Intervista a Levia Gravia

Si sa, le band tutte da scoprire sono il nostro pallino…come farci sfuggire l’occasione di intervistare i Levia Gravia?

Senza troppi preamboli a voi tutto quello che abbiamo scoperto!

 

-Come vi siete conosciuti e come avete scelto di suonare assieme?

FABIO: Avevamo degli amici in comune. Alfonso cercava dei musicisti per registrare delle demo, cosi un giorno ci siamo visti a chitarre sguainate e mi fatto ascoltare delle canzoni che aveva scritto. Appena finito l’ascolto ho capito che nella sua scrittura c’era qualcosa di molto profondo, qualcosa che colpiva anche me, musicista all’epoca un po’ allergico al pop italiano. Non ci siamo detti molto che stavamo già lavorando sui pezzi.
-Il vostro nome da cosa deriva?
ALFONSO: Levia Gravia è una raccolta di poesie di Carducci. Non tanto l’autore quanto il nome ci piaceva come suonava. “Leggero e pesante”, un po’ come il nostro lavoro: vestire con la leggerezza delle canzonette concetti a volte complessi.

-Con chi avete collaborato e sognate di collaborare in futuro?

F: Individualmente siamo randagi della musica, i classici turnisti con alle spalle un ventennio e più di collaborazioni. Io ho collaborato con Tony Esposito, James Senese e Gragnaniello. Domenico Andria (il bassista) oltre a essere membro stabile della Salerno Jazz Orchestra ha collaborato fra gli altri con Bob Mintzer, Simona Molinari, Antonio Onorato e Giovanni Amato. Giampiero Virtuoso (il batterista), poi, nella sua trentennale carriera, ne ha visti tanti: Dario Deidda, Giulio Martino, Toots Thielemans, Lester Bowie, Toninho Horta, Tony Scott, Maria Pia De Vito, Ares Tavolazzi, Danilo Rea, Gegè Telesforo, Joe Amoruso. In gruppo abbiamo diviso il palco con Sergio Cammariere, Baustelle, Daniele Sepe, Inti-Illimani, Andrea Chimenti, Gegè Telesforo, Alfonso Deidda , Tommaso Scannapieco, Gianfranco Campagnoli.
ALFONSO: La collaborazione che abbiamo sognato per anni è quella con Ivano Fossati, ma forse si è sparsa troppo la voce e lui si è subito ritirato dalle scene…

-Parlateci del vostro disco, di come è nato e a cosa vuole portare.

A: “Nel tempo che avanza” (questo è il titolo del nostro secondo disco) è uscito a ben otto anni di distanza dal primo (“Il contributo”, OtiumRec 2008). Le 10 tracce dell’album inseguono il concetto di Tempo, tra l’ozio e la fretta. Il tempo personale, quello che ognuno di noi individualmente esperisce, che è passato (ricordo o rimpianto), che è presente (sconnesso e chiassoso) e che è futuro (incertezza e scommessa). Ma anche il tempo collettivo, di tutto quello che si muove intorno a noi, di quello che sta fermo e non riesce a muoversi, dalle nostre città al mondo tutto.

F: A cosa vuole portare? Alla possibilità di vivere con la nostra musica, di non smettere di scrivere. Al terzo disco.

-Il disco ha un packaging da urlo! Come nasce, chi è il vostro grafico?

A: Grafica e packaging sono opera mia che, se per il cuore scrivo canzoni, per la pancia lavoro come grafico presso Blocstudio. Ho pensato al concept del disco, all’idea del tempo, e così abbiamo ho deciso di utilizzare il metal box, una cover circolare che ricorda nella forma e nel materiale (la latta) i vecchi orologi da taschino.

-Venite da una terra super particolare… cosa vuol dire suonare in un luogo come il vostro luogo natio?

F: Veniamo da una terra che in questo periodo di crisi economica, culturale e (lasciamelo dire) etica, tende a richiudersi un po’ sulle proprie piccole certezze: un pizzico di Tammorra, un poco di bancarelle, e tanta paura delle novità. A questo si aggiunge un terrificante egoismo artistico: chi è riuscito ad ottenere qualcosa negli anni passati non ha alcuna voglia di condividere opera e gloria. Da qualche anno si usa l’espressione tra amici musicisti “siamo al si salvi chi può…”

-Pensate che al giorno d’oggi in Italia si possa ancora fare della musica d’autore?

A: Negli anni passati la musica d’autore è stata troppo spesso associata ad artisti (solitamente barbuti) il cui talento si manifestava soprattutto nella capacità di scrivere testi impegnati, profondi e personali. L’aspetto meramente musicale passava in secondo piano.
Nella musica d’autore oggi, secondo me, il livello testuale e quello musicale devono bilanciarsi, entrambi compongono la forma canzone e per ognuno di essi è necessaria la dovuta attenzione. La canzone d’autore perfetta è quella in cui testo, musica e arrangiamenti si muovono in equilibrio lavorando in simbiosi.

-Una sola parola per definirvi?

A: “In cerca”. Ma sono due… fa niente?