“DRAMMI IRRISOLTI”: LA POLEMICA FEDEZ – DIKELE E I PROBLEMI DEL GIORNALISMO MUSICALE

La lezione da imparare: mai credere ai biscotti della fortuna!

Sì, perché così si è conclusa la discussa intervista a Fedez da parte di Antonio Dikele Distefano, scrittore e giornalista musicale, direttore di Esse Magazine: i due hanno aperto dei biscotti della fortuna posti sul tavolino leggendo il bigliettino all’interno e quello di Dikele diceva: “Con l’aiuto del vostro intuito riuscirete a risolvere una situazione delicata”

Fedez ha fatto una faccia perplessa ed eloquente, a sottolineare che questa profezia non si era avverata affatto; la conclusione quindi la dice lunga su come sia andata.

Di che stiamo parlando? Del caso scottante della settimana scorsa, l’intervista a Fedez da parte di Antonio Dikele Distefano, che in questi giorni è sulla bocca di tutti gli appassionati del settore rap italiano dopo la sua pubblicazione, un’intervista voluta dal direttore di Esse Magazine, nonostante il noto dissapore tra i due, dissapore ben palpabile nel corso di tutto l’evento, e che si è riacceso, o per meglio dire, incendiato, dopo le accuse di Fedez al magazine in questione, che secondo lui non avrebbe pubblicato il video integrale per motivi di censura o forse per la consapevolezza di fare una figuraccia.

La replica della testata a questa versione dei fatti è stata che a ostacolarne la pubblicazione sarebbe stato lo stesso artista con la mancata firma della liberatoria. Ma intanto alcuni spezzoni di video che erano già trapelati diventando virali nei Social, avevano suscitato polemiche per i modi poco amichevoli con cui il tutto si è svolto.

In effetti è eclatante il continuo pizzicarsi a vicenda, con domande sulla musica del tutto inconsistenti, che culmina in una critica fatta da Fedez sulle domande fatte, asserendo la mancanza di riferimento al rapper con cui Dikele lavora, senza farne il nome. La risposta piccata dell’intervistatore è che Fedez lo ha nominato più volte nel corso dell’intervista, aggiungendo “Ho la sensazione che sia lui il tuo dramma irrisolto. Spero ti passi”. E con questa frase decisamente scostante chiude bruscamente il tutto, saluta velocemente e lascia il povero intervistato seduto sul palco a slacciarsi il microfono, imbarazzato.

Questo comportamento piuttosto singolare è una frecciatina al dissing ricevuto da Fedez in un suo brano dell’anno scorso con Tha Supreme, in cui con un insolita verve rabbiosa da rapper incazzato diceva: Dikele che chiede di Fedez ad ogni secondo / vi spiego, mi chiedo se sono il tuo dramma irrisolto”.

Ora, con la pubblicazione del video integrale da parte di Esse Magazine sul proprio canale YouTube, il caso mediatico è esploso.

Insomma, fin qui una di quelle polemiche insignificanti e noiose in cui non vale la pena addentrarsi, se non fosse che, se ci soffermiamo a riflettere su quello che è accaduto senza prendere le parti di uno o dell’altro personaggio, possiamo vedere che sono stati scoperchiati i veri e gravi problemi della scena rap (e musicale in toto).

Nello specifico, emerge il rapporto sempre più drammatico tra musica e media, il vero “dramma irrisolto”, che riguarda da vicino non solo i due litiganti, ma anche il terzo che non gode, ovvero il pubblico. E riguarda da vicino anche gli addetti ai lavori della comunicazione e del giornalismo musicale.

Infatti la polemica sull’intervista ha suscitato diverse opinioni sdegnate anche nel mondo dell’informazione, da Andrea Delogu di Radio 2 a Mario Manca di Vanity Fair a Andrea Conti del  Fatto Quotidiano e ha chiamato in causa addirittura uno dei massimi esperti in materia di scrittura sul rap italiano, su cui ha scritto un libro che è un’istituzione, Damir Ivic, il quale ha pubblicato un articolo su Soundwall in cui in sostanza, replicando al polverone alzatosi per la maggior parte contro l’intervistatore, ha acceso un faro su un problema importante, troppo omertosamente ignorato, quello delle condizioni del giornalismo musicale piegato a “prostituzione” nei confronti degli artisti.

Giustamente egli osserva che “ci siamo dimenticati come si fanno le interviste”, e ci ricorda che non ci si dovrebbe limitare a fare promozione, assumendo atteggiamenti servili e accomodanti, evitando domande scomode nelle interviste, concordandole prima, e in generale dimenticandoci della funzione del giornalista.

