Intervista a La Convalescenza: non puntiamo alla guarigione

In occasione del loro live al Rock and Roll di Milano abbiamo fatto una divertente chiaccherata con La Convalescenza, freschi di pubblicazione del secondo album, Palafitte di Creta.

Ecco cosa ci ha rock band modenese composta da Luca Pifferi (voce), Manuel Baraldi (basso), Nicholas Giordano (chitarra), Luca Campanozzi (chitarra) e Francesco Roncaglia (batteria).

La prima cosa che vi chiedo è proprio rispetto al live e al fatto che alcuni pezzi dal vivo, anche a livello vocale, sono un po’ più duri, anche quasi urlati. È una direzione che volete prendere per il futuro o semplicemente un adattamento live?

Luca P. – Ti rispondo io perché penso di essere il principale interessato. Io vado molto in base all’umore di cui sono durante la serata o in quella particolare giornata per cui ci sono magari sere in cui canto un po’ più leggero, un po’ più addolcito e certe occasioni in cui tendo a graffiare un po’ di più e a sporcare un po’ di più quasi come sfogo della giornata.

Altra cosa che ho percepito dal live è che sembrava il palco vi stesse un po’ stretto, siete una band che preferisce muoversi molto, riempire anche fisicamente il palco?

Luca C. –Si ci prendiamo un po’ lo spazio, di base ci piace occupare tutto quello che ci danno nel senso che ci interessa proprio come aspetto visivo. A parte che non suoniamo quel tipo di cantautorato più intimo da chitarra e voce, quindi è un genere che se lo fai fermo impalato vai a perdere tantissimo. In primis però è proprio che ci viene naturale, se ci dai uno spazio ce lo prendiamo.

Luca P. – Poi ci piace sentirci vicini, scambiarci il sudore…è una cosa di comunione (ridono)

La convalescenza per definizione è una fase di passaggio, di transizione. Anche voi vi vedete sempre in cambiamento, in transizione ed eventualmente qual è il punto di arrivo, la “guarigione”?

Luca C. – Si ma in realtà in quanto Convalescenza non vuole in nessun caso un punto di arrivo quindi una guarigione, altrimenti smetterebbe di esistere.  La Convalescenza non dà risposte ma urla le domande quindi anche ascoltando il nostro disco non si hanno risposte niente ma semplicemente perché noi non le abbiamo trovate. Anzi se qualcuno le avesse ci scriva subito via mail o altrove!
Quindi uno stato di transizione perenne che noi viviamo come la necessità di non doverci fermare ad un tipo di sound o di genere ma di sentirci liberi di essere in continuo divenire.

Manuel – L’obiettivo è sempre stato quello di usufruire di questo stato di transizione per arrivare a fare musica, non c’è una guarigione, la guarigione per noi è tramutare tutto questo in musica.

C’è una certa rabbia di fondo in tutte le vostre canzoni…che cosa vi fa arrabbiare?

Luca C. – Che non troviamo le risposte alle domande che ci facciamo! Quindi di base nasce tutto nasce dal fatto di continuare a interrogarsi ma senza ottenere risultati.

Chi scrive cosa?

Luca C. – I testi sono miei, la musica invece di solito tendo a scrivere un primo scheletro perché ovviamente quando hai delle parole te le canticchi anche e quindi ti dai un’idea di cosa potrebbe venir fuori. A quel punto si va da Manuel, il nostro ingegnere-producer, che dà un filtro a tutto quello che viene fuori e indirizza l’idea verso la bozza della canzone. Poi da lì ci mettiamo tutti le mani e ognuno mette la sua parte.

Francesco – Io lavoro a stretto contatto con Manuel che di solito arriva con un’idea come un tappeto di violini o di piano e la mettiamo giù assieme. Sulla batteria invece loro danno una base di quattro quarti e poi io avendo rimandi metal tendo a inserire più doppia cassa che posso…anzi mi limito per non sfociare nel death metal! Da qui si inserisce la linea melodica per la voce e poi Nicholas si occupa di curare il suono e le chitarre

Nicholas – Si, cerchiamo sempre di trovare un modo per differenziare le due chitarre anche se in linea di massima fanno più o meno la stessa cosa, magari alternandosi. E come per le chitarre anche per gli altri cerco sempre quella virgola in più che possa dare una sfumatura al pezzo e ai singoli strumenti.

I pezzi nascono con l’idea di essere suonati live o registrati in studio?

Manuel – No nascono per lo studio, con l’idea di cercare di dare il meglio possibile in studio. Poi vengono portati live ma con la tecnologia attuale tutto quello che riesci a fare in studio bene o male riesci anche a trasportarlo sul palco.

Luca C. – Non ci sono note sul disco che non vengono riportate live, tutto quello che c’è sul disco c’è anche sul palco.

