Mico Argirò – Vorrei che morissi d’arte

ETICHETTA: Autoprodotto

GENERE: Folk rock/cantautorato

ANNO: 2016

E’ uscito il 29 ottobre il nuovo disco del cantautore cilentano Mico Argirò dal titolo Vorrei che morissi d’arte: sette tracce piuttosto variegate, contraddistinte da un forte impegno nella sperimentazione tramite l’inserimento di suoni della vita quotidiana che corrono paralleli alla musica, un folk rock dalle tinte calde con le radici nel cantautorato più classico.

Ecco, classico è un termine adeguato, perché a volte il presentimento è quello che il cantautore sia troppo ancorato ad i suoi modelli canonici e voglia innovare senza rendersi conto che l’uso di suoni registrati e sample non è più originale dai tempi di “Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band”. L’idea è che la struttura generale sia piuttosto ipostatizzata, cristallizzata: i sogni di Mico Argirò sono già stati realizzati da qualcun altro, ed è per questo che nel complesso “Vorrei che morissi d’arte” lascia la musica più o meno nello stato in cui l’ha trovata.

L’album è strutturato secondo corrispondenze precise: si compone di sette tracce i cui nuclei tematici si corrispondono a due a due a partire dalla traccia centrale, la quarta, dal titolo illustre. ‘Money’ è un pezzo che fonde le sonorità reggae arricchite di bonghi e percussioni ad un’attitudine più swing, il cui testo si concentra sulla centralità dell’economia nel mondo moderno. Punto focale della canzone è una citazione – fin troppo didascalica – del famosissimo successo ‘Money’ dei Pink Floyd (1973). Diciamo che rubare, sia pure al fine di omaggiare, una linea melodica riconoscibilissima ai mostri sacri del prog è la cosa più vicina ad un peccato di hybris che riesca ad immaginare. Gli altri pezzi oscillano tra un folk rock con inserimento di riff chitarristici che muovono la melodia ed un’attitudine decisamente più cantautorale. ‘Saltare’ e ‘Chissà se tornerà’ sono le due ballate amorose che non potevano mancare in un album impostato come “Vorrei che morissi d’arte”: la seconda in particolare ricorda un giovane De Gregori, nel complesso il risultato finale è buono. La title track in apertura dell’album funziona da manifesto programmatico, proponendosi di dare vita ad una musica capace di scuotere le viscere dell’ascoltatore, di prenderlo a schiaffi.

“Vorrei che morissi d’arte è il prodotto di un artista che ha buone intenzioni ma deve senz’altro spingere di più, staccandosi da modelli che rischiano di lasciarlo immobilizzato: perché si muoia d’arte bisogna osare. Le possibilità ci sono, quindi staremo a vedere cosa avrà Mico Argirò in serbo per noi in futuro.

Chiara Cappelli