UN’EDIZIONE DA “BRIVIDI”: LE NOSTRE PAGELLE DI SANREMO 2022

Finita la 72^ edizione del FESTIVAL DI SANREMO, possiamo fare un bilancio sicuramente positivo dello spettacolo televisivo (confermato dal record di share) e forse un po’ meno della musica (che in teoria dovrebbe essere centrale)… Ma almeno è un passo in avanti! Anche se c’è da osservare, come vedremo nelle conclusioni, che al tempo stesso si assiste a una maggiore capacità tecnica dei più giovani, come dimostra la vittoria schiacciante di Mahmood e Blanco con la loro Brividi.

Dopo aver descritto le prime serate (qui e qui), ecco dunque le nostre pagelle finali, seguite da una riflessione complessiva su quello che abbiamo visto in questo Sanremo 2022.

AMADEUS: 7

Partiamo dal direttore artistico, in quanto conduttore e responsabile delle scelte degli artisti e della gestione di tutto l’insieme: tra tante scelte discutibili merita un voto positivo perché è riuscito finalmente a trasformare il Festival di Sanremo, sradicandolo da quella pesantezza che lo caratterizzava (a parte la durata ovviamente), e rendendo il tutto più easy, più rilassato, più giocoso e festoso, e soprattutto più umano (beccandosi tante critiche per questo).

ACHILLE LAURO: 3

Il simbolo della “gestione Amadeus” (e, bisognerebbe aggiungere, del fraintendimento nazionalpopolare), voluto dal direttore artistico lo scorso anno come fenomeno del trasformismo e dell’espressione visiva con le sue performance, torna a gareggiare.

Lo fa con la debole riedizione della sua famosa hit Rolls Royce, così pregna di (non)significato in salsa vascorossiana 2.0; ma in una sorta di negativo di quella foto di successo che fu il suo esordio, si presenta ad aprire la prima serata mezzo nudo anziché travestito, seminando indizi di un probabile esaurimento delle idee, che compensa con coriste gospel totalmente ingiustificate, santini di se stesso e un bel battesimo blasfemo in diretta che non si capisce cosa dovrebbe significare. Stupisce di più con il suo atteggiamento nella serata delle cover insieme a Loredana Berté. Noioso.

GIUSY FERRERI: 6

L’uso del megafono e di melodie orientaleggianti diverse dal suo solito rafforzano il suo timbro particolare ma le fanno perdere qualcosa in appetibilità. Questo allontanarsi dalla sua zona di comfort la redime dalla ripetizione dei tormentoni ma al tempo stesso non convince perché non la valorizza del tutto.

HIGHSNOB & HU: 4

La brutta copia dei Coma_Cose ma con look più trash stile Die Antwoord, senza avere le capacità né della prima coppia, né della seconda, riesce sorprendentemente a mettere in gioco un buon rap con riferimenti testuali di spessore e un pregevole cantato, che però risulta comunque banale. Resta da capire cosa è successo nella diatriba con Junior Cally che ha rivendicato la proprietà del brano.

EMMA: 5

La classica Emma da Sanremo, ormai lanciatasi come icona del femminismo strong women, con la sua voce graffiante porta un brano che non merita particolare attenzione se non per la conturbante musica di Dardust, il deus ex machina di molte canzoni in gara.

IVA ZANICCHI: 2

Completamente fuori posto in mezzo a giovani e modernità, con una canzone che trasuda vecchiume quanto lei. Ogni volta che veniva annunciata scattava l’illusione e la speranza di veder entrare invece “I VazzaNikki”…

MASSIMO RANIERI: 3

Vedi sopra, ma con la differenza che almeno la canzone ha un testo significativo, che racconta il punto di vista di chi è migrante e che gli è valso addirittura il premio della critica “Mia Martini” (totalmente ingiustificato).

SANGIOVANNI: 4

Questa estate è diventato un big con i suoi tormentoni, sul palco di Sanremo sembra piccolissimo. Non riesce a reggere il confronto con la genialità che ha avuto nel costruire un pezzo così “acchiappante” come Malibu. La sua canzone non riesce a farci sentire le Farfalle nello stomaco. Però nella serata delle cover ha fatto un’ottima scelta con il brano A muso duro di Pierangelo Bertoli cantato insieme a Fiorella Mannoia.

DITONELLAPIAGA & RETTORE: 7

Forse ci si aspettava di più da Donatella Rettore in quanto icona ma sul resto c’è poco da spiegare, è una questione di chimica – chimica – chi – chi – chi…

MICHELE BRAVI: 6

Il cognome è appropriato. Fa effetto vedere quanto sia maturato anche come persona; colpisce per la sensibilità e per la bella voce particolare ma per il genere che fa non può andare oltre questo per chi preferisce ritmi un po’ più sostenuti. La dolcezza fatta persona. Puccioso.

MATTEO ROMANO: 5

Non male, ha una voce interessante, anche qui echi di Tha Supreme nelle variazioni ma molto più melodico. Diciamo che ce la possiamo cavare con la classica frase “ancora deve crescere”…

LE VIBRAZIONI: 6

Beh, almeno un po’ di rock…

AKA7EVEN: 4

Un giovane che non mostra una grande personalità artistica, non è né carne, né pesce. In compenso la canzone ha un significato importante e i cori nel ritornello danno il giusto slancio per farla diventare una sorta di inno della body positivity o una perfetta colonna sonora automotivazionale.

YUMAN: 5

Il giovane dalla voce blues / soul ha qualità ma non convince e il brano non rimane impresso.

TANANAI: 3

Ha qualcosa su cui potrebbe lavorare e migliorarsi, dei possibili punti di forza che però non ha messo a fuoco, rendendo inevitabile il piazzamento agli ultimi posti della classifica, se non proprio ultimo come poi è finito.

FABRIZIO MORO: Ah, c’era anche lui?

Me ne sono accorto solo quando gli hanno generosamente REGALATO il premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo. Forse sarà perché ormai lo confondi con la tappezzeria dell’Ariston, o forse perché quest’anno è stato insignificante. Come già accaduto in passato, la canzone può essere anche bella ma l’interpretazione lascia a desiderare per via del personaggio che ispira un po’ di antipatia e per via della mancanza di sforzo nel rinnovarsi.

ANA MENA: 4

La Ariana Grande de noantri, qui più in versione Lola Ponce neomelodica, stupisce con un ballo tra reggaeton, lambada da villaggio vacanze e dance zingara, in cui sacrifica la sua pur gradevole voce e ci porta a fare un giro sulle giostre, distraendoci mentre ci ruba il portafoglio e stupra il ricordo di Amami ancora dei CCCP e della sua versione Nannini.

NOEMI: 10

Con la sua voce potente e la sua flessibilità, si conferma come una delle migliori grazie soprattutto alla struttura sonora complessa del brano, composto da due campioni della complessità moderna quali il vincitore Mahmood (nel testo) e l’onnipresente Dardust (nella musica). Le loro influenze conferiscono una forma robusta al ritmo in crescendo e soprattutto al ritornello; qui nella sua strana distorsione del suono non lineare, il tutto esplode con un’anima elettro-rock che dà una forte carica.

GIANNI MORANDI: 8

Si emoziona e riesce ad emozionare con la melodia stile anni ’60 anacronistica, in un pezzo da ripartenza post – pandemia scritto da Jovanotti, di cui sono riconoscibili le sue caratteristiche più stereotipate: ritmo allegro e trascinante in modo sempliciotto, metrica e attitudine alla “viva il parroco” ma con parole che, pur includendo riferimenti banali a “sole” e ottimismo, compiono riflessioni profonde sulla vita in cui ci si può immedesimare.

Va bene, forse non meritava il Premio Sala Stampa “Lucio Dalla”, di certo non meritava di vincere la serata cover, visto che quello che è stato fatto non si può chiamare cover (e neanche medley). E forse non meritava neanche di arrivare sul podio ma in ogni caso ispira simpatia e merita rispetto. (Foto di Anna).

