Intervista a Le Feste Antonacci: “torneremo con un EP Di Poche Parole”

Durante la loro ultima tournée italiana abbiamo fatto una bella chiacchierata con Le Feste Antonacci, al secolo Giacomo Lecchi D’Alessandro e Leonardo Rizzi, che con la stessa ironia ed energia che li caratterizza sul palco ci hanno raccontato qualcosa di più di loro e dei loro progetti.

Avete fatto successo prima in Francia e poi in Italia. Solo una casualità dovuta al fatto di vivere lì o c’è effettivamente un’apertura maggiore verso le novità?

G.: Entrambe nel senso che in Francia ci sono piccole realtà come radio Nova, più ricettive verso la musica non francofona, a cui piace andare a cercare nella fascia che sta tra il mainstream e l’underground. Poi si, abitando in Francia siamo partiti da lì ma sapevamo benissimo che avere successo lì ci avrebbe aiutato ad arrivare anche in Italia invece che provare a puntare subito sull’Italia e fare il contrario.

L.: E poi è piaciuto il nostro sound e abbiamo anche subito trovato un editore che ci ha preso sotto la sua ala (poco) protettiva, un’ala molto piccola al momento ma che rimane una presenza da apprezzare per l’interesse nel nostro lavoro. Anche questo ha fatto si che iniziassimo a sviluppare molto di più in Francia.

G.: Anche se ultimamente l’abbiamo un po’ trascurata: lì ci ascoltano ancora ma facciamo pochissimi concerti perché ormai abbiamo questa fissa per l’Italia dove ad oggi siamo più proiettati.

Meglio vivere in Francia o meglio vivere in Italia?

G.: Dipende dalle cose…(ridono)

L.: Diciamo che per quanto riguarda il lavoro del musicista e tutti quelli connessi la Francia dà sicuramente più la sensazione della fattibilità, viene in mente che uno possa condurre una vita degna occupandosi di musica: che sia composizione per immagini oppure il tuo progetto. E lo Stato è comunque abbastanza presente.

G.: Ad esempio tutti i nostri musicisti hanno un inquadramento che si chiama “intermittente dello spettacolo” per cui se tu fai un certo numero di date all’anno lo stato ti garantisce un certo compenso. Quindi scegliere di fare il musicista diventa una scelta molto più leggera rispetto all’Italia dove ad esempio la metà dei musicisti che io conosco a Genova, anche bravissimi, fanno altri lavori per vivere. O come diceva la moglie di mio padre quando dicevo che volevo fare il musicista “ma sei tanto bravo, trovati un VERO lavoro”.

Si in effetti il lavoro dell’artista in Italia è molto più precario…

G.: E veramente non è vissuta come una professione, per l’italiano medio la musica non è un lavoro…

L.:  In Francia invece si, è una figura comunque riconosciuta, è come dire lui è avvocato, lui è impiegato…lui è musicista.

G.: Hanno capito che lo spettacolo è un’industria vera, che può generare guadagni e che fa bene alla gente.

L.. Quindi da questo punto di vista meglio la Francia.

G.: Dal punto di vista del paesaggio e degli scorci…meglio l’Italia!

Tornereste a vivere in Italia?

G.: e L.: Si!

G.: Mi farebbe strano al giorno d’oggi però si

L.: Anche se lasciare Parigi…

G.: …ecco si, più che la Francia, Parigi che secondo me è un giusto compromesso tra l’Italia e l’Inghilterra: c’è ancora un minimo di cultura mediterranea, sono italiani che vorrebbero essere inglesi. E un po’ ne soffrono.

L.: Comunque si, la cosa più difficile sarebbe lasciare Parigi, ma comunque ci pensiamo.

Parliamo invece di musica, voi avete un sound molto “da live”. C’è una difficoltà nel trasferire questo tipo di musicalità in fase di registrazione?