Tutto giusto, e fa bene a farlo notare. Peccato che non sia questo il caso. E peccato che, stando alle voci che girano da anni nell’ambiente, sembra che Dikele e Esse Magazine non abbiano molto da insegnare in quanto a integrità e servilismo nei confronti degli artisti (e se così non fosse che lo chiariscano una volta per tutte).

Rivendicando il bisogno di una maggiore professionalità nel modo di fare le interviste, Damir Ivic di fatto prende le difese del suo collega e così contraddice la sua giusta osservazione, perché i presupposti che qui mancano sono proprio quelli della professionalità e della competenza nel giornalismo, elementi che in questo caso sono andati a incagliarsi in una banale lite tra ragazzini permalosi (ma entrambi con un ampio potere mediatico).

Così come manca totalmente l’approfondimento sul disco, su cui non viene detta una parola e il bello è che Esse Magazine nel pubblicare il video ha avuto il coraggio di intitolare «Fedez racconta “Disumano” a teatro».

In poche parole, alla giusta osservazione “ci siamo dimenticati come si fanno le interviste”, verrebbe da replicare: “di certo non così”.

Infatti, oggettivamente, quella compiuta nei confronti di Fedez è stata una trappola senza criterio, condotta in modo mediocre e inefficace, che non è riuscita proprio perché l’aver preso le cose sul personale ha portato l’intervistatore a mancare tutti gli affondi, a rendersi lui, ridicolo e antipatico. È facile vedere come: facciamolo punto per punto.

L’intervista inizia già bella tesa: Dikele fa una presentazione in cui ammette che non si sarebbe mai aspettato di trovarsi in questo contesto e che tra loro due “non è tutto rose e fiori”; detto questo, annuncia l’ospite, va a sedersi senza aspettarlo, inciampa sulle sue stesse scarpe di una taglia sconsideratamente grande e si impiccia nello scambio di reciproci “Come stai?” di pura formalità, confermata dal fatto che poi non risponde; da parte sua Fedez, appena entrato e accomodatosi sulla poltrona, chiede ironicamente “Dove sono i cecchini?!”. Un’ironia che provoca il gelo.

E solo dopo lunghi secondi di silenzio, in cui si possono vedere chiaramente i cristalli e le stalattiti di ghiaccio formarsi ovunque sul palco, l’intervistatore risponde con una frase che normalmente dovrebbe tranquillizzare: “Non ci sono cecchini”; ma la dice con l’intonazione freddissima di chi sta cercando di distaccarsi da ciò che ha appena sentito e da quella che sarebbe la sua reazione istintiva.

Da qui comincia un calvario di un’ora e quarantacinque fatto di inquadrature alternate tra un intervistato imbarazzato che spesso si trova costretto a sorseggiare acqua o ad aspirare rumorosamente vapore dalla sua sigaretta elettronica e un intervistatore vestito da damerino, ancora più impacciato, che non lo guarda in faccia e si fa sopraffare da evidenti segni di agitazione: problemi di salivazione da lama andino, fronte corrucciata, sguardo torvo e silenzi evitanti, frasi dette senza scandire bene le parole, errori frequenti nell’esposizione corredati da altrettanti errori della regia.

Questo è l’atteggiamento dell’intervistatore per tutta la durata dell’evento; questo, tradotto nel linguaggio del corpo, è l’indice del suo stato d’animo e quindi del suo livello di professionalità.

Ma basterebbe guardare al modo di porsi e all’educazione nel contesto dello spettacolo: per un intervistatore e conduttore di un evento in teatro, davanti a un pubblico, non è normale accogliere l’ospite sedendosi prima e durante la sua entrata rimanere seduti senza guardarlo, mentre si beve a tonfo, tra l’altro da una borraccia che è messa sul tavolino con due bicchieri, quindi presumibilmente per dare la possibilità di bere a entrambi.

Questo già basterebbe ma andiamo ai contenuti: quando viene posta la banalissima domanda riguardo al genere musicale di appartenenza di Fedez, al quale questo sfugge, dicendo di sentirsi assimilato al pop, a quel punto infila la ripicca personale: “…Però nel featuring con Tha Supreme hai fatto rap o pop?”… In questo è palese una provocazione di chi si sente offeso, non una curiosità pura da giornalista o un approfondimento pertinente al discorso.

Anche quando parlano di Gue, Dikele corregge un presunto errore di Fedez e poi ripete la stessa cosa, fa confusione, si sbaglia più volte, si offende quando gli viene detto che lavora con Gue e con Island Records, e dimostra di essere palesemente imbarazzato e agitato.

Per tutto il tempo Fedez è costretto a spiegare cose ovvie, guarda il pubblico allibito come farebbe chiunque al suo posto, avendo già spiegato esaurientemente il suo punto di vista e non sapendo spiegarlo meglio. Silenzio dall’altra parte. Dikele non risponde, mai. 

Inoltre quest’ultimo in tutte le domande non fa altro che tornare sugli stessi punti e confrontare l’intervistato con alcuni dei suoi colleghi con i quali Dikele collabora, intrecciando il suo discorso e i suoi giudizi a un evidente conflitto di interessi.

Dikele sembra andato lì con l’intenzione di inchiodare l’interlocutore alle sue responsabilità di rapper affermato, al quale non è concesso pensare fuori dagli schemi. Non segue il filo del discorso dell’intervistato, altrimenti non funzionerebbe il suo gioco di farlo cadere nell’ammissione di colpa. E di fatto non funziona, semplicemente perché non c’è logica nelle domande, solo risentimento personale, che trapela anche negli incisi inutili:

F: -“…che poi ci viveva anche Ghali a Buccinasco, no?”

D: -“Non lo so”.

F: -“Ah, va bene, scusa…”

Anche le scritte che compaiono lateralmente nel video, aggiunte nella fase di editing, confermano l’intenzione di porre domande e rigirare le risposte contro l’interlocutore, facendolo passare per bugiardo o per smentire quanto da lui detto (e questo probabilmente era il motivo del dissidio che ne impediva la pubblicazione).

Ora, per quanto sia discutibile il personaggio dell’imprenditorapper, celebrità e attivista a tempo perso (anche il sottoscritto non si è tirato indietro dal massacrarlo nelle recensioni degli ultimi album, vedi qui e qui), Fedez, con la sua visione da influencer, le sue lacrime da coccodrillo televisivo, le sue prese di posizione poco credibili, le sue unghie smaltate e colorate, qui dimostra sicuramente una maturità e una coerenza rispetto all’altro personaggio.

Invece l’emotività che Dikele trasporta nella conduzione, lo porta a fare confusione ed errori nelle valutazioni tecniche. In particolare scivola nella contro-argomentazione dell’interlocutore secondo cui molti grandi artisti collaborano con altri nella scrittura.

A quel punto nega l’evidenza, quando tutti nell’ambiente sanno che in generale il fenomeno è diffuso e comunemente accettato (da notare per esempio che relativamente a questa polemica, proprio Salmo, uno dei principali responsabili del bullismo nei confronti del povero Fedez, ha dichiarato di essere d’accordo con lui su questo). E ancora peggio: subito dopo aver chiuso il discorso, Dikele sembra voler andare avanti con le domande e invece chiede “Secondo te un disco scritto da tanti autori si può definire personale? Non è una critica a te, stiamo parlando di musica…”.

Senza parlare poi dell’antipatia dimostrata parlando della frequenza nella scrittura, giudicando troppo lontano nel tempo un brano come Un giorno in pretura, uscito poco più di un mese prima di quel momento, commentando “Quindi non sei abituato a scrivere”, e aggiungendo con un sorrisino “Io scrivo tutti i giorni”

Per tutti questi motivi, insieme a mille altri elementi che si possono vedere nel video, oggettivamente non si capiscono le voci che si sono levate in difesa di Nostro Signore dei Magazine.

Poi, il fatto che come contenuto sia riuscito è un altro conto: a seconda delle diverse sensibilità e inclinazioni la situazione può risultare divertente, tragicomica o snervante e – noi ne conveniamo con chi ha cercato di darne una lettura positiva – di sicuro non noiosa! Ma quello che si percepisce, e che funziona dal punto di vista dello spettacolo, è chiaramente rancore reciproco. Non sembrano due professionisti in un confronto lavorativo. Sembrano il poliziotto nervoso e l’indagato impenitente che sa il fatto suo, provocando il poliziotto nell’interrogatorio.

Si può concordare con alcune visioni che hanno definito il tutto come un perfetto show televisivo ma non con chi dice che sia un’intervista interessante. O meglio, è interessante grazie al fatto che Fedez sia riuscito comunque a cercare di non sprecare l’occasione, mettendosi molto a nudo su certi argomenti molto personali e anche a mettere in luce e a denunciare dinamiche un po’ torbide che il pubblico non conosce, che stanno dietro alla scena rap e che riguardano lo stesso Esse Magazine.

