Intervista a La Rappresentante di Lista: lunga vita a Go Go Diva

Solo la sera prima suonavano a Firenze, dopo una mattina di viaggio, e a poche ore da un live pazzesco al Woodoo Fest, Dario e Veronica de La Rappresentante di Lista hanno trovato comunque anche il tempo per una lunga chiaccherata con noi.

Iniziando dal nome, La Rappresentante di Lista, c’è qualcuno o qualcosa che vi sentite di rappresentare con la vostra musica in questo periodo attuale?

V: Cerchiamo di rappresentare un punto di vista diverso sulle cose, uno sguardo altro sulle situazioni che ci accadono. Ci piace portare avanti un lessico che si discosti un po’ da quello che viene utilizzato, che abbiamo sentito utilizzare negli ultimi tempi, ci piacerebbe riappropriarci di un certo tipo di linguaggio per dare la possibilità a chi ci ascolta di avere fli strumenti per codificare un discorso diverso da quello che siamo soliti sentire.

L’altro giorno in un’intervista Davide Toffolo dei TARM vi faceva i complimenti ma ne avevo già sentiti e letti da diversi vostri colleghi. Vi fanno piacere, immagino di si, o preferite che sia il pubblico o che siano altri a riconoscere il vostro lavoro?

V: Devo dire che immenso piacere ricevere dei commenti positivi, dei feedback entusiasti da colleghi. È in qualche modo anche un po’ una sensazione di essere legittimati, soprattutto da personaggi del genere che hanno fatto un po’ la storia della nostra musica. Ci lusinga decisamente tanto.
Del resto è sempre piacevole ricevere delle critiche, dei feedback, degli spunti diversi rispetto a quello che fai perché ti aiutano ad arricchire un pochino quello che il messaggio che vuoi portare, magari riesci ad individuare, proprio perché loro guardano con uno sguardo esterno, qualcosa che tu da dento non riesci mai fino in fondo a cogliere proprio perché ti appartiene talmente tanto che ci sono tante sfumature che in qualche modo puoi anche perdere.

In questo caso poi è arrivato anche al pubblico visto il successo del disco e i sold out, quindi credo serva un po’ anche a sfatare il pensiero “è arrivato al pubblico, allora è commerciale” visto che anche i colleghi l’hanno apprezzato.

V: Sinceramente è una bellissima sensazione incontrare altri musicisti ai propri concerti…è una sensazione stupenda, hai modo di confrontarti ma anche di creare connessioni e in piccolo, che poi non è piccola come cosa, anche amicizie che durano poi.

C’è qualche band a cui vorreste fare voi invece i complimenti?

V: Io l’altro giorno ho scritto ad Andrea Laszlo De Simone, già mi era piaciuto tantissimo il suo lavoro, il suo disco Uomo Donna però riascoltando in questi giorni non lo so, si vede che mi ha colto in un momento particolare, e ho avuto proprio piacere di risentire i suoi testi e ho voluto scrivergli per fargli i complimenti o comunque fargli sapere che lo stavo ascoltando molto in questo momento e ci siamo risposti in un modo molto carino.
Quindi spero di incontrarlo prossimamente anche dal vivo per scambiarci due chiacchere.

D: mi accodo a Veronica

L’ultimo album, Go Do Diva, è stato da molti considerati un po’ come l’album della consacrazione e ha avuto un bel riscontro, c’entra qualcosa il cambio di etichetta? Se si in che cosa vi ha aiutato o cosa è cambiato

D: un’etichetta alla fine funziona da catalizzatore, da moltiplicatore di un’energia di un disco, di una proposta e in questo caso sicuramente Woodworm ha agito in questa maniera. E accanto a Woodworm tutta la squadra che si è venuta a creare dalla produzione del disco, quindi a partire da Roberto Cammarata che ci ha seguiti per la preproduzione, a Fabio Gargiulo fino ad arrivare all’ufficio stampa che ha promosso il disco.
Quindi sicuramente la squadra fa parte di quelle cose che spostano degli equilibri nel momento in cui si va a lavorare a un disco.

Sia nei testi che nei vostri video che nel materiale promozionale c’è una forte fisicità. Quanto siete a vostro agio voi con il vostro corpo per poter quindi riuscire a esprimere questa fisicità  e quanto di questo magari vi deriva da un’esperienza teatrale che avete fatto precedentemente?

D: sicuramente il teatro ci ha costretto a considerare il corpo come primo mezzo utile all’esposizione artistica per cui effettivamente nel momento in cui pensiamo a qualcosa, a un racconto, a una narrazione il primo mezzo a cui facciamo riferimento è il nostro corpo perché la nostra formazione teatrale, il nostro background.
Questo perché il teatro che facciamo è un teatro fisico, è un teatro che anche nella costruzione del personaggio parte dal corpo e non dal testo. Abbiamo anche lavorato su dei testi teatrali, diciamo di teatro un po’ più canonico, di narrazione ma la maggior parte delle volte che abbiamo lavorato insieme abbiamo lavorato a una scrittura scenica che partiva dal corpo, dalle improvvisazioni, dalla deformazione delle posture, del modo di camminare per cui il corpo è il nostro migliore amico in campo di arti performative.
Quanto siamo a nostro agio…boh, dipende come ogni essere umano su questo pianeta. Qualche giorno fa credo un fan ci abbia chiesto se siamo effettivamente così come raccontiamo nel disco, se effettivamente riusciamo a ragionare sulle relazioni e a vivere le relazioni come raccontiamo nel disco….mi viene in mente rispetto alla tua domanda, vivete il corpo come lo vive questo disco? No naturalmente, quello è quasi un obiettivo che anche noi ci diamo…

V: …un’illuminazione in uno dei momenti più alti della nostra consapevolezza

D: Poi ovvio, pensare che il nostro corpo ci vuole bene è diverso da quello, che è un obiettivo che spesso riusciamo a raggiungere, altre volte no

V: Quando si riesce a conciliare questo tipo di consapevolezza sicuramente è un momento molto buono per viversi

A questo festival è la prima volta che venite, per adesso cosa ve ne pare e in generale il contesto del festival vi piace o preferite invece concerti vostri in cui magari avete anche modo anche  scenograficamente  di avere un po’ più una cosa vostra rispetto a un festival può essere un po’ più dispersivo e diverso come atmosfera?

V: A me piace tantissimo l’atmosfera del festival, mi piace la condivisione del palcoscenico e mi piacerebbe ovviamente che ogni volta si potesse rispettare lo show dell’altro. Credo che riusciremo a mettere la nostra scenografia, nel rispetto degli spazi, quindi secondo me verrà abbastanza riprodotto anche perché il palco è enorme.
Mi piace poi anche questa dimensione che si mischi il pubblico magari chi è venuto per te chi è venuto per qualcun altro, quindi che ci sia una contaminazione, che qualcuno si affezioni a me, che qualcuno che è venuto per me si affezioni alla musica di qualcun’altro.
Per il resto finora non ho visto moltissimo…ho visto il catering e il pollo era molto buono! ma immagino che avremo modo di stare un pochino dopo il concerto, tra l’altro suoniamo per primi su questo palco quindi ci potremo godere anche i concerti degli altri, girare, stare tra la gente

D: Sembra incredibile, una sorta di tendone da circo in mezzo a un bosco, avremo modo di esplorarlo.
Poi alla fine i festival per una band come noi che sta costruendo durante questo tour il proprio pubblico vale veramente mille playlist Spotify, perché è il vero modo in cui la gente può avvicinarsi alla tua musica o meglio ancora avvicinarsi a quello che rappresenta la tua musica, al di là delle foto Instagram che comunque lo raccontano perché è chiaro che è necessario mantenere una coerenza estetica come dicevamo poco fa.
Però come ti puoi raccontare durante un live, quindi a un festival, con il pubblico anche grande che ci è capitato di incontrare durante queste date è incredibile.

Visto che hai citato Spotify, voi avete fatto il percorso “classico”, singolo, album, tour…un sacco di artisti invece oggi preferiscono oggi rilasciare molti singoli su Spotify e poi raccoglierli in un album, voi rispetto a questa cosa come vi ponete? preferite comunque fare l’album perché avete comunque un concetto di album omogeneo o è una cosa che questa volta è andata così ma non è detto che in futuro non possa essere una cosa diversa?

D: Sicuramente non è detto che in futuro non possa essere diverso perché non ci diamo dei limiti…se ci diamo dei limiti adesso siamo perduti! Però finora i dischi che abbiamo fatto, quando abbiamo iniziato con la scrittura siamo sempre stati indirizzati verso la creazione di un album, in futuro non lo so per esempio adesso stiamo iniziando a scrivere però essendo un periodo molto faticoso, pieno è anche più difficile avere lo spazio mentale per immaginarsi tutta l’atmosfera che racchiude un disco, quindi per ora stanno uscendo canzoni qua e là, poi chi lo sa.
Essendo alla fine di un’epoca del supporto fisico del cd vero e proprio, il disco per molti può essere un po’ una forzatura. Anche i singoli non sono più quelli che passano per radio e quindi devono durare per forza 3’30’’, chiamarli singoli diventa anche strano

Oltre al fatto che una volta magari il singolo te lo portavi dietro 2-3 mesi mentre oggi  ci sono artisti che ogni mese e mezzo praticamente ne buttano fuori uno nuovo…
V: Ma infatti è bene anche avere cura e pensare a come sta andando la nostra discografia e come sta andando il nostro mondo e verso dove veniamo indirizzati.
Però è anche da rispettare un po’ quelle che sono le proprie sensazioni, nel senso…se hai voglia di fare 3 dischi e un concept album lunghissimo, se ci credi, se molto probabilmente per te ha senso portare fino in fondo questa cosa, se pensi che abbia un valore, ti assumi la responsabilità di quello che stai dicendo perché è qualcosa che senti profondamente io sono d’accordissimo nel farlo

Anche perché ovviamente sei più credibile nel farlo…
V: Assolutamente, c’è una coerenza

D: Poi d’altra parte è possibile che per alcuni colleghi artisti non ci sia l’esigenza del disco e d’altra parte è innegabile il fatto che lavorare sui singoli ti permette do costruire hype intorno al progetto, Liberato ci ha fatto una carriera o una non carriera, non lo so.
Quindi penso che siano scelte poi anche manageriali, discografiche, per ora noi ci siamo trovati molto bene con i dischi

V: Si, ci siamo sentiti anche molto liberi

Prima parlavamo di incontrare altri artisti, di questo festival c’è qualcuno con cui vi piacerebbe collaborare?

