Ronin @ Arci Malabrocca

Un set minimale sul palco. Il già essenziale set dei Ronin diventa semi-acustico in occasione del concerto di giovedì 9 aprile all’Arci Malabrocca.

Tra le creature musicali di Bruno Dorella, questa è quella con cui ho meno dimestichezza. Ma la poca conoscenza dei lavori pregressi non mi impedisce di ascoltare d’un fiato “Adagio Furioso”, di innamorarmi dell’assenza di parole, di perdermi negli arpeggi della chitarra, sospirare e cercare di afferrare quel paesaggio che si materializza tra le note.
Dal vivo le vesti dei brani, già intense e cinematiche su disco, raggiungono un nuovo livello emozionale. Le luci sui quattro musicisti sono calde, il resto è silenzio completo, quasi un trattenere il fiato per non rovinare l’atmosfera. Quasi un respiro potesse far crollare le delicate costruzioni sonore. Nessun pedale, solo abile maestria su una hollow body e la massa imponente di Dorella, immobile, mentre la mano naviga veloce sulla tastiera.

I nuovi compari dell’avventura Ronin si inseriscono con l’entusiasmo della gioventù, come motteggia lo stesso Bruno, che prosegue affermando di non essere abituato a tenere il volume così basso. Il fragore caldo del deserto si respira anche a basso volume, lo straniamento di “Ravenna” arriva alle orecchie anche se l’amplificatore è puntato al minimo. La forza di queste canzoni è contenuta sia nelle mani di chi suona sia nell’orecchio di chi ascolta e si abbandona alla musica. Il segreto è proprio abbandonarsi, farsi abbandonare a lato di una polverosa Route con un teschio di animale accanto. Il classico immaginario “on the road”. Un immaginario che è difficile da realizzare senza scadere nel manierismo stereotipato. I Ronin grazie a qualche strana congiunzione astrale riescono nell’obiettivo. A qualsiasi volume. In qualsiasi situazione.

Amanda