Manuel – Chiaramente, per avere il suono pieno tanto sull’album quanto live, sul palco utilizziamo delle basi e un synth.

Nel precedente album c’era un brano, Mascara, decisamente più melodico e acustico. È un percorso che avete abbandonato o semplicemente questa volta non vi è venuto?

Luca P. – In realtà Mascara è stata la prima canzone che abbiamo scritto io e Luca a 4 mani nel 2013 quando eravamo ancora un duo acustico…

Luca C. – …progetto con il quale abbiamo fatto ben 1 data al bowling di Modena!

Luca P. – È  un pezzo che è nato da una situazione che vivevamo entrambi in quel periodo ed essendo uscito fuori così, chitarra e voce come suonavamo all’epoca, lo abbiamo poi inciso in quella che era la versione originale. Però in realtà è stata di fatto una parentesi perchè ormai tutto quello che facciamo nasce come La Convalescenza e quindi prevede l’uso di tutti gli strumenti di noi cinque, anzi anche di più se contiamo le parti orchestrali

Il vostro suono sembra molto spontaneo, molto viscerale. Quanto lavoro dietro c’è in realtà in studio?

Manuel – C’è tanto ragionamento e tanto lavoro a casa prima ancora che in studio. Abbiamo abusivamente occupato la sala da pranzo di mio nonno che abbiamo adibito a studio dove nasce la prima impalcatura dei brani che vengono poi ripresi con il nostro produttore Federico Ascari. Da lì in poi noi ci concentriamo soprattutto sulla fase di registrazione e sul suonare dando il 100% poi è lui che ci propone cosa fare nella fase di produzione ma abbiamo avuto la fortuna che dandogli un paio di indicazioni ha capito subito cosa volevamo e dove volevamo arrivare.

Quali sono le vostre derivazioni musicali?

Francesco – Io ho cominciato con il black metal e ancora oggi suono anche in una band di quel genere ma sono anche un grande fan della disco music anni ’70 e del rock di quegli anni. Una cosa quindi completamente diversa ma molto formativa e utile nella scrittura musicale.

Nicholas – Io invece sono sempre quello un po’ “vecchio” quindi ascolto principalmente blues che credo sia il genere che maggiormente permette ad un chitarrista di legarsi con lo strumento e anche nel mio caso per quel lavoro di rifinitura che dicevamo prima è un genere che mi ha insegnato tantissimo.

Manuel – Per quanto mi riguarda io mi sono approcciato alla scena rock con quello che era il punk-rock californiano quindi Blink 182, Sum 41, Offsping e compagnia, poi da lì indie rock inglese per finire dell’emo-core o nel metal-core con band anche come i Bring Me The Orizon che oggi si sono riciclati molto. Tendenzialmente quasi nulla di italiano e un po’ credo che nel nostro sound si senta.

Voi che siete partiti come duo acustico invece? Cosa ascoltate?

Luca P. – Io mi sono sempre posto l’obiettivo, forse irrealizzabile, di essere vocalmente il più completo possibile. Forse anche per questo ascolto un po’ di tutto, da Vasco Rossi agli Slipknot, da Ligabue a Marilyn Manson ma anche Sex Pistols o Ramones.

Luca C. – Per me invece vince la scuola italiana perché penso che il testo sia la parte più importante di una canzone: sotto puoi avere anche un ukulele scordato ma bisogna che io ascoltando un disco esca con due domane in più e magari anche del malessere maggiore. Quindi per me Ministri, FASK, Gazebo Penguins ed Endrigo sono le band di riferimento. A livello internazionale invece dico anch’io Bring Me The Orizon, una band perfetta.

Quindi visto che il testo è al primo posto non prendete in considerazione di passare a scrivere in inglese nonostante il vostro genere si presti particolarmente?

Luca C. – L’inglese non lo parlo, figuriamoci scriverlo! (ridono) Il massimo dell’internazionalità a cui posso arrivare è scrivere un testo in foggiano.

Luca P. – Pensiamo in italiano quindi ci esprimiamo in italiano per farlo al meglio

Ultima domanda, progetti a breve e a medio termine, cosa dobbiamo aspettarci?

Luca P. – Intanto vogliamo portare in giro questo disco, Palafitte di creta, il più possibile. È fuori ormai da 2 mesi e mezzo e siamo sicuri di poter avere tante opportunità nel 2020 di poterlo far ascoltare dal vivo. Poi sicuramente entro l’estate usciranno altri due singoli dal disco ma abbiamo già altro materiale che pian piano prenderà forma. Ma non vogliamo spoilerare troppo!

Luca C. – Per il momento il prossimo appuntamento ce l’abbiamo in casa il 17 gennaio all’Off di Modena e siamo super carichi!