L’AMORE MIGRANTE DEI GUAPPECARTO’: INTERVISTA NELLA DATA “IN CASA” DEL QUINTETTO ITALO-FRANCESE

Ne avevamo parlato nei giorni scorsi (qui), poi venerdì 13 dicembre abbiamo approfittato della data “in casa” del “Sambol Italian Tour” dei GUAPPECARTO’ (essendo originari di Perugia) per vedere il loro concerto all’Onda Road di Passignano sul Trasimeno (PG), e li abbiamo intervistati prima del live. In particolare abbiamo parlato con il fisarmonicista e portavoce del gruppo, il Dottor Zingarone. Ecco cosa ci siamo detti.

Partiamo dalla nascita del vostro gruppo, come si è formato?

In realtà il gruppo è nato in Valdichiascio, quindi tra Perugia e Gubbio, più verso Gubbio, tra l’altro oggi veniamo da lì perché siamo stati a trovare la nostra “mamma” artistica che si chiama Madeleine Fischer; lei aveva ideato una fiaba musicale, Uroboro, e cercava cantanti e musicisti; è lei ad averci messo insieme e a creare i Guappecartò. In realtà quindi eravamo un po’ sparsi. Io vengo da Matera e studiavo all’Università a Perugia, poi ci sono due di Santa Maria Capua Vetere, c’è un udinese, un foggiano. Gli altri tre del gruppo originario erano alla Scuola di Liuteria a Gubbio. E ci siamo trovati tutti a musicare questo “delirio” di Madeleine Fischer. È lei che ci ha detto: “voi siete un gruppo”. Noi poi suonavamo per strada a Perugia e vedevamo che al momento classico del “cappello” il cappello si riempiva sempre. E quando il cappello si riempie sempre vuol dire che c’è benzina per poter continuare. Abbiamo suonato nei vari locali a Perugia o a Valdichiascio.

Quindi avete esperienze musicali diverse?

Si, pensa che io vengo da esperienze come tamburellista e cantante di musica popolare e al tempo stesso chitarrista hard rock, prima di iniziare a suonare la fisarmonica, per il chitarrista invece è la prima esperienza in un gruppo, il violinista viene da un percorso classico che aveva abbandonato per darsi al punk, al rock e ad altre cose, quindi abbiamo esperienze molto varie.

E poi cosa ha fatto nascere in voi la passione per la musica e in particolare questo genere di musica? C’è qualche artista che vi ha particolarmente  influenzato o ispirato?

Come abbiamo appena detto, le influenze di ognuno singolarmente vanno dal punk, al rock, al metal, alla musica popolare, quindi un bel miscuglio di esperienze diverse. Ma il primo spartito che abbiamo suonato insieme si chiama March de Manouche, quindi un pezzo di ispirazione balcanica. Una volta deciso di essere strumentali e acustici abbiamo creato dei brani in modo spontaneo. Poi c’è stata la grande influenza di Madeleine Fischer che ci fomentava e ci spronava a stonare, a essere liberi. Non si parlava di generi musicali ma di emozioni. Ci siamo fatti influenzare molto dal vissuto, dai viaggi. Per quanto riguarda artisti che ci hanno influenzato… è difficile, sono tanti; io per tanto tempo ho ascoltato Astor Piazzolla, poi sono passato per il periodo grunge, e molta musica popolare italiana, soprattutto del Sud, quindi tarantelle, pizziche, eccetera.

Voi avete iniziato a suonare come artisti di strada, avrete quindi conosciuto sicuramente un mondo affascinante per quanto diverso da quello di una band con un normale percorso tra studio di registrazione, esibizioni nei locali e ambiente discografico. Quali sono le differenze tra l’artista di strada e l’artista tradizionale e come è stato questo passaggio?

La strada è una scuola incredibile, perché tu sei lì e devi suonare e devi attirare l’attenzione della gente per cui lì abbiamo imparato un linguaggio, l’importanza della parola per dei musicisti strumentali, come creare il contatto col pubblico; un’abilità che ci siamo poi portati dietro nei vari locali in cui suonavamo e poi è stata affinata grazie alla collaborazione con un regista teatrale, Fabio Marra, che ci ha dato tanti consigli. Per cui dalla strada al teatro ci portiamo un bel bagaglio di esperienze. Soprattutto la nostra caratteristica è che no abbiano detto sempre “si”… E continuiamo a dirli. Dall’audio-libro, al circo, al teatro, al cinema… Questo ci ha permesso di fare tutti questi incontri importanti, nutrirci di vita  e arricchirci a livello di esperienze e ci ha portati a essere sinceri con il pubblico e quando il pubblico vede la sincerità ti ripaga in qualche modo.

Questa prima esperienza di ingaggio vi ha portato oltreconfine, precisamente a Parigi, dove poi è fiorita la vostra carriera e continuate la vostra vita in pianta stabile. Come vi trovate oltralpe? E visto che site di fatto emigrati dall’Italia, vivendo in Francia la vostra carriera artistica e che nell’ultimo album si parla di “amore migrante”, ed è incentrato sullo sviluppo di questo tema attraverso una ricerca sonora sull’opera del compositore Valdimir Sambol da cui prende il nome, voi vi riconoscete nella figura dei giovani “fuggiti” all’estero per cercare un futuro che qui non avrebbero?

In realtà noi siamo andati via senza pensarci troppo. Considera che io mi sono laureato il 30 luglio e ad agosto ero a Parigi. Quindi la motivazione della partenza non è stata questa. Però ovviamente ha inciso sulla decisione di rimanere all’estero. Stando a Parigi e in generale in Francia, vedendo le possibilità che ci sono lì tra locali e café, e come lo Stato aiuta la cultura, vedendo che da 15 anni riusciamo a sopravvivere facendo solo musica mentre in Italia dovremmo farlo come secondo lavoro, abbiamo deciso di rimanere. Poi da quattro anni grazie a Stefano Piro, altra figura importantissima per noi, stiamo facendo molte date anche in Italia. È chiaro che ti fa incazzare perché l’Italia mi manca però bisogna dare delle priorità alla propria vita.