LA RAPPRESENTANTE DI LISTA: 9

Sono stati sicuramente i migliori della serata cover, trasformando Be my baby in un rave, buttandosi a ballare in un delirio sfrenato con artisti fighi come Cosmo, Ginevra e Margherita Vicario. Il brano in gara invece ricorda le sonorità di uno di quei gruppi underground anni ’90 / primi 2000, unite a un funky tutto da ballare, che ci rimarrà in testa per giorni e giorni. Non male ma meno convincenti rispetto al passato. Peccato perché, visti i precedenti dei Måneskin, avrebbero trionfato sicuramente all’Eurovision con un brano che fa “Ciao Ciao”!

GIOVANNI TRUPPI: 8½ (ma nel senso di Fellini)

Pluripremiato dalla critica esterna (vincitore dei Premi Lunezia e MEI) apprezzato cantautore, mantiene la sua coerenza da alternativo e se ne frega di tutto e di tutti, girando sempre in canottiera pur non avendo un fisico prestante. Forte di questa immagine ibrida tra il Claudio Bisio di Rapput e uno Zerocalcare appena uscito dal centro sociale, porta l’unica quota “canzone politicamente impegnata” (nella serata cover, reinterpretando De André con dei mostri sacri quali Vinicio Capossela e Mauro Pagani, con tanto di bandiera anarchica a forma di cuore sul petto), mentre in gara destabilizza tutti con un brano d’amore profondo e dalle multiple fasi, alternando il cantato a uno spoken word semplice ma emozionante. Vincitore dell’alternative.

RKOMI: N. C.

(canzone da 8 ma copiata)

Alla prima esibizione, scendendo le scale ha gettato la maschera, giustamente: il fatto che il suo Taxi Driver sia l’album più venduto del 2021 non lo rende il grande artista originale da acclamare, almeno in questo contesto. Si presenta come un rocker motociclista tutto vestito di pelle, in realtà sarebbe un rapper ma non ha chiuso neanche una rima.

Non pago di ciò, riesce a copiare almeno 3 canzoni diverse in unico collage stucchevole: un riff di chitarra rock già sentito, sulla base di Personal Jesus, un po’ di Muse, un po’ di Tha Supreme, un pizzico di Sangiovanni, una spolverata di Irama dell’annata 2021, banalità q. b., et voilà, ecco la ricetta perfetta per costruire il brano di successo studiato a tavolino per Sanremo. Facile, no? No, non funziona proprio così. Non basta assemblare insieme pezzi riconoscibili di altri successi recenti. Quindi è impossibile valutarlo, si becca un Non Classificabile. Non fraintendiamo, il testo è bello, lui nella scrittura è bravo e il ritmo sarebbe convincente e trascinante, se solo fosse il suo!

MAHMOOD & BLANCO: 6

Piazzatasi da subito al primo posto con poche variazioni nelle varie serate, la canzone Brividi era la vincitrice annunciata già dall’inizio, registrando il record del brano più ascoltato di sempre in un giorno su Spotify Italia con 3.384.192 stream in sole 24 ore dall’uscita e contemporaneamente il più alto debutto di sempre per una canzone italiana nella classifica global della piattaforma suddetta, oltre alla prima posizione nelle classifiche di tutte le piattaforme digitali e nella classifica FIMI/GfK dei singoli più venduti in Italia.

A prescindere dal merito, la musica, soprattutto a Sanremo, funziona anche quando divide: che sia in un senso positivo o negativo, si può dire che a tutti hanno fatto venire i “Brividi”. Inoltre è la dimostrazione che questi giovani di cui si parla tanto male, tecnicamente sanno cantare. Reginetti del ballo.

IRAMA: 6

Tecnicamente bravissimo, ogni anno cresce di livello e lo si nota di più: tonalità particolare, bella voce, genere sempre più melodico puro. Proprio per questo, ovviamente, si allontana dal gusto di chi vuole un po’ di ritmo. Sospetto plagio di una parte di Bruno Mars in Lighters. Onore al merito civile, condiviso con Amadeus, per aver invitato a Sanremo Gianluca Grignani in un momento evidentemente difficile della sua vita. Bravo ragazzo.

