Welcome to Home Festival 2016.

Il weekend è finito, la settimana è già iniziata e ancora non mi sembra vero che sia già finito l’ Home Festival, che si è tenuto dal 1 al 4 settembre a Treviso, Veneto. Da giovedì a domenica, più o meno carica, sono stata presente alle quattro giornate che hanno cambiato faccia alla cittadina trevigiana, portando stranieri da tutto il mondo (anche dalla California), e tutto quanto per della buona musica in una grandissima location, messa a nuovo appunto per il “nuovo” Home Festival.

Day 1: I primi a suonare sono i John Canoe, quattro giovani romani dal carattere deciso e accattivante. La band sfoggia un sound surf rock e un’attitudine garage energica ed accattivante, autentica fino all’ultimo. Con sonorità interessanti e una buona capacità di gestire la situazione live, i John Canoe, tra un arpeggio vellutato e un pezzo più aggressivo, abitano egregiamente il palco per la loro giovane età e la loro poca esperienza. Sono loro ad aprire le danze sul Clipper Stage il 1 settembre: subito a seguire i Ministri scaldano il pubblico che già li attendeva con impazienza. L’energia che la band sprigiona nel live è quella di sempre e non lascia scampo a nessuno, la scaletta propone sia brani di Cultura Generale, in uscita ormai un anno fa, sia i grandi i classici del repertorio dei milanesi che, come pochi altri, sono stati capaci in questi anni di costruirsi un seguito fedele e incrollabile. Pezzi come “Non mi conviene puntare in alto” hanno ancora la ruvidità dei primi dischi, che ha ormai lasciato il posto a scelte compositive  più soft e sempre meno aggressive. Con il passare degli anni, tuttavia, questi brani sono diventati veri e propri cavalli di battaglia che impreziosiscono con ritmiche violente, spezzate, un live che rischierebbe di limitarsi altrimenti ai successi maggiori e a ballate al sapore di zucchero filante. Grande assente in scaletta “Il Bel Canto”, ormai inno generazionale che stavolta lascia il posto a brani più recenti, anche visto il timing limitato del live. A seguire salgono sul palco I Cani, e non posso fare a meno di pensare a quando ai loro concerti eravamo in duecento al massimo, tutti arrabbiatissimi e con tanta bile da sputare. L’esibizione regala senz’altro momenti intensi, ed i brani in scaletta, pescati perlopiù da Aurora e Glamour, sono tutti ben eseguiti, non c’è che dire. I toni sono più pacati, salvo per alcuni dei brani più vecchi che ancora mantengono quelle sonorità super saturate tipiche dell’estetica lo-fi che caratterizzava Il Sorprendente Album d’Esordio. Nonostante i visuals, le luci ben utilizzate e l’atmosfera entusiasta, il risultato finale è di gran lunga più edulcorato di un tempo, ormai è innegabile. Gli obiettivi sono cambiati, il sound è morbido e vellutato e ci si chiede dove sia finita l’energia che animava il pubblico fino allo scorso tour. Fa male dirlo, almeno a me, ma mentre in tempi non sospetti si pogava sotto palco, ormai l’atmosfera è più quella di una serata in discoteca. Finita la loro performance, ho deciso di spostarmi di palco e gustarmi i Selton, band che pian piano sta uscendo dalla sua nicchia e si fa conoscere un po’ da tutti, grazie ad Ho voglia di infinito, pezzo che ha fatto ballare tutti, anche all’Home. Infine, sul main stage fu il momento degli Editors, che hanno saputo catturare il pubblico e portarlo in un universo parallelo. La forza della loro musica, mescolata alla delicatezza della voce di Tom Smith. Un pubblico, il loro, che li conosce e segue da tempo, di nicchia quasi, creando un atmosfera di intimità e familiarità, difficile da ottenere ad un festival. Un live esplosivo e carico degno di una band del loro calibro. Per concludere la giornata, mi sono nuovamente spostati per ballare sui pezzi dei 2manydjs e per tornare a casa con i piedi distrutti.

Day 2: Ad aprire le danze sul Clipper Stage tocca al Teatro degli Orrori, ormai veterani dell’alternative rock italiano più aspro, al confine con uno spietato noise caratterizzato da muri di suono che non lasciano scampo e non fanno prigionieri. Niente da dire: tutto procede come da copione senza intoppi, nonostante la performance piuttosto breve e una scaletta che si concentra sull’ultimo disco del gruppo. Tuttavia sarà per l’orario dell’esibizione, sarà per il distacco ostentato dalla band nei confronti del proprio pubblico, non posso dire che sia un live che ha catturato la mia attenzione. Non saprei dire cosa non vada, probabilmente non c’è niente che non va: la sensazione che mi ritrovo addosso è però di grande disagio, come se la band mi avesse escluso dal suo mondo, mostrandosi a me come qualcosa di diverso e alieno. L’intenzione è forse proprio quella di cominciare una lotta con l’ascoltatore, una guerra con sé stessi, di spogliarsi di ogni emozione e lasciare gli altri altrettanto nudi. Questo effetto estraniante non incoraggia certo ad una fusione con la band che non può avvenire e non deve farlo. A seguire è salito sul palco Alborosie, un gran cambio di genere rispetto alla band precedente. Un salto in Giamaica e subito tutto il pubblico iniziò a saltare e a molleggiare sulle ginocchia. Infine, dopo una grande attesa (un po’ irritante ad un certo punto) sono saliti sul palco i The Prodigy, che hanno fatto esplodere le persone in un enorme pogo. Ho visto mani alzata al cielo a ritmo, ho visto fiumi di sudore e ho visto oggetti volanti. L’unica pecca è stata la breve durata del live, ma ci si accontenta. Dopo il live, era la volta del djset di PendulumLa mia stanchezza però mi ha impedito di resistere molto al loro sound.

Day 3: Il terzo giorno il Main Stage è totalmente dedicato al rap. Ad inaugurare la giornata sono Fred De Palma e Gemitaiz: ne parlo come se si trattasse di un fenomeno unico, di un solo avvenimento, visto che, non fosse stato per il cambio palco, non mi sarei probabilmente accorta si trattasse di due artisti distinti. Vero che il genere non è nelle mie corde, ma non trovo in questi due musicisti nessuno slancio, nessun carattere: esibizioni prevedibili, standard, suoni e testi appiattiti ed ipostatizzati sui luoghi comuni del rap italiano alla Fabri Fibra. Eppure funzionano, il pubblico è empatico e si diverte. E’ proprio quest’ultimo, Fabri Fibra, a proseguire lo spettacolo facendo impazzire un pubblico delirante ma senza apparente motivo. A seguire c’è Salmo, rapper sardo dal passato metal, che ha volontariamente deciso di quasi ammazzare il pubblico con il suo Wall of Death. Fortunatamente nessun ferito grave, non più di quel che il pogo durante i suoi pezzi non avesse già fatto insomma. Un artista che compone testi intelligenti, che arrivano dritto al cuore delle persone. Un rapper che è una grande scoperta per me, molto meglio dal vivo che in cuffia. Un rap graffiante, intenso, metal, che riesce a conquistare anche le anime più rock. In due tende diverse, mi sono dovuta dividere tra gli Eagles of Death Metal ed Iosonouncane, che suonavano nello stesso momento. Hanno vinto i primi, ma qualche pezzo del secondo non me lo sono fatta sfuggire. Gli EODM hanno saputo incendiare il piccolo pubblico che ha attirato con il loro sound americano, un classico rock a stelle e strisce adornato dalla simpatia ruggente dei componenti della band. Un live divertente e soprattutto dal sapore old school. Iosonouncane, invece trovo che abbia perso un po’ di magia in un contesto così vasto come un festival. Ha un sound più intimo, anche se non delicato. L’intensità della sua musica è riuscita comunque ad arrivare, ma non al meglio. Ad incendiare il main stage c’è stato Martin Garrix, dj di soli vent’anni che ha fatto dei suoi mix un impero di soldi (e io a malapena passo gli esami all’università). Un djset intenso, infuocato nel vero senso della parola, ma alla fine sono solo pezzi di altri remixati, suoni accostati pensando funzionino bene insieme e ragazzini esaltati e ubriachi, che sfidano pure i buttafuori.  Mentre sul Clipper Stage si consumava questo trionfo di rapper, mi sono concessa del tempo da dedicare a un gruppo alla dinamite: gli Enter Shikari hanno quasi polverizzato l’Isko Stage. Non appena salgono sul palco il pubblico li acclama e loro lo ripagano con una performance da paura, un’esplosione del tutto fuori controllo di suoni distorti ed energia vibrante. Intensità incredibile, volumi demoniaci e tantissima grinta per questi ragazzi che suonano col sangue e trascinano i presenti in un turbinio sonorità esagerate e folli. Il concerto degli Enter Shikari è un sentimento: quello di chi non ce la fa a non lasciarsi andare, non ce la fa più. In cantante agita in aria l’asta del microfono come un pazzo, bassista e chitarrista volteggiano su sé stessi come ballerine punk di un carillon, un muro di suono imponente ci da uno schiaffo in faccia: tutto va benissimo.

Day 4:  Al Clipper Stage, dopo l’attacco dato da Benji e Fede, è COEZ a proseguire lo spettacolo con melodie pop commerciali ma non troppo, banali ma non troppo, bene o male capaci di mettere d’accordo più o meno tutti. Arriva poi il momento di Max Gazzè, che propone una scaletta varia e sempre di alto livello, facendo ballare e commuovendo, mostrando a un tratto il suo lato più elegante e misurato, e subito dopo dimostrandosi capace anche di tirar fuori sonorità davvero intense. Col suo basso e la sua voce incanta il pubblico, intrattenendolo al contempo con luci, visuals e personaggi sul palco capaci di dare uno spessore molto maggiore al live. Uno stile accattivante per tutte le età, brani eseguiti benissimo e, naturalmente, composti meglio. Dopo lo spettacolo mastodontico e teatrale di Vinicio Capossela, e dopo una mezza tromba d’aria scampata, è il momento dei tanto attesi 2Cellos che con classe e talento rivisitano i grandi classici della pop culture e della musica rock, spaziando dai Coldplay agli AC/DC, da Micheal Jackson ai Nirvana, passando attraverso una cover di “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin a dir poco fantasmagorica.

Un festival che ha accolto 88 mila persone, che ha fatto divertire adulti e più giovani, dal sound eterogeneo e interessante. Home Festival è un luogo dove sentirsi a casa, dove c’è tutto quello di cui hai bisogno ad un passo da dove sei tu: area relax, cibo, bere, abbigliamento, barbiere, giostre divertenti, non mancava nulla. Forse l’unico appunto che farei è il polverone che il terriccio sabbioso ha creato, dando non poco fastidio alle persone. Quello che spero per Home è di migliorare ogni anno di più, senza però perdere quel senso di casa che lo caratterizza. Home is home. 

Carmen Mc Intosh e Chiara Cappelli

(foto per concessione di Home Festival e il suo team fotografi)