G.: In realtà è successo il contrario perché prima è nato il disco dove ci sono queste produzioni mastodontiche con un sacco di piste e un sacco di cori. Quindi in realtà si è stato molto difficile il contrario, trasformare questi pezzi super prodotti in un live per 5 musicisti, il tutto con l’ulteriore difficoltà che io non avevo mai cantato e suonato contemporaneamente mentre lui tra le varie cose fatte un passato in questo senso lo aveva…

L.: …si una carriera da matrimonialista. Comunque si il passaggio è questo.

G.: Poi per fortuna abbiamo dietro quattro musicisti che spingono parecchio quindi l’adattamento al live non si è rivelato facile ma neanche così difficile.

L.: In questo senso abbiamo anche un’identità in evoluzione perché anche loro quando proviamo sono coinvolti nel processo compositivo, pur continuando solo noi due a portare avanti le produzioni. Poi adesso ci sono produzioni che nascono già con un’idea corale che cerchiamo di sviluppare live anche se c’è chiaramente una difficoltà nelle voci di tipo linguistico, perché è difficile per loro imparare un testo in maniera efficace in una lingua che non parlano. Diventa un po’ come se io imparassi degli Haiku giapponesi: posso farlo ripetendo il suono ma non è quello il senso… Però iniziamo a vedere progressi anche in quella cosa lì, senza contare il plus di energia che portano dal vivo.

G.: Tra l’altro c’è anche una volontà nostra di non fare il live uguale al disco, non ci piace fare come fanno parecchi artisti che visti dal vivo sembra di sentire il CD.

Ve lo chiedevo anche perché i vostri brani anche nella durata sono fuori dai canoni anche radiofonici e sembrano appunto nati più per una dimensione live,  un po’ forse anche il vostro nome: Feste rimanda subito ad una cosa partecipata…

G.: ci piacciono le code infinite dei pezzi (ridono)
L.: Per quanto riguarda la durata in effetti noi abbiamo un’idea di un pezzo, poi in fase di registrazione spesso accade che alla fine ci si lasci andare e a quel punto però una volta registrate queste code sono spesso il momento che preferiamo e che guardandoci diciamo “e adesso dove lo tagli?”. E quindi rimane.

G.: Tanto abbiamo la fortuna che ormai la radio rimane importantissima ma c’è internet, quindi se uno un pezzo da 8 minuti a un certo punto si scoccia…just skip it man!
L.: Ognuno fa lui l’edit dove preferisce

Come funziona la scrittura? chi scrive cosa?

L.: è un processo pienamente collettivo, anche perché abbiamo due approcci differenti. Inizialmente c’era anche una frizione a livello compositivo perché lui (Giacomo) dal materiale che si sta creando cerca di ricavare quello che sarà poi il pezzo. Io invece ho più una volontà di controllo mentale a priori e allora all’inizio c’era un po’ di confusione. Ora invece tra queste due vie se ne è creata una comune in cui cerchiamo si di capire cosa può venire fuori dal materiale che stiamo producendo ma allo stesso tempo ci prendiamo dei momenti di riflessione per ragionare sul brano nel suo insieme a livello concettuale.
Abbiamo sempre entrambi molte idee ma quella che poi diventa la musica de Le Feste Antonacci di solito è solo quella che esce dalle sessioni di lavoro collettivo.

Quindi entrambi scrivete assieme sia testi che musiche

L.: si, testi frutto solitamente di grandi riflessioni. Le musiche di solito più spontaneamente e poi un arrangiamento in forma libera: si fa girare il progetto e si ragiona su cosa aggiungere o modificare. Capita talvolta che un elemento marginale diventi strutturale e quindi spinga  il pezzo verso una direzione diversa da quella iniziale.

I vostri riferimenti musicali posso immaginare siano quelli delle cover quindi Battisti, Matia Bazar…

G.: si questi più Battiato direi

Contemporanei invece? C’è qualcuno che vi piace?