Quindi qual è la vostra visione del tema, peraltro molto attuale, delle migrazioni?

Attraverso la storia di Vladimir Sambol, anche lui emigrato anche se per ragioni diverse dalle nostre, proprio per via degli strani modi in cui oggigiorno si usa questa parola, noi abbiamo voluto mettere un altro soggetto, davanti alla parola “migrante”, cioè l’amore, parlando di un amore di una figlia e di un padre che “migra” nel tempo, che nel tempo arriva a noi e noi a nostra volta possiamo portare in giro attraverso la musica. Volevamo sottolineare la migrazione d aun altro punto di vista che è quello dell’amore. La migrazione è un tema vecchio come il mondo e sarà sempre d’attualità.

E invece, prendendo in analisi l’altra parola contenuta nel sottotitolo, cosa pensate dell’amore? Come lo vive un artista migrante? In modo più poetico, più introspettivo o più libertino? E quanto è presente, anche solo come ispirazione, nelle vostre opere?

C’è un lato nostalgico dato dalla distanza, l’aver rinunciato agli affetti, per cui lo vivi così. Certo, a 24 anni da italiani all’estero su un palco era facile fare conquiste; adesso noi siamo molto innamorati, abbiamo famiglie, figli, e quindi l’amore  è tra la famiglia e la musica.

Dal punto di vista strettamente musicale è difficile identificare un unico genere in cui situarvi, perché si tratta di musica suonata, di strumenti, di musica nata da esibizioni di strada quindi qualcosa di indefinibile. Voi come vi definireste o come vorreste essere identificati in base al tipo di suono che vi caratterizza?

Questo album è particolare per due motivi: è la prima volta che riarrangiamo l’opera di un altro compositore ed è la prima volta che sperimentiamo così tanto a livello sonoro (per la prima volta abbiamo introdotto le chitarre elettriche, un basso elettrico, un sound designer, abbiamo preso nuovi musicisti da realtà completamente diverse). Qualcuno ci ha definiti come “folklore imaginaire”, qualcuno ha detto “da Fellini a Kusturica”, per me resta comunque un’italianità nel cercare di narrare storie con la melodia, con una varietà di colori e di ritmi da altre parti dl mondo. Folk italiano? Folk è un termine complesso, io la chiamerei “musica da film”, sulle immagini che uno si fa, musica da viaggio, musica da cinema.

Vi sentite ancora addosso lo stile degli artisti di strada anche se siete ormai artisti completi e a tutto tondo?

Questo dell’artista di strada è stato un momento che non puoi portarti troppo dietro. Bisogna fare dei gradini. Se rimani ancorato a quella fase vuol dire che cerchi sempre di attirare il pubblico, adesso è il pubblico che viene a vederti e in quel caso sono loro che entrano nella tua musica, devi tu essere in grado di portarlo con te e fargli vedere quello che hai dentro.

Il live report:

Finita l’intervista, nel giro di pochi minuti, l’Onda Road, ristorante affacciato direttamente sul lago Trasimeno, è già pieno.

Alle 22 inizia lo spettacolo e la gente seduta ai tavoli viene istantaneamente rapita dalla musica suadente del quintetto e delle loro introduzioni ai vari pezzi, spiegazioni e racconti che illustrano le circostanze in cui questi sono nati e le emozioni che ci sono dietro.

Domina, al centro della scena, il violino: il violinista è perfettamente calato nella parte con tanto di cilindro e mantellina da musicista zingaro.

Oltre al trascinante singolo Vlado, nato da una partitura incompiuta di Vladimir Sambol intitolata Sei stata la mia vita, che i Guappecartò hanno completato, suonano Balkanika, Tango (Invocazione), un tango che, sperimentando in studio, si è trasformato rispetto all’originale con l’aggiunta della chitarra elettrica.

Eseguono poi Sorgen, uno swing originariamente in tonalità maggiore che però evoca in realtà, anche nel significato del titolo in svedese, dolore, tristezza, stato di necessità per qualcosa che manca. La sensazione di inquietudine quindi ha portato il gruppo a trasporre in tonalità minore il tema composto da Sambol.

Alternano momenti in cui prevale il suono di violino, fisarmonica, contrabbasso e gli altri strumenti tradizionali, ad altri in cui si avvertono le incursioni della chitarra elettrica, grande novità di questo album.

A un certo punto parte una sorta di ritmo che movimenta la serata e da quel momento in poi è tutto un crescendo di emozioni, di coinvolgimento del pubblico e di musica sempre più intensa.

Nel finale la dedica alla loro “madre” artistica Madeleine Fischer e a tutte le persone che non ci sono più, con il brano Delicate infiorescenze. Dopo il saluto finale, il bis con Vlado (di nuovo) porta gran parte dei presenti ad alzarsi in piedi e andare a ballare sotto il palco.

Guappecartò

Ricordiamo le prossime date del “SAMBOL TOUR” (in continuo aggiornamento):

16 dicembre – Teatro Basilica, Roma

17 dicembre – Sala Assoli, Napoli

20 dicembre – Vabbuò Bistrò, San Felice a Cancello (CE)

21 dicembre – Mr Rolly’s, Vitaluzio (CE)

12 gennaio – Club Etnie, Marcianise (CE)

16 gennaio – Museo della Pace, Napoli

17 gennaio – Sentieri Aperti, Paolisi (BN)