Intervista al cantante “Amos”, frontman dei Magenta#9

Ne abbiamo parlato all’incirca un mese fa: la band bolognese dei MAGENTA#9 ha grinta da vendere e lo ha dimostrato con la vittoria sul palco dell’Ariston nella 33^ edizione di Sanremo Rock.

La band dimostra un forte senso di appartenenza alla sua città, Bologna, tanto che il nome scelto è un indirizzo, Via Magenta, numero 9, in quel quartiere della Bolognina che è la loro base; e dimostra anche un grande senso di appartenenza alla cultura rock. Per conoscere meglio i Magenta#9 abbiamo rivolto qualche domanda al cantante e frontman: Alessio “Amos” Amorati.

Ciao Amos, iniziamo facendo un excursus della storia dei MAGENTA#9 andando in ordine cronologico ma, tanto per fare disordine, partiamo subito con una digressione! Prima ancora di questa band, hai una lunga esperienza pregressa: parliamo di una band heavy metal

Si, si chiama RAIN, è una band storica di Bologna, io sono entrato nel ’98, dal 2000 in poi ci siamo dati una maggiore professionalità e siamo riusciti a fare uscire vari album per varie etichette e questo ci ha permesso di fare molti tour in Italia, in Europa e anche in America nel 2010 con i WASP, una band che ha avuto l’apice del suo successo negli anni ’80-’90 in cui il metal e l’hard rock erano molto più mainstream.

Abbiamo realizzato un DVD che si chiama Come back alive e prossimamente verrà pubblicato anche un libro che ripercorre quell’esperienza a dieci anni di distanza. In America abbiamo suonato coast to coast ed è stato un po’ il coronamento del nostro percorso e di quello a cui si poteva ambire nel metal italiano ed europeo. Ora con i RAIN siamo ancora attivi, abbiamo un disco nuovo pronto che però tarda ad uscire perché dobbiamo capire quando si potrà ricominciare a suonare, perché il genere che facciamo con i RAIN, alla Motӧrhead, alla Guns N’ Roses,  non ha tanto senso farlo se non ci si può scatenare.

Per quanto riguarda invece i MAGENTA#9, come sono nati?

Con i RAIN le cose andavano bene ma nel frattempo, visto che erano tanti anni che avevo nel cassetto dei brani in italiano di mia composizione, nel 2017 ho dato vita ai MAGENTA#9 insieme ad Amedeo Mongiorgi, Fausto De Bellis, Raffaele Marchesini e Michele Cavalca, abbiamo scelto come produttore Marco Barusso e ci siamo concentrati sull’uscita del primo singolo Non si può, uscito il 29 aprile scorso.

A fine maggio è uscito il video, realizzato in stile fumetto da Vanessa Belardo bravissima disegnatrice che lavora proprio per la Bonelli e i Framers, ragazzi di Milano che hanno pensato all’animazione, un fumetto dal tratto bonelliano, qualcosa di molto anni ’90, i fumetti che piacciono a me, tipo Dylan Dog o Nathan Never. Invitiamo tutti a vedere il video sul nostro canale YouTube, abbiamo anche un sito dove trovate tutto.

Poi ci siamo iscritti a Sanremo Rock, con l’idea che era bello anche solo partecipare in un  momento come questo in cui si fa fatica a fare un po’ tutto. È stato molto bello vivere quest’esperienza. Abbiamo vinto, non ce l’aspettavamo, ma questo ci fa molto piacere.

Perché vi definite “I Ceffi della Bolognina”?

È un modo di dire che ci siamo inventati noi perché viviamo, suoniamo, ci divertiamo in questo quartiere dietro la stazione di Bologna che è molto colorato, multiculturale, ci sono molti africani, cinesi, gente da tutta Italia, e quindi il “Ceffo della Bolognina” non è necessariamente un bolognese come me ma chiunque viene in Bolognina ad abitare, a lavorare, a divertirsi. Essendo spesso dipinto sulle cronache locali come un quartiere dello spaccio, delle risse, degli sgomberi, tipici di quei posti in fermento, abbiamo voluto dare una nota di positività e di colore, con ironia, per far vedere che chi vive in Bolognina non è una brutta persona, anzi… È tutto un divertimento, è tutto un programma!

 

Quali sono i punti di contatto e i valori che vi uniscono? E quanto conta in questo l’appartenenza alla stessa città e quindi magari anche allo stesso vissuto?

Conta molto perché considera che io, Amedeo e Raffa siamo di Bologna ma Michele viene da Reggio Emilia e Fausto dalla provincia di Foggia, se non fossimo stati tanti anni a suonare qua, ognuno coi suoi progetti, non avremmo trovato subito questo affiatamento; qui in Bolognina, e a Bologna in generale, ci siamo trovati bene, perché respiri la stessa aria, bevi lo stesso vino, suoni nelle stesse cantine, mangi gli stessi tortellini… E diventi per forza un “Ceffo della Bolognina”!