D: Io penso che sarebbe bello poter incontrare tanti artisti, sembra strano dirlo ma tante volte l’incontro tra artisti non è né un fatto di amicizia né paradossalmente di gusti.
Non rispondo alla tua domanda ma è un ragionamento che ho fatto tante volte, mi piacerebbe avere la possibilità e non so qual è la piattaforma perchè questo possa accadere, forse una città una città. Nel senso che forse abitare in una città può permettere questo tipo di collaborazioni con personaggi come Mecna, del quale non ho idea di che tipo di ambiente faccia parte, ho ascoltato alcune canzoni però non lo conosco artisticamente.
Penso possa essere interessante quel tipo di crossover piuttosto che come abbiamo già fatto con Giovanni Truppi, Antonio Di Martino o come potremmo fare con gli Zen Circus, Laszlo de Simone. Però a volte può essere interessante anche immaginarsi delle combo strane.

V: Infatti di quelli di questo festival penso forse a Cosmo

D: Si, Cosmo ci starebbe. È uno che è riuscito sempre a fare delle produzioni molto fighe, molto azzeccate

Di solito le band che conosciamo nascono per una vicinanza geografica, ex compagni di scuola…voi invece avete invece un’estrazione regionale abbastanza diversa, in cosa vi siete influenzati e in cosa magari avete fatto più fatica a trovarvi?

D: Da un punto di vista musicale gli ascolti che avevamo prima di iniziare a collaborare è l’aspetto su cui siamo più distanti.

V: Se penso a Viareggio è una cittadina dove non ci sono locali per fare musica propria, esistono solo questi locali sul lungomare, oltre alle discoteche, dove si fanno cover e tribute band per la maggior parte sono sempre rock oppure quello che loro intendono come rock quindi Guns ‘n’ Roses, o cose di quel tipo, tremende, oppure vengono le cover band di Vasco Rossi dei Queen…e io lì cantavo durante queste jam session, facevo un po’ di cover di Janis Joplin o cose di questo tipo con gli amici. Lui invece grande cantautorato…

D: si io amavo Battiato, De Andrè…

V: …Rosa Balistreri…

D: …Rosa Balistreri, certo, pensavo che però entrambi veniamo da una periferia, a livello musicale, almeno in quel periodo lì, perché la Toscana ha avuto i suoi fasti, la Versilia è stata patria di Mina, c’era quel locale lì…

V: La capannina

D: la capannina! Dove ha suonato chiunque, i più grandi jazzisti, Ella Fitzgerald…

V: James Brown…

D: Così come Palermo 10 anni prima di quando io ho iniziato a muovere i primi passi in giro, effettivamente con Palermo anni’90 ha attraversato dei momenti molto forti in cui arrivava la musica… Keith Jarrett, il jazz, l’underground arrivava anche a Palermo mentre invece nel momento in cui ci siamo conosciuti c’era un periodo di stallo, sia in Toscana che in Sicilia, questo potrebbe essere un qualcosa che ci ha spinti ad andare da un’altra parte e quindi a muoverci a scrivere

Invece, senza voler cadere negli stereotipi, ma a livello proprio di abitudini regionali?

D: Non so se dipenda dal fatto che lei è toscana ma lei è per gli spazi aperti mentre io alle volte soffro un po’ certi “uffici” pieni, ma anche solo cucine di amici o locali in cui lavoriamo

V: sei un’isola anche tu…no, diventa tutto molto tragico, ogni situazione è vissuta veramente come un dramma tant’è che un’azione che hai appena fatto 10 minuti fa viene già messa al passato remoto in siciliano. La gioia e la tragedia sono proprio sentimenti potentissimi

D: totali

V: si, totali. Io pure ho sempre avuto questo tipo di emozioni, però con una persona come Dario questa cosa ha fatto amplificare anche in me la sensazione nei confronti di quello che mi accadeva

D: il senso del tragico

Ultima domanda di rito, progetti per il futuro?

D: intanto finire il tour sicuramente, mi piacerebbe non mollare dopo settembre Go Go Diva,  trasformarla in qualche modo, non so se come abbiamo fatto con Bu Bu Sad facendone una suite, però in qualche modo vorrei dare ancora della vita a Go Go Diva. E poi ci sono un po’ di cose in cantiere su cui stiamo lavorando

Quindi comunque non vi prenderete una pausa dopo questo per riposarvi

V: Penso proprio di no

D: Ma si, le pause ce le prendiamo…ma solo molto brevi

V: Ci basta poco per ricaricarci: un po’ di spazi aperti, un po’ di respiro e ci siamo