Intervista a L’orso


“Ho messo la sveglia per la rivoluzione”: da cosa è nato il titolo dell’album e cos’è per voi questa
rivoluzione?

Il titolo è preso da un brano del disco che si chiama “Il tempo ci ripagherà” e la rivoluzione che intendiamo è una rivoluzione personale, non una rivoluzione sociale armata…

Diciamo che per fare una rivoluzione sociale è necessaria una rivoluzione personale che significa proprio andare oltre il concetto di fare rivoluzione dal computer, quelle che “sto a casa dietro lo schermo, mi lamento però poi non faccio niente di attivo”. Penso invece che la dimensione attiva vada attuata in primis verso se stessi e solo quando si riesce a fare una rivoluzione personale si può provare ad aiutare le altre persone a raggiungere la loro rivoluzione personale; ma così allora ci sarà la coscienza di fare una rivoluzione sociale, cambiare quello che agli occhi di tutti non funziona.

L’uscita del disco è stata anticipata dal singolo “Giorni Migliori” (12° posto nella classifica dei singoli più venduti su iTunes ndr)  con un video dove si offrono “abbracci gratuiti” ai passanti. A questo proposito volevo sapere da cosa è nata l’idea e qual è il messaggio (se c’è) che volete trasmettere…

Il messaggio è quello di partire dai piccoli gesti, dalle piccole cose. Nel video per esempio siamo bendati proprio per dare il segnale che i gesti li puoi fare senza per forza cercare la reazione degli altri o essere in un qualche modo influenzato. Certe cose si dovrebbero fare a prescindere, per vivere meglio tutti e in questo caso l’abbraccio era proprio simbolo di questo, essendo uno delle cose più immediate da fare. L’idea era di rimanere lì e chiedere alla gente di fare un’azione positiva. E sono belle le reazioni che si vedono nel video, anche se ce n’erano molte di più… abbiamo dovuto fare un best of. L’idea era quella di dare un segnale che le cose si possono fare anche se magari sto camminando ma che 5 secondi posso fermarmi a fare qualcosa di bello. È stato bello vedere le reazioni non tanto durante ma prima e dopo l’abbraccio: erano quelle che ci interessava analizzare.

Adesso sorge spontanea la domanda: quali sono o sono stati i vostri giorni migliori?

Speriamo che siano quelli che arriveranno. Anche se la frase nel brano è al passato, resta un augurio al fatto che tornino. I giorni migliori della band è continuare un percorso in cui stiamo facendo tante tappe senza fermarci o prendere deviazioni. Stiamo andando verso un punto, ci stiamo andando dritti quindi i nostri giorni migliori saranno quando si arriverà a questi obiettivi. Ogni volta che arrivi ad un obiettivo, quello si sposta in avanti. Il problema nella nostra società occidentale, come è stato spesso detto, è che tendi a fare dei sogni, o meglio a credere in dei sogni, che quando poi ci arrivi devi cercare di spostarli più in là, perché è drammatico non avere più qualcosa che ti spinge. Ma è anche bene avere dei sogni a cui non potrai mai arrivare.

Ma secondo te lo Stato sta appoggiando questi sogni?

Lo Stato Sociale? (sorride). No assolutamente no. In Italia sia a livello burocratico che di tassazione il costo è elevato. Fare musica ti costa molto di più di quanto guadagni, soprattutto fino a quando non arrivi a certi livelli, e tra l’altro la parte burocratica della musica è assurda: nel senso che io per andare a suonare ed essere in regola con la legge devo avere una assicurazione sul lavoro, che ti viene aperta il giorno del concerto, quindi io vado a suonare sabato e ti viene aperta per sabato. Il problema non considerato dallo Stato però è che i concerti non finiscono a mezzanotte, magari finiscono a mezzanotte e mezza o all’una. Però se mi cade qualcosa in testa e mi prende all’una del mattino, non sono coperto, perché per loro le giornate sono quelle dei lavoratori normali, non di queste categorie “speciali”. Tutto l’apparato burocratico non è funzionale, quindi sicuramente non ci sta aiutando.

Musicalmente parlando, ci sono artisti o generi musicali a cui vi ispirate particolarmente?

Il disco nuovo ha tante sfaccettature, tante idee diverse. Ognuno quando scrive ha dentro di sé le ultime cose che ha ascoltato, i suoi ascolti prediletti, quello che pensa potrebbe funzionare sulla musica che sta facendo. Quindi magari nel disco puoi sentire i Phoenix ma anche il rap italiano… puoi sentire tantissime cose, quindi bisognerebbe analizzare pezzo per pezzo. È difficile fare una sintesi. Soprattutto su questo disco qua, perché magari nei dischi prima potevo dirti Belle e Sebastian o Beirut. Era più un genere solo, diciamo. Questa cosa molto sfaccettata del disco nuovo fa capire che i modelli sono 20-30-40-1000, e posso dire che tutta la bellezza della musica è che la musica che ascolti nella vita ti torna quando meno te l’aspetti, nelle tue canzoni.

Ci sono diverse collaborazioni, tra le quali quella con Matteo Costa Romagnoli della Garrincha Dischi: a tal proposito, com’è collaborare con questa etichetta e qual è il rapporto con gli altri artisti ?

Con Garrincha sono parecchi anni, è dal 2011 che lavoriamo assieme. Ci troviamo molto bene perché, come dico io, è un’azienda a conduzione familiare, quindi tutto molto casalingo e casareccio, nel bene e nel male, nel senso che hai la genuinità e l’apporto di qualcosa molto artigiano, ma dall’altro lato invece non hai quei vantaggi tecnologici ed economici di una band major o qualcosa di più grande. Con le altre band va bene, nel senso che abbiamo suonato spesso assieme nell’ultimo anno. Cerchiamo di collaborare di più rispetto al passato, abbiamo cominciato a chiamarci a vicenda nei dischi, abbiamo infatti lo Stato Sociale e Costa nel nostro e io sono nel disco dei Magellano. Ho seguito lo Stato Sociale per fare una comparsa in “Amore ai tempi dell’Ikea”. Si cerca di fare tante cose assieme anche oltre al mero divertirsi. Si aggiunge all’etichetta questo lato del bere, fare casino e fare i compagnoni. Alla fine penso che la differenza tra noi e le altre etichette stia qui: noi collaboriamo con tutti, un po’ l’idea dell’etichetta rap. A fine marzo infatti faremo una sorta di spettacolo teatrale che abbiamo chiamato “Diversamente felici”, in cui ci siamo noi, le 8 band di Garrincha, tutti assieme con un’unica strumentazione, tutti a suonare con tutti i brani di tutti. Il vantaggio di essere un’etichetta indipendente è che non hai vincoli di tempo e spazio.

Per concludere: l’avete messa o no questa “sveglia per la rivoluzione”?

Io sempre, sennò mi ammazzerei. Se tu non ti alzi con l’idea di cambiare le cose che stai facendo è un dramma. Fortunatamente con L’orso abbiamo sempre ragionato così, nel senso che avremmo potuto fare sempre le stesse cose che facevamo prima, ma bisogna andare avanti. Soltanto l’idea di suonare come suonavamo in questi ultimi anni mi uccideva. Ecco perché è stato necessario il cambio di formazione: perché chi voleva rimanere doveva avere l’idea che le cose erano da cambiare. Con chi invece non aveva questa necessità, non poteva essere necessario continuare a lavorarci. L’idea di rifare tutto uguale non aveva senso. Non abbiamo fatto un disco con l’unico scopo di compiacere, non è così che si fanno i dischi. È giusto cambiare, sperimentare e fare cose nuove.

Marika T.