Intervista a BOLOGNA VIOLENTA

Started as a one-man-band, now it’s a dynamic-grinding-duo” (cit.). L’entità Bologna Violenta con l’uscita del nuovo album Discordia si è ufficialmente e stabilmente sdoppiata. Ad accompagnare nelle scorribande sonore il prode Nicola Manzan c’è Alessandro Vagnoni. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Nicola per scoprire qualcosa in più sul loro ultimo lavoro.

Primo disco a quattro mani. Quanto e dove ti ha influenzato Alessandro Vagnoni?
Ho iniziato a lavorare con Alessandro poco più di un anno fa, quando ho fatto uscire lo split coi Dogs For Breakfast, quindi dal lato pratico sapevamo come lavorare insieme. Dall’altro mi sono trovato con una trentina di batterie registrate da cui dovevo tirar fuori un disco. Il fatto che Alessandro sia un batterista in carne ed ossa fa sì che il tipo di fraseggio ritmico sia diverso da quello che posso fare io scrivendo una batteria elettronica al computer. Quindi ho dovuto affrontare la scrittura dei pezzi partendo da un punto di vista diverso. Ho addirittura fatto dei provini, cosa mai successa prima. Direi che la base di partenza si è rivelata essere molto diversa da quelle precedenti, anche se ad un primo ascolto questo non si percepisce, e questo ha influito molto sul risultato finale.

A che punto del tuo percorso musicale pensi di essere arrivato?
Non lo so, ad essere sincero. Ho tante idee che mi girano in testa che voglio ancora realizzare, ma ho dei tempi abbastanza lunghi tutto sommato, quindi non so quanto ci metterò a fare tutto. Di sicuro sono arrivato ad un certo grado di consapevolezza, rispetto alla musica che faccio, alla musica che mi circonda, ma soprattutto riguardo a ciò che mi piace o non mi piace.

Torniamo a Discordia. Quello che si percepisce è un sound più epico, soprattutto ne “Il tempo dell’astinenza” e “I postriboli d’Oriente”. Le composizioni osano di più anche nei minutaggi… riemerge il metallaro sopito in te?
Non nego di aver sempre pensato di fare un disco epico… però direi che quel poco di metallaro che c’è in me si sente a livello di scrittura delle chitarre, più che altro. Gli archi sono ispirati a concerti e sinfonie del tardo ‘800 e dei primi del ‘900, mentre “I postriboli d’Oriente” è un velato omaggio al Requiem di Fauré. Io ed Alessandro veniamo da un passato di ascolti “pesanti”, ma non per questo necessariamente metal. Gruppi come i Kiss It Goodbye o i Converge hanno fatto cose che hanno lasciato un segno profondo in quello che proponiamo ora. Di sicuro più profondo di quello lasciato dai Manowar, per dire!

L’intro di “Sigle di telefilm” piuttosto cauto e classico sembra aprire un disco totalmente diverso dai precedenti ma poi arriva la sferzata e si capisce che in te convivono e proliferano due anime compositive dai caratteri estremi che però si sanno accompagnare molto bene. Come sei riuscito ad ottenere questo equilibrio?
Secondo me la differenza la fa il vestito che si mette attorno ad una certa idea. L’intro di pianoforte non è altro che la parte di archi che c’è dopo, con la differenza che il primo suona libero, a tratti imponente, a tratti dolcissimo, mentre nella seconda parte i violini sono in un contesto completamente opposto (con chitarra, basso e batteria) e pur suonando la stessa parte l’effetto è nettamente diverso. Quindi penso che volendo potrei prendere molte cose di BV e renderle pezzi per quartetto d’archi senza dover fare troppe modifiche, ma solo spogliandole degli strumenti che non c’entrano. Tornando alla domanda di prima, penso di essere arrivato al punto in cui metto insieme due cose che tendenzialmente non dovrebbero c’entrare l’una con l’altra. Penso comunque che sia un aspetto quasi puramente tecnico. Il fatto che poi faccia quasi esclusivamente musica “estrema” è perché mi piace dare alle mie idee questo vestito fastidioso e brutto da vedere.

Discordia tra chi? Nella musica, nella società, nei fatti di cronaca? In questo lavoro hai fatto tesoro di tutti i temi che avevi già sondato nei tuoi precedenti dischi?
Discordia tra tutti. Prima di tutto tra me e me stesso. Ho passato un periodo a chiedermi cosa avrei dovuto fare, soprattutto riguardo al disco che stavo registrando. Non tanto perché mi chiedessi come avrebbe potuto reagire un possibile pubblico, ma soprattutto per le mie aspettative rispetto a me stesso. Partendo da questo ho davvero fatto tesoro di quello che è stata la mia discografia per fare con Discordia una specie di “quadro completo” della situazione generale. Vedo gente che sclera di continuo, tensione ovunque, videopoker e morti ammassati sulle spiagge. Direi che stiamo messi male, che basterebbe solo usare un po’ di intelligenza per risolvere anche questioni irrisolvibili.

Nei tuoi lavori la componente fotografica e grafica ha sempre un ruolo rilevante e d’impatto. In questo caso come è stata scelta?
Mi ricordo dell’incidente ferroviario di Crevalcore perché all’epoca abitavo lì vicino e mi ricordo molto bene il suono delle ambulanze e dei pompieri che andavano sul luogo della tragedia passando a pochi metri da casa mia. Quando è venuto fuori il titolo del disco, non so perché, ma ho subito pensato all’immagine dei due vagoni, uno quasi fagocitato dall’altro. Mi sembrava molto adatta a rappresentare il concetto di Discordia anche perché è la foto di un giorno qualsiasi in cui le cose sono andate molto storte per molte persone.

Nicola musicista e Nicola persona quanto sono simili? Qual è l’aspetto che li differenzia? Se c’è ovviamente
Dovresti fare questa domanda a chi vive con me. Sento che la mia vita è uno scorrere fluido tra situazioni diversissime in cui io sono sempre me stesso, anche magari sto facendo cose diverse. Quindi penso di essere abbastanza equilibrato su questo fronte, anche se penso che la dicotomia che si scorge nella mia musica rifletta quello che sono, ovvero un bipolare represso.

I brani di Bologna Violenta sono ancora più possenti dal vivo, anche grazie ai visuals. Andare per credere.

Amanda