Luminal Vs Rock And More

Una sera qualunque in un bar di Milano. Eppure la musica che il titolare ha scelto come “sottofondo” ha tutto meno che il piglio dell’easy listening. Dalle casse escono le nuove canzoni dei Luminal. Chi non li conosce dovrebbe. Chi li conosce è autorizzato a saltare alle domande.

I Luminal il 13 marzo hanno pubblicato il loro quarto album, secondo con la formazione a tre, “Acqua Azzurra, Totò Riina” (Le Narcisse), anticipato da un singolo dal fervore e brevità punk, “Onora il padre e la madre”, che in 32 secondi riprende il discorso musicale della band che con “Amatoriale Italia” ha riscosso meriti da pubblico e critica. Questo trio, composto da Alessandra Perna, Alessandro Commisso e Carlo Martinelli, o lo ami o lo eviti. Non amano le mezze misure, né musicalmente né personalmente. Nati nella Capitale come quartetto “classico” basso-chitarra-batteria-voce, si trovano in un momento di stallo creativo. Tagliano la chitarra e l’organico dando una forte scossa al loro suono. Più tagliente, più esasperato, più critico e sarcastico. Il secondo episodio promette di seguire le orme del precedente facendo oscillare all’impazzata un’ipotetica lancetta tra gli estremi. La già citata “Onora il padre e la madre” e una ballata quasi classica quasi d’amore “Correre nel buio” sono i due punti più esterni, nel mezzo troviamo l’intro “Professionale Italia” ricavato da alcuni campioni di field recordings e le storie dei personaggi più incredibili, raccontati con crudezza, quasi spiaccicati sulla musica. “Possiamo molestarli un attimo con qualche domanda?” “Certo, sono qui apposta”. Autorizzazione ricevuta. Salutiamo Alessandra e Carlo con le nostre birre in mano e senza troppe cerimonie iniziamo con le domande.

-Ultimamente la gente grida al miracolo per tante band che riportano in auge il suono che tanto andava all’inizio degli anni 90: siamo fermi lì? Non c’è nuova musica da scoprire?

Carlo: Non per quanto riguarda la musica rock. Purtroppo questo genere non dice molto di nuovo, bisognerebbe andare a cercare da qualche altra parte, anche se noi che ci definiamo rockettari siamo i primi a non farlo. I linguaggi moderni sono diversi e bisognerebbe cercare di portare nuovi suoni, come quelli provenienti dall’hip hop o dall’elettronica nel rock. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo “ucciso le chitarre”.

-Quindi voi come vi collocate con la vostra musica?

Alessandra: Non ci collochiamo. Probabilmente a farlo saranno le recensioni che usciranno tra 50 anni. Per noi nasce tutto in maniera molto spontanea, non pensiamo mai ad un genere, per noi è tutto molto naturale.

-Avendo appunto “ucciso le chitarre” e optato per la formula basso-batteria avreste potuto diventare come gli Zu o gli Zeus e invece… quello che siete diventati è nato in modo naturale?

A: Guarda, tutto è nato in maniera molto strana. Prima eravamo in tutt’altra formazione, più classica. Mi ricordo questa passeggiata che facemmo io e Carlo a Roma. Entrando a Villa Panphli dissi a Carlo “perché non facciamo un gruppo basso-batteria-voce?”. Quest’idea mi era balenata per la testa perché avevo sentito una vecchia cassetta di un gruppo che aveva Carlo in cui lui suonava il basso e c’erano appunto la batteria e la voce. Questa cassetta mi aveva trasmesso naturalezza e ho pensato che poteva essere una buona idea per ridarci vita.

-Qual è stata la vostra attitudine appena iniziato? Siete partiti dai live o ragionavate già di pubblicare un disco?

C: Siamo partiti provando in saletta, però avevamo deciso di portarci ugualmente una chitarra, lì nascosta in un angolo… perché non avevamo idea di come sarebbe andata a finire. Era una sala prove vergognosa. Freddissima, con una batteria da 5 euro e la voce che risuonava da un amplificatore per basso minuscolo e l’asta era una scopa con il microfono attaccato con lo scotch. Io ero super raffreddato e sputavo… Una cosa davvero vergognosa.

-Come dividete il lavoro creativo? Vige la regola che ognuno canta quello che scrive o vi scambiate anche i testi ad esempio?

A: Di solito chi scrive canta… anche se ci confrontiamo a vicenda sulle parole da usare.

-L’ultima data nel milanese risale allo scorso Settembre, avevo scambiato due battute con il vostro batterista al banchetto e mi disse che vi dovevate chiudere in studio e non sapevate quando e come ne sareste usciti… invece eccovi qui già con il disco pubblicato. Com’è nato? Che processo avete seguito?

A: I pezzi sono nati in maniera “veloce” e “violenta”, alcune cose abbiamo finito di arrangiarle mentre stavamo registrando. Una mano ce l’ha data anche il nostro produttore Daniele “Il Mafio” Tortora.

C: Diciamo che la fretta è stata un buon consigliere al contrario di quello che si dice di solito. Altrimenti avremmo rischiato di diventare troppo riflessivi. Ci piacerebbe indugiare e ragionare di più sui brani ma rischieremmo di diventare davvero troppo ossessivi e non pubblicare più nulla.

-Provocazione è un termine abbastanza spigoloso, per voi cosa significa? È ancora possibile provocare oggi?

A: Tutto il discorso attorno alla provocazione e alla violenza intellettuale è abbastanza strano… Quando io dico una cosa perché ci deve essere qualcuno che pensa che io finga di pensarla?

C: Noi non facciamo provocazione diciamo quello che pensiamo. Probabilmente i nostri brani, i nostri live vengono visti come provocatori perché alcune persone fanno fatica ad accettarle o sono abituati ad ascoltare altro. E sto dicendo questo indossando un camice di Mondo Convenienza.

 

 

 

— To be continued —