In pratica Dikele voleva palesemente sputtanare Fedez e alla fine Fedez ha sottilmente sputtanato Dikele.

Contrariamente all’opinione popolare, si può anche concordare sul fatto che non sia stato un brutto spettacolo, ma sicuramente è stato un pessimo esempio di giornalismo. Può risultare divertente per la situazione cringe ma non parlatemi di professionalità: come intervista sembrava esattamente una di quelle di Lundini.

 

 

Oppure, nel migliore dei casi, se vogliamo vederlo come un confronto, può ricordare quello epocale tra Berlusconi e Travaglio in TV da Santoro.

Ovviamente, essendo parte di questo settore siamo d’accordo su quanto sostenuto da Damir Ivic nel suo articolo e ripreso dal altre testate: l’intervistatore o giornalista non deve essere sempre un amico o un promoter degli artisti e un sano contraddittorio è molto più interessante e vero di quello che solitamente viene fatto.

Ma non si può definire un sano contraddittorio un interrogatorio del genere, condotto sulla scia dell’emotività legata ad antipatie personali su questioni così poco inerenti alla musica, fatto a teatro di fronte a un pubblico, in un evento pagato dalla casa discografica dell’artista che sta promuovendo il suo ultimo lavoro, e in due ore parlare di tutto tranne che dell’album.

E anche volendo mettere in difficoltà l’artista, si poteva farlo benissimo con criterio e competenza, partendo dal fare un’analisi musicale (ciò per cui si è pagati, non riusciremo mai a sottolinearlo abbastanza) anziché di gossip.

Stupisce una negazione della realtà così evidente da parte di chi di queste cose si intende, sarebbe preferibile una posizione intermedia e, se parliamo di reazioni della stampa, la dice lunga il fatto che l’articolo più centrato sulla questione, paradossalmente, non derivi da un magazine musicale ma da una webzine di altro settore e che ha tutt’altro target: la bella descrizione fatta da Edoardo Frasso su Mow Mag è un’analisi briosa e perfetta di quello che è successo, che riesce a far sorridere affrontando la questione che sta dietro a tutti i malintesi di cui si è parlato, dentro e fuori dall’intervista, e che avvelenano il discorso alla base, ovvero il predominio del marketing e delle questioni economiche che stanno dietro a tutto, compresi gli stessi problemi del giornalismo musicale di cui sopra.

Forse un pregiudizio, anche basato su valide ragioni, rende difficile prendere sul serio un tamarro arricchito dall’animo sdolcinatamente pop come Fedez, con tutte le sue contraddizioni evidenti e le sue ambiguità; molto più facile prendere sul serio uno come Dikele, che, va detto, solitamente appare sempre preparato nell’intervistare i più grandi big del rap game e si è ritagliato il ruolo di direttore supremo di quello che conta a livello di informazione musicale nell’ambito rap e urban, che a sua volta è quello che conta nel mainstream musicale, quindi la creme de la creme. Ma non c’è serietà in tutto quello che ha fatto in questo caso.

Fedez non può essere il capro espiatorio di tutti quelli che si occupano di rap italiano, quando ci sono problemi più grandi, personaggi finti e dinamiche malate come quelli che emergono da questo caso mediatico e che riguardano proprio l’intervistatore che ne è stato protagonista.

Perché c’è un errore di fondo se consideriamo un problema l’essere divisivo di un personaggio pubblico e non l’atteggiamento dei colleghi artisti, dell’informazione e soprattutto del giornalismo musicale, che non è estraneo a situazioni conflittuali e problemi imbarazzanti che avvelenano tutto il sistema.

Ben venga allora, l’abolizione del clientelismo, della “prostituzione” del giornalismo musicale, dell’egemonia di manager e discografici, del sistema marcio degli stream, ben venga la meritocrazia e la competenza rispetto all’opinionismo musicale e al gossip. Ma non ha senso identificare Fedez come il mostro ibrido fatto di musica finta e becero marketing, quando l’intero mondo dell’industria musicale e mediatica ha le stesse identiche sembianze mostruose.

In conclusione, quindi, piuttosto che puntare il dito contro un singolo, anche fosse lo scemo del villaggio, faremmo bene una volta tanto a cambiare, a concentrarci sulla musica, a smettere di essere ipocriti, a riconoscere i propri errori, e soprattutto a risolvere questi “drammi irrisolti”.

Purtroppo si vede sempre di più che, esattamente come il mondo al di fuori, il mondo musicale è malato.

Speriamo ci passi.