ELISA: 6

Voce celestiale, sempre emozionante, ritorna alla grande dopo 21 anni e sembra che non sia passato un giorno. La sua leggiadria è qualcosa di unico ma forse sarebbe più apprezzabile in un contesto che ne valorizzi questa caratteristica, per esempio un sound trip hop o comunque un po’ originale, un po’ alla Björk. Infatti ultimamente si è visto come ha saputo creare atmosfere ultraterrene, lasciandosi accostare a basi futuristiche e al rap di Rancore (sempre a Sanremo nel 2020) e quello di Gue nel suo ultimo album. Ma forse è un’impressione del tutto personale, visto che la musica del suo brano è stata apprezzata tanto da ricevere il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la migliore composizione. Eleganza nobile.

DARGEN D’AMICO: 9

Tanta solidarietà per lui, che a Domenica In si è sentito rivolgere dall’amata Zia Mara la domanda “Dove sei stato tutto questo tempo?”;  e non gli è bastato svicolare con un simpatico “Eh… ero qui dietro le quinte”, no, lei ha insistito, voleva sapere, come si saranno chiesti in molti, da dove è sbucato questo personaggio singolare, dove era in tutti questi anni in cui il mondo pop non sapeva niente di lui. Avrei voluto essere al suo posto e urlare: “A FARE LA STORIA DEL RAP ITALIANO, C****!”…

Uno dei più grandi cantautori / rapper o cantautorap (come è stato presentato), “un poeta e un po’ no”, per competere a Sanremo avrebbe potuto puntare sulla prima qualità, invece ha scelto di far prevalere la parte “no”, la sua anima più tamarra. Con questo inno dance festaiolo concepito come coro da stadio riesce sicuramente a suscitare simpatia e voglia di ballare ma poteva fare di meglio. Peccato che si sia penalizzato così ma intanto godiamoci questo tormentone che comunque fa anche riflettere. Vincitore morale.

Menzione speciale 1): DRUSILLA FOER

Un personaggio scelto appositamente per mandare dei messaggi, sapendo di andare incontro a polemiche e divisioni. Forse il suo monologo è stato penalizzato dal fatto di essere relegato come tappabuchi di fine serata alle 2 di notte ma si possono osservare due aspetti sicuramente positivi:

1) la simpatia;

2) ha cantato meglio di molti artisti in gara.

Voto: 7

Menzione speciale 2): RAGADI (FEAT. CISTY, FELYA)

Senza dubbio il miglior trapper sul palco di Sanremo 2022, forse si avvicina solo Amadeus nella sua strofa rap con Rovazzi! E come artista in generale compete solo con Oronzo Carrisi!

Voto: 9

Riassumendo:

Sparito il rap (e la trap), polverizzato l’indie, marginalizzato e messo all’angolo il rock, viene recuperata la dance come elemento di corredo, trionfa il genere misto di urban, pop e melodico che forse rappresenta il genere musicale della nuova era discografica.

Quindi, parlando di generi, la moda sembra completamente cambiata: a prevalere numericamente e a riscuotere successo sono tendenzialmente i giovani cantanti che hanno l’attitudine da rapper ma poi rappano poco o niente, o comunque con metriche minimizzate, preferendo le variazioni vocali melodiche in cui Mahmood e Madame a Sanremo hanno fatto scuola, sfociando leggermente nel glam e nell’apparenza gender fluid provocatoria o emozionale.

Insomma, tutto sembra tornare alla melodia. E allora qui c’è la nota positiva (termine appropriato): i giovani hanno dimostrato di non essere impreparati come comunemente si credeva e questo può rappresentare una svolta nella futura concezione della musica cha va di moda. Non è più la trap, non è più l’indie, non è più apparenza senza contenuti e doti tecniche, non è più parole messe alla rinfusa senza melodia, ma è ritorno al cantato.

Infine, tornando a un commento più tecnