Quattro chiacchiere con Alex Antonov a distanza (come “da Tavole a Villatalla”)

Essendo rimasti piacevolmente colpiti dall’ultimo album di ANTONOVVI aka ALEX ANTONOV, (trovate la recensione qui), ne abbiamo parlato direttamente con l’autore in questa intervista a distanza.

Una distanza di diversi chilometri, seppure trovandoci nelle idee molto vicini, rendendo quindi molto più breve la distanza stessa, potremmo dire “come da Tavole a Villatalla”.

Partiamo dalla tua biografia e dalla tua discografia, che è molto ricca… Come nasce il tuo progetto e quello della “Casa Degli Specchi”?

Ho iniziato con la crew “Antibiotico Trash” nel 2007, con un progetto durato tre-quattro anni; nel frattempo ognuno del gruppo ha sviluppato anche progetti solisti. Il mio primo progetto solista è del 2008 e si chiama La bilancia e il bestia, dove ho introdotto il discorso della campagna, della mia provenienza da una realtà provinciale che è quella della provincia di Imperia. Lo stile era ancora grezzo, il classico rap “da battaglia”, ma parlando anche di tematiche più personali, e il tutto unito all’immaginario da “sagra”, al racconto di modi di divertirsi un po’ diversi, che è quello che poi ho definito “rap campagnolo”.

Finita l’esperienza con il gruppo abbiamo dato il via al progetto della Casa Degli Specchi, assumendo la caratteristica del “rap situazionista”, un modo un po’ naif di fare musica.

Intanto nel 2010 io avevo pubblicato un mio disco solista, Frei, in cui comunque tornava la centralità dell’ambientazione campagnola, un disco molto lungo e diviso in due parti, una con pezzi più banger e l’altra con tematiche più intimiste e personali. Un altro progetto solista è stato Lavanda Ep, del 2012, con uno stile più evoluto, seguito da un album dal titolo Another Antonovvi dichotomic dream, disco caratterizzato da una maggiore concentrazione sulle metriche e che pur mantenendo riferimenti “campagnoli”, è molto più astratto e lisergico.

Poi ci sono stati vari mixtape, quindi con le basi americane, in cui abbiamo collaborato con vari elementi della scena rap ligure in una sorta di riunione. Il secondo mixtape realizzato da me e da Jus-T ha dato vita a un gruppo a parte sfruttava la trap unita alla metafora sul calcio, evidente nel titolo Allegri MazZarri, con il seguito, Una panchina per due.

L’ultimo mio disco Bellissimi. vede invece il ritorno ai temi “campagnoli” ed è pensato come uno story album, o un concept album, incentrato su una storia d’amore importante che è finita, ambientata in un determinato luogo dell’entroterra ligure; quindi è un album che vedo come la fine di un’era (dal 2009 al 2019) in cui ne sono successe di tutti i colori, un’era che coincide con la tappa dei trent’anni. Bellissimi è un titolo che evoca uno sguardo nostalgico a come si era, e al tempo stesso è il nome di un paesino ligure che centrale nella storia raccontata.

Facendo riferimento ai tuoi trascorsi con la Casa Degli Specchi, puoi spiegarci in che consiste il vostro “situazionismo” applicato al rap? Questa caratteristica è qualcosa di veramente originale e unico nella scena rap italiana…

Sono contento che venga visto così, non so se siamo così unici ma sicuramente abbiamo cercato di fare di questa originalità il nostro marchio di fabbrica, con un rap abbastanza “stramboide” che spaziasse tra la critica sociale, la sociologia e la politica, e i temi più classici, con elementi “da ridere”, dissacranti e demenziali, anche se non ci possiamo certo definire demenziali tout court. Prendevamo molto in giro il rap americano, ad esempio rilanciando il tormentone dello swag ma scritto come si pronuncia, “sueg“, ironizzando sullo stereotipo del rapper sicuro di sé, mentre noi non siamo sicuri di niente!

La decisione di fare musica insieme ci ha portato a voler creare anche uno stile caratteristico e a intraprendere un percorso di rap non convenzionale. Inoltre, dopo esserci uniti, abbiamo scoperto che il movimento situazionista è nato proprio dalle nostre parti, e ritrovandone le caratteristiche nel nostro modo di fare rap abbiamo deciso di impostare il progetto su questo atteggiamento dello “sparigliare le carte”, del creare scompiglio.

Infatti nella definizione di “situazionismo”, c’è una forma di comicità che si distanzia dal demenziale, dalla mancanza di serietà o di contenuti. Anche nei tuoi testi ci sono temi seri quali l’amore, le relazioni, l’amicizia, la crisi dei trentenni… La leggerezza e l’ironia rivelano in realtà contenuti più profondi e un’alta qualità a livello espressivo. Forse la differenza tra voi e certi rapper o trapper  sta nel fatto che la vostra “leggerezza” è volontaria, e quindi in qualche modo controllata?

