per originalità nel modo di scrivere e nel modo di comporre. Quali sono altri tuoi colleghi interessanti di cui consigli l’ascolto?
Ti ringrazio. Quelli che hai citato non mi piacciono, forse anche per questo motivo fatico ad apprezzare gli epigoni. Sinceramente ascolto poche cose cantate in italiano, pochissime contemporanee e di solito sono delle band, non hanno un approccio cantautorale. Nonostante ciò qualche nome riesco a farlo anch’io: mi piace molto la voce di Riccardo Sinigallia; Colapesce mi pare scriva bene e ha cambiato molto produzione e suoni tra un disco e l’altro, coraggio che apprezzo. Restando in questo ambiente il disco che ho ascoltato di più negli ultimi anni è quello di Toni Bruna, cantato in dialetto triestino a dire il vero.

Sebastiano Solerte