KuTso: una quarantena creativa

kuTso!

Non vorrei esordire con un’esclamazione volgare, perciò è scritta in modo diverso. Ma è esattamente quello che viene da dire sentendo l’ultimo lavoro dei kuTso.

Per chi ha esordito in questo mondo delle recensioni e della scrittura a tema musicale proprio parlando di questa band, non può che essere un grande entusiasmo quello che accompagna l’uscita di “È andata così”, per Aloha dischi, distribuito da Artist First: tre tracce scaturite dal periodo di reclusione forzata per via della quarantena e un titolo che riprende lo slogan ottimista #andràtuttobene e lo rovescia in una considerazione attuale piena di rassegnazione: È andata così

Ponendo la domanda (retorica) –“siamo più meglio di prima?” – riassume benissimo la confusione e il senso di stranezza che questo evento catastrofico ed epocale ci lascia, con tutti gli annessi e connessi. Espressi in musica con toni riflessivi, surreali, ironici, con considerazioni amare e depressive e tentativi di reazione. Non c’è titolo più azzeccato.

Effettivamente anche in quarantena i kuTso non sono risuciti a stare fermi! Già dopo pochi giorni dall’inizio del lockdown, il vulcanico Matteo Gabbianelli ha cominciato a organizzarsi e riunire la sua band a distanza, creando un singolo benaugurante e ottimista sulle date, troppo ottimista, tanto che prima di pubblicarlo ha fatto in tempo a cambiare le parole e rimandare la data prevista in cui immaginava l’annuncio: “Potete uscire“. 

In realtà, come sempre si può osservare nel linguaggio dei suoi testi, si tratta di ovetti di dolce cioccolato che si scioglie in bocca, ma contenenti un gustoso ripieno di dinamite mista a c4. Intinta nel veleno.

La patina di musica “leggera”, ritmicamente coinvolgente, su una confortante base simil-reggae, maliziosamente orecchiabile, piena di brio, energia ed entusiasmo contagiosi, nasconde un cuore esplosivo di critica sociale e pessimismo cosmico, infatti nel cantare l’idilliaco desiderio del ritorno alla normalità viene rivelato quanto questa che noi chiamiamo “normalità” sia invece assurda, denunciando ad esempio le disparità sociali, l’inquinamento e i comportamenti più stupidi e inflazionati della massa.

 

Sul finire della quarantena invece è uscito questo brano più sciolto e atmosferico, dal ritornello con virtuosismi vocali, in cui vengono messi in risalto gli aspetti caratteristici, soprattutto quelli più buffi, che ci hanno accomunato un po’ tutti in questo periodo, dalla mania di fare la pizza e il pane in casa, passando per il bollettino di aggiornamento quotidiano, l’amuchina, il fare la spesa come unica attività sociale, con la promessa che il Lunedì avrebbe sancito la possibilità di tornare finalmente a poter rivedere i propri congiunti. Ecco Ti chiamo Lunedì.

Due pezzi in pieno stile kuTso, insomma, ironici, divertenti e che suscitano ammirazione per presenza scenica e tecnica (guardatevi a questo proposito il sorprendente video di Potete uscire girato in piena quarantena in casa, con tutta la band, suonando a distanza, al contrario!), anche se molto pop e rilassati, senza il rock totalmente delirante che la band sa scatenare. Due bei brani che fanno riflettere, strappano un sorriso, anzi, più di uno, belle canzonette, non c’è che dire, ma niente di sconvolgente.

Ma è oltre la metà di giugno che è arrivata la bomba!

Nella sua traboccante brocca piena di creatività Gabbianelli ferma i suoi pensieri su questo periodo in una sorta di diario finale dal titolo, decisamente significativo, Casa dolce casa.

E lo concepisce su una base inspiegabilmente anni ’80 con gli accordi di m8nstar di Tha Supreme adattati alla batteria di Walk this way, chiedendo il contributo a un vecchio amico con il quale aveva già collaborato nell’esilarante Fatti d’ansia, ovvero il mitico Gabriele Graziani, in arte Chiazzetta, il quale accetta e glielo rimanda – stando a quanto dichiarato dal Gabbianelli – “con una voce registrata di merda che pareva il citofono rotto di un centro anziani abbandonato, ma il cantato aveva un flow pazzesco che manco i Public Enemy”.

Con l’aggiunta del ritornello in cui condensa riferimenti a “malinconia”, “allegria”, “fiori di Bach” e “chiappe chiare”, cambia totalmente l’atmosfera che diventa spaziale/elettronico/psichedelica esasperata dall’interpretazione nel video da parte dell’attore e autore Valerio Desirò.

Quello che è impressionante è che le strofe velocissime rappate da Chiazzetta, che non è un rapper “di professione”, sembrano venire direttamente dagli anni ’90 e avrebbero da insegnare a molti rapper attuali in fatto di metrica e ritmica per il parlato “sporco” e il crescendo che cattura completamente, perfettamente inserito nel ritmo della canzone.

Un rap che ricorda qualcosa e che forse, contemporaneamente, è qualcosa di mai sentito, per la follia che trasuda e il senso del ritmo incalzante fuori da ogni contesto. Che rende l’intera canzone come un viaggio nel tempo al di fuori della nostra dimensione e rende l’intero EP un vero spasso.