E poi condividiamo l’idea di fare un rock di stampo stradaiolo, di stampo urbano, proletario, che però mandi un messaggio di recupero dei valori morali, di abbandono della materialità, dei soldi per forza, della macchina bella per forza, sono tutte cose materiali che lasciano il tempo che trovano perché quello che è fonte di gioia, tranquillità e salute sono le relazioni interpersonali che funzionano bene, tutto il resto in realtà non ti serve.

Infatti, questo è proprio il messaggio del singolo, no?

Bravissimo, questo è il messaggio di “Non si può”, che – senza fare polemiche perché la musica deve unire, non dividere – si contrappone all’idea di essere furbi, non lavorare ma fare i soldi lo stesso, non studiare… Io credo che con il sacrificio si crei qualcosa di molto più duraturo del successo ottenuto con la furbata o dando un’immagine sui Social che non è supportata da niente; rispetto anche questo approccio ludico perché fa divertire, ci sta, ma non bisogna crederci troppo. Credo che per una band che fa rock sia giusto dire queste cose.

Infatti non è usuale nel rock, che è visto spesso come un genere da “duri”, ma forse il vero “duro” è proprio chi capisce e manda questo tipo di messaggio…

Noi siamo dei duri che ti danno questo messaggio qui, siamo i Ceffi della Bolognina: ne hai capito proprio l’essenza! Il duro è quello che si fa il culo lavorando per mantenere la famiglia ma se ha la passione per la musica la porta avanti e non per i soldi o per il successo perché tanto, finito quello, se non hai altro cosa fai?

E infatti nel brano la frase “Non si può”, una sorta di slogan presente nel brano come continua risposta alle varie prospettive che vengono elencate nelle strofe. Curiosamente, è uscito proprio nel periodo della quarantena e sembra una perfetta descrizione della privazione di libertà. In un certo siete stati anche profetici, senza volerlo… Questo può essere dovuto al fatto che c’è una verità in quello che dite che vale a prescindere? E quindi si potrebbe dire che questa canzone è contro il sistema?

Si, assolutamente. Hai fatto un’analisi che io non avrei saputo fare meglio: è esattamente quello che è successo, quello che abbiamo vissuto e che volevamo dire. Il lockdown è stato come un evidenziatore che ci ha portato a vivere ancora di più quello che volevo dire io in quella canzone. Perché se ti trovi chiuso in casa con delle persone con cui non stai bene, come fai? E anche se hai la villa a Montecarlo con cento piscine ma con una persona con cui non stai bene, è inutile.

Quindi può essere una dimostrazione del fatto che anche prima della pandemia c’erano cose che “non si potevano fare” e che quindi, a livello di società,  forse non dovremmo tornare alla “normalità”, perché era già sbagliato il mondo e il sistema in cui ci trovavamo a vivere?

Esattamente. È quello che speravo che tutti capissero e che vorrei diffondere.

Sempre a livello di testo, in quel “Non si può” ripetuto, c’è una somiglianza con testi di grandi cantautori italiani, mi viene in mente “Si può fare” di Branduardi e ancora di più “Si può” di Gaber, che è anch’esso un testo riflessivo, aperto alle interpretazioni e ironico. Ci può essere una continuità in questo?

Assolutamente si, noi abbiamo il rock duro e il metal come coordinate musicali ma vogliamo arrivare al pubblico italiano più vasto possibile, parlare alla parrucchiera, alla tabaccaia, alla nonna, alla zia; per cui i cantautori italiani sono un nostro grande punto di riferimento, come Vecchioni, Gaber, Battisti, Gino Paoli… Poi noi abbiamo vissuto la nostra adolescenza negli anni ’90 in cui c’erano molte rock band italiane che col tempo si sono un po’ perse, come Litfiba, Negrita, Ritmo Tribale… Ci vuole qualcuno che porti avanti questo tipo di musica e noi cerchiamo un posticino in questo.

Nel video del brano comunque ci sono riferimenti alla quarantena…

Si, abbiamo pensato che sennò avrebbero detto “ma di che staranno parlando che siamo tutti qui inchiodati al divano?”… Volevamo che fosse attuale.

E negli sfondi mi sembra anche un po’ una dichiarazione d’amore verso Bologna…

Si, amore verso la nostra città, il nostro quartiere ma comunque verso l’Italia in generale perché io credo che sia un paese fantastico, che può dare molto a chi viene da fuori e che l’integrazione vada portata avanti ma non dobbiamo perdere le nostre peculiarità e la nostra tradizione. E poi, anche se ho visto tanti paesi, sono sempre tornato volentieri in Italia perché penso anche che, se c’è qualcosa che non ti va bene, non devi scappare e aspettare che la cambi qualcun altro ma fare tu qualcosa in prima persona per cambiarla.

Avete dei progetti in ballo?

Stiamo già lavorando per far uscire un nuovo singolo verso gennaio e il disco completo a fine aprile per poi, se il Covid ci molla e ripartiamo con i festival, suonare da maggio in poi ovunque all’aperto. E che Dio ce la mandi buona!