Si, assolutamente. Lo stile della CDS è caratterizzato dalla volontà di unire l’alto e il basso. Io poi ci tengo sempre a mettere degli elementi seri e poetici nelle mie canzoni. In generale ci piace molto fare molto citazionismo ma anche lavorare sulla poesia delle piccole cose, del mondo campagnolo, della vita semplice, che è comunque un mondo che io racconto perché lo vivo. L’ironia è un elemento che abbiamo sempre portato avanti ma i miei dischi sono sempre più seriosi proprio perché riguardano la vita personale.

Tu ti definisci MC “campagnolo” e “dicotomico”. L’aspetto “campagnolo” lo hai già spiegato. In che senso invece sei “dicotomico”?

Questa definizione nasce dal mio primo disco La bilancia e il bestia, dove emergeva questo dualismo, questa sorta di sdoppiamento di personalità in due opposti, uno che “bilanciava” gli istinti e la razionalità, l’altro “il bestia”, la parte aggressiva, l’ubriacone da sagra che spesso mi sono trovato a impersonare.

A un certo punto, ho iniziato a ragionare su questo termine, “dicotomico”, riferendomi a una frase dei Colle Der Fomento (“per ogni sfizio uno screzio”), che rende l’idea di come ogni cosa bella nella vita abbia la sua controparte negativa e con l’album Another Antonovvi dichotomic dream, ho fatto confluire questi elementi nel mio immaginario, producendolo sotto questo marchio “Dichotomic Dreams”.

Quindi la dicotomia include anche l’altro aspetto, quello del “campagnolo” e della realtà di provincia, contrapposto alla cultura hip hop, più metropolitana con la sua “street credibility”. Ci sono due mondi, due archetipi che si sono sempre scontrati, quello della vita “cittadina” e quella “campagnola”, nell’eterno dilemma su chi fosse il più “duro”. Poi ci sono quelli che sono a metà strada o hanno vissuto entrambi gli ambienti. E forse per questo sono i più duri di tutti? Oppure chi è il più forte?

Se per più “forte” intendi “che sa vivere meglio” magari la realtà di provincia non ti illude che la vita sia facile, eppure ha una lentezza insita, mentre quella di città forse ti insegna meglio a stare al mondo. Quindi non saprei rispondere a questa domanda.

Per esempio a me questa riflessione è stata suggerita dall’ascolto del tuo disco in cuffia mentre raccoglievo la cicoria in un prato, e questo mi ha fatto pensare a quanto poco si addice quell’azione con l’ascolto di un rapper; eppure fa lo stesso effetto che ascoltarlo mentre si sta facendo dei graffiti in città. D’altronde il rap stesso nasce dai ghetti, che sono quello che antropologicamente si può definire un “non-luogo”, perché stereotipato. Quindi il rap non dovrebbe rivalutare l’influenza dell’ambiente e l’attaccamento antropologico ad esso, soprattutto se è un ambiente misto, e portarlo in auge per migliorarsi?

Io chiaramente sono di parte, è quello che faccio già da tanti anni. Se questa cosa prendesse piede sarebbe bello. Forse qualcuno nella storia del rap italiano ha provato a farlo ma è rimasto un po’ sottotraccia o è stato visto un po’ come un fenomeno da baraccone. A me piace mettere elementi di serietà e più leggeri. Soprattutto l’importante è non prendersi mai sul serio.

E, come abbiamo detto, un’altra dicotomia è costituita dagli opposti serietà/comicità o serietà/ironia…

Certo, l’importante è raccontare la propria realtà, anche se non deve essere una cosa che ti lega, ma ti rende più credibile.

Come hai vissuto questo periodo particolare?

A livello sociale sono stato e sono molto preoccupato. Non è stato facile essere privati della libertà, anche se io comunque uscivo di casa perché lavoravo; a livello personale per fortuna ero concentrato sull’uscita del disco che ha rappresentato una distrazione.

Se dovessi stilare una playlist attuale, qualche brano che stai ascoltando e apprezzando particolarmente?

In questo periodo, proprio perché ho avuto più tempo a disposizione, sto ascoltando tantissima musica, dagli anni ’80 fino alle cose più moderne. Una volta ero più fedele all’hip hop e rap hardcore, i Wu-Tang Clan, i Cypress Hill, mentre adesso spazio molto. Sono passato dai Jungle Brothers, a Gunna & Lil Baby, ai Run The Jewels, tanta trap, sto riascoltando Kendrick Lamar, Aesop Rocky, e altri artisti che mi hanno formato e maari avevo un po’ abbandonato… Sicuramente questo è un momento in cui la musica è più presente che mai.

Anche uscendo dall’ambito rap e hip hop ascolto anche molta IDM e cose più sperimentali… Ogni giorno ho ascoltato una cosa diversa. Un artista italiano che ho ascoltato molto in questo periodo è Ketama. Mi piace il suo approccio proprio perché non si prende troppo sul serio. Ho consumato l’ultimo disco Kety; scegliere un pezzo non è facile, potrebbe essere il pezzo con Fabri Fibra, ma anche Spara, il pezzo con Massimo Pericolo (mi piace molto anche lui); mi piace molto l’ultimo disco di Marracash, e anche la FSK, per quanto siano criticabili sotto tanti punti di vista, Greg Villain secondo me è bravissimo come produttore e comunque anche loro mi gasano.

Tra gli americani mi sono fissato molto con Gunna e Lil Baby e i Run The Jewels, un altro gruppo che ho ascoltato molto negli ultimi anni, un pezzo qualsiasi preso da un loro album è sempre una figata.

C’è qualcuno che ti ha influenzato particolarmente nella tua formazione musicale e personale?

Sicuramente Enter the Wu-Tang dei Wu-Tang Clan, il primo disco di rap che ho consumato, A Tribe Called Quest, Kanye West, nella trap i Migos. Le basi della mia formazione sono state sempre quelle rap hardcore, quindi appunto i Wu-Tang, Biggie, Tupac, Cypress Hill, ma anche quelle un po’ più morbide, più smooth e più catchy come appunto A Tribe Called Quest, De La Soul, eccetera.

Tra gli italiani, come buona parte della mia generazione, l’approccio è stato con gli Articolo 31, poi potrei citare Bassi Maestro, DJ Gruff che ancora adesso è uno dei miei artisti preferiti, alcuni suoi dischi per me sono la Bibbia e mi fa impazzire il suo modo di rappare, anche questo non convenzionale, così come Dargen D’Amico, i Club Dogo, Marracash, che forse come rapper italiano più convenzionale è uno dei miei preferiti, poi tra i più recenti Tedua, Ketama, FSK.

Al di fuori della scena rap e hip hop, sono un grande fan degli Elio E Le Storie Tese, e senza dubbio il loro modo di fare comicità mi ha influenzato, i Red Hot Chilli Peppers mi hanno sempre gasato, poi ci sono gruppi che adoro ma è una cosa episodica, per esempio adoro i Queen ma non li ascolto tutti i giorni; sto abbastanza nel genere hip hop. Mi piace ascoltare anche musica diversa ma tendo di più verso la musica elettronica, o comunque prodotta, quindi dance, IDM, techno, rispetto al rock… La capisco un po’ di più.

Poi per esempio, parlando di rap non convenzionale e ironia, si possono trovare delle somiglianze anche con Caparezza nello stile generale della Casa Degli Specchi?

Ah, certo, Caparezza mi ero dimenticato di citarlo, non nego che è un artista che ci piace molto e sicuramente lo ritengo uno degli artisti italiani più interessanti.

Nell’ultimo album, come qua e là nella discografia precedente tua e di CDS, c’è di fondo una sorta di viaggio esplorativo di vari paesi della tua Liguria (e non solo), citati nei giochi di parole messi come titolo dei brani. Si può definire una forma di “rap promozionale”?

Si, mi piace parlare di questi paesini sconosciuti anche perché sono luoghi molto belli. Ovviamente non è una cosa che si fa tradizionalmente nel rap. L’ho sempre fatto, qui è ancora più radicato. Io comunque preferisco definirlo “country rap” (anche se è un termine derivato dall’America dove ha delle connotazioni negative da cui prendo le distanze), o “rap campagnolo”.

Come abbiamo detto ciò è presente anche nella title track “Bellissimi.”; Ma perché “Bellissimi.” con il punto?

Perché ci tenevo a dare un senso di chiusura, di un’era che si chiude, della chiusura di un ciclo, alla quale si “mette un punto”.

Ci sono in cantiere progetti futuri tuoi o con la Casa Degli Specchi?

Intanto è appena uscito un remix dubstep di Glori Hole, a cura degli OTK , il gruppo con cui ho registrato il pezzo originale (il cantante IAKI e Syn alla produzione).

Il progetto con la CDS al momento è fermo, però ci sono altri progetti globali in ballo.

Per quanto riguarda me, sto pensando a qualcosa che segua il percorso di Bellissimi. ma siamo ancora in una fase embrionale. Poi i miei lavori hanno un periodo di gestazione medio-lunga. Nel frattempo sto pubblicando dei video dove viene mostrato il backstage della realizzazione di Bellissimi. E usciranno altri video, per rendere ancora più evidenti con le immagini i luoghi e la narrazione presente nel disco.

Intanto gustiamoci i videoclip già usciti, che rappresentano “le due anime” di questo ultimo progetto del “dicotomico” Alex Antonov: