Intervista ai ClayToRide

I ClayToRide sono una promettente band da Thiene(VI), ma potrebbero benissimo provenire dalla vostra città. Con loro infatti ho avuto modo di venire a conoscenza le difficoltà e le aspirazioni delle giovani band, pronte per il salto di qualità a livello nazionale, che si devono scontrare con la cruda realtà e un Paese difficile. Con “Glass Vessels”, però, ci proveranno.

Prima di tutto, chi sono i ClayToRide: il motivo per cui è nato il progetto e che direzione ha preso. Avete obbiettivi concreti per il vostro futuro o è ancora un puro e semplice divertimento?

I ClayToRide sono una post-rock band formata da tre amici (Stefano Sartori, Michele Thiella e Matteo Tretti nrd), ormai fratelli, che praticamente si sono scelti a vicenda. La musica ci ha legati ancora più intensamente, trasformando la nostra amicizia in una forma di simbiosi. Inizialmente, e l’idea è rimasta invariata tuttora, il nostro obiettivo era di fare musica assolutamente libera e pura. Il progetto è iniziato solo per divertimento, ma ora la musica è l’unico sfogo per buttare fuori le nostre sensazioni, quasi come fosse una necessità.

Dal punto di vista musicale, la scelta di passare da 5 componenti a 3 è stata vissuta con difficoltà oppure vi ha aperto un nuovo mondo e un nuovo modo di intendere la musica?

Certamente, la scelta di rimanere in tre non è stata cosa facile. Però erano le intenzioni, le motivazioni ed il senso di necessità di fare musica sempre maggiori, a farci decidere di proseguire questa strada in tre. E tale cosa é stata riconosciuta da ambo le parti. Proprio per questo, ci siamo congedati con gli altri due membri in maniera assolutamente serena e, tuttora, siamo rimasti buoni amici. Chiaramente, se da un lato rimane un po’ l’amaro in bocca, è stata sicuramente una tappa fondamentale, che ci ha permesso di raggiungere un vero e proprio salto sonoro.

Perché la scelta di registrare in analogico il primo disco? Sentimentalismo nei confronti dei bei tempi andati o per una scelta artistica?

Artisticamente eravamo crudi e lo siamo tuttora, quindi registrare come fecero i Beatles e i Doors ci ha aperto un bivio, volevamo dare la nostra impronta e il nostro modo di suonare, esaltando la nostra naturalità. Scelta artistica o no, suonava bene, ci piaceva e quindi l’abbiamo tenuto.

Perchè siete tornati al digitale con “Glass Vessels”?

Abbiamo deciso di tornare al digitale con “Glass Vessels” per cercare di mantenere un suono più verosimile possibile al live, non avendo le stesse possibilità e tempistiche del primo. Certe sonorità erano possibili solamente con il digitale, come il ronzio di fondo del primo disco degli Oasis. Ringraziamo comunque Mike Prosdocimi e Alberto Stocco (i produttori di “For His Wine & Chamber”, registrato in analogico nrd) per il loro suggerimenti nella costruzione del disco e ovviamente Giovanni Schiesaro per averci accolti in studio con tempistiche ristrette.

Se i ClayToRide entrassero nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che cosa cambierebbero nel panorama musicale (in maniera costruttiva e non distruttiva, non vale “eliminare i talent show”)? Siete dotati di assoluta onnipotenza.

Faremmo di tutto per togliere la SIAE, da musica e spettacolo. Inoltre sarebbe un’utopia fondare una nuova coscienza artistica che farebbe ridestare le menti deviate di chi ci deride dall’esterno ed, anzi, inviterebbe ad entrarci. Romperebbe quei piccoli gruppi elitari del mainstream basato sull’ignoranza e la mediocrità, aprendo nuovi scenari internazionali ai quali poter aspirare grazie al proprio talento e non attraverso il conto in banca.

Come gestirete la produzione indipendente del disco ? Perché questa scelta coraggiosa?

Sostanzialmente per non avere problemi come nel passato. Pagando una booking, la Simbiosi dischi, in cambio di numerose garanzie e promesse, ci siamo ritrovati ad avere zero servizi e un album pubblicato con un anno di ritardo. Sfortunatamente in Italia mancano garanzie per i musicisti, sia a livelli alti sia a livelli bassi, a causa di personaggi che lucrano sulle spalle di chiunque.

A voi non piace essere paragonati a gruppi e catalogati in un genere, ma avete punti di riferimento musicali? Cosa non togliereste mai dallo stereo della macchina?

Qua potremmo scannarci. Ascoltiamo generi totalmente diversi, il che favorisce la nostra produzione musicale. Gli Airway ci hanno definiti come gruppo erede anni ’90, nonostante noi non ci avessimo mai pensato. Non toglieremmo mai “Only by the night” dei Kings of Leon (Stefano), “The shape of punk to come” dei Refused (Matteo) e “Bleech” dei Nirvana (Michele).

Vi sentite più a vostro agio fra le mura di uno studio, oppure nella dimensione live?

La vera essenza di un musicista crediamo sia nel palco, dove la band può assorbire l’energia del pubblico, rielaborarla dentro di sé e ritrasmetterla sotto forma di onde d’urto sonore a chi gli sta davanti. Il live è un rito, è teatro, è contatto, è “l’orgasmo finale”.

Nei vostri testi principalmente di cosa parlate? Volete dare un messaggio oppure volete semplicemente raccontare voi stessi?

Nei nostri testi vengono raccontate storie di persone che come tutti hanno a che fare con l’imprevedibilità, il fragile equilibrio, l’incertezza di ogni giorno. Non credo che siamo gente in grado di lanciare messaggi, piuttosto situazioni, come in “This Town”. In questo caso, intendendola come canzone di denuncia, ci sentivamo in dovere di farlo.

Secondo voi, ora come ora, è più facile avere successo con dei live di ottimo livello oppure concentrando le proprie forze e attenzioni sui social?

Bisogna far capire che la musica è ciò che si suona. Molti gruppi hanno potenza mediatica, ma spesso è tutto fumo. Lo stesso Flea dei Red Hot sostiene che se dovesse riiniziare la sua carriera con una nuova band, al momento, punterebbe tutto sui social.

Che aspettative avete riguardo al nuovo disco? Secondo voi come lo accoglierà il pubblico?

Pensiamo che se “For his wine & chamber” abbia destato curiosità nei nostri riguardi. “Glass Vessels” sarà la sorpresa folgorante. Potrebbe essere il cd prima di quello che vende, un punto di arrivo e il punto di partenza per questa nuova versione della band. L’inizio della maturità personale.

Il miglior concerto e il peggior concerto dei Claytoride fino ad oggi?

I migliori concerti sono stati sicuramente i recenti nel Sud Italia, al Barfly di Benevento e a Circello, grazie alla serenità del pubblico. Al nord probabilmente quello al Tetris di Trieste. Per il peggiore siamo tutti concordi: lo “Shamba Summer Fest” in cui abbiamo ridotto la scaletta per motivi fisici del nostro batterista, finendo in lacrime e pianti. Talvolta capita di perdere il controllo, non meritandoti la presenza sul palco e mancando di rispetto il pubblico.

 

Lorenzo G.