G.: Devo dire che entrambi non abbiamo un grande occhio all’attualità. Io magari seguo un po’ di più però con scarso entusiasmo…ma ogni tanto per irritarlo gli faccio ascoltare qualcosa. In realtà poi c’è anche un motivo pratico perché lavorando nella musica non hai molto tempo per ascoltare cose che escano dal tuo lavoro.

L.: Si anche perché il lavoro che facciamo parallelamente a Le Feste Antonacci (composizione per musica su immagini) ci comporta spesso un’indicazione di riferimento da parte del committente. Ad esempio l’altra volta il riferimento era Bruno Mars…e quindi abbiamo ascoltato Bruno Mars e non era male.

G.: Ecco stranieri per me un riferimento sono i Vulfpeck, dai quali ho capito alcune cose sia dal punto di vista musicale sia dell’approccio all’industria musicale viste alcune loro trovate di marketing geniali. Ad esempio avevano pubblicato un album su Spotify (Sleepify, poi rimosso dalla piattaforma stessa, nda) completamente silente e avevano chiesto alla fan base di ascoltarlo di notte. In cambio le città che avrebbero fatto registrare più ascolti avrebbero avuto in regalo un concerto gratuito della band, finanziato con i proventi ricevuti per gli ascolti stessi da Spotify.

Visto che hai citato Spotify, che rapporto avete con questa e con gli altri canali di ascolto moderni visto che comunque il vostro percorso è iniziato, in maniera tradizionale e un po’ anacronistica, dalla radio?

G.: A me piace tantissimo guardare le statistiche di Spotify, devo confessare questa mia passione. Mi incuriosisce vedere chi ci ascolta dove. Poi pur non essendo un fan devo dire che, anche se i compensi non sono paragonabili a quelli di un cd, rispetto al dover andare a bussare ad ogni casa discografica non è male…non so tu cosa ne pensi?

Ok, io di solito pongo la domanda in questo modo: è più il vantaggio di poter arrivare a tanti o più il rischio che nell’abbondanza dell’offerta si perda di vista chi merita?

G.: Il problema secondo me non è l’offerta ma come in tanti altri campi è la direzione. 5 anni fa Spotify era una jungla dove la gente andava a cercarsi qualcosa, ora lì come su Netflix o altre piattaforme c’è la proposta di un contenuto. Non sei più tu quindi che cerchi e scopri qualcosa di sorprendente ma è l’algoritmo che ti propone qualcosa che probabilmente ti piacerà. Quindi il vero problema è la creazione di questi spazi falsamente liberi dove sei comunque direzionato, che a noi fa gioco non avendo magari altre spinte e aiuta sicuramente gli artisti a raggiungere il proprio pubblico qualunque genere uno faccia e qualsiasi mezzo abbia.

L.: C’è anche un discorso di confusione, non solo musicale ma generale, di questo periodo in cui la possibilità di espressione è totale. Per cui anche riconoscere le voci che abbiano qualcosa da dire o le credenziali per dire qualcosa è molto complesso.

EP nuovo, avete suonato due pezzi ieri sera…c’è una data?

G.: Si, puntiamo ad uscire entro Natale. Uno dei due pezzi, Sempre più solo, è praticamente pronto mentre invece La vita fa schifo non è ancora registrato e stiamo valutando se farlo live come band o traccia per traccia noi. Ci piace molto, sarà una sorta di manifesto de Le Feste Antonacci a metà tra punk e neo-melodico napoletano, testi ermetici e arrangiamenti sontuosi…vedrai!

Altri brani?

L.: No, saranno solo questi due, una sorta di concept, un lato A/lato B praticamente frutto di episodi. Ad esempio l’aneddoto dietro La vita fa schifo è che stavamo facendo le musiche per un documentario e di fatto le armonie erano quelle del brano. Poi è successo che mentre io registravo la traccia di organo lui ha fatto una cosa inspiegabile…

G.: …no aspetta! è successo che non avevo più memoria sul computer e nel cercare file da cancellare per liberare spazio ho inavvertitamente eliminato tutta la musica che c’era e l’ultimo backup era di 3 mesi prima. E la consegna per il documentario era il giorno dopo.

L.: E quindi mentre io suonavo lui se n’è uscito dicendo “La vita fa schifo” e io gli ho subito dato ragione…ed è nato il pezzo. Comunque la musica per il documentario alla fine l’abbiamo recuperata da un mp3 convertito in wave su cui abbiamo lavorato giorno e notte, non suonava proprio uguale ma poteva sembrare un effetto voluto.

Titolo dell’EP?

G.: Di poche parole, perché come in La vita fa schifo appunto poche parole ma senso chiarissimo.

L.: C’è una signora ieri sera che ha capito perfettamente il senso. È venuta lì e mi ha detto: mi ha molto emozionato perché la mia vita fa schifo. Anzi quando è partita lenta ho pensato “questa è la volta buona che mi sparo”, poi però quando era veloce mi sono detta si, la vita fa schifo, ma con un senso di reazione.

Non essendoci una data quindi immagino non abbiate ancora pianificato una promozione…

G.: No, al momento siamo completamente autonomi e onestamente ci piace tantissimo perché possiamo vivere a ritmi normali. Quindi registriamo questo e poi vediamo.

Vi faccio una domanda “marzulliana”: la cosa che avreste sempre voluto dire in un intervista ma non vi hanno mai chiesto.

L.: Non saprei, ci esprimiamo abbastanza liberamente. Di solito i pensieri vengono con le domande, prima difficilmente ci ragioniamo su

G.: Più che una domanda, ci tenevo a far sapere che io sono genoano e lui sampdoriano, se qualcuno vuole invitarci per un derby…

L.: Ecco non abbiamo mai raccontato questo aneddoto. Ci conoscevamo da poco, a me era stato presentato come “un famoso producer genoano di Parigi” e volevo collaborare con lui a dei suoi lavori per i quali mi ha ovviamente rimbalzato. Poi ebbi questo sogno in cui c’era questa squadra formata dalla fusione della Samp e del Genoa e io ero allo stadio e tutti cantavano questo coro che parlava della storia dei due club uniti a formare un poluto. La parola non significava nulla ma il sogno mi ha dato un senso di società, ho sentito il bisogno di associarmi. E anche se non è il motivo che ci ha fatto suonare assieme l’ho visto un po’ come un segno, un desiderio inconscio.

G.: Dovremmo svilupparla sta cosa del poluto…

Potrebbe essere il concept per un prossimo EP…

G.: Ma in realtà abbiamo in mente un concept su dei personaggi famosi da sviluppare ma non so…

L.: …ma lo faremo. Nel futuro oltre a questo EP di prossima pubblicazione pensavamo di fare una serie di hit funk per svoltare come Modjo che con Lady ci si è comprato un castello nella Loira…e poi altri progetti più di divertimento come appunto l’EP sui personaggi famosi e un musical, una produzione broadwayana pesante, un kolossal da milioni di euro…ma quello col tempo, tra una decina d’anni!

Le idee mi sembra non manchino

L.: Assolutamente infatti tante volte il difficile diventa prioritarizzarle e nascono anche giornate di nulla perché non sai in che direzione andare

G.: Sigarette è nata così, stavamo suonando e lui (Leonardo) si è calato in questo personaggio da lui inventato, tale Samir che non ha alcuna intenzione di voler essere offensivo verso nessuno, anzi…
Ecco una domanda che vorrei mi facessero è Cosa ne pensi del Politcally Correct? Penso sia un problema perché in Italia magari meno, ma in Francia e in America si sta veramente sviluppando questa cosa del polically correct per cui non puoi più fare uno scherzo o una caricatura senza essere attaccato…
L.:… a meno che  tu non lo dichiari apertamente ma perdi così molto del senso…
G.:…si, si perde il ritmo. Anzi in America c’è questa cosa del complimento sempre, della positività a priori, che alla lunga rischia di essere poi nocivo per il senso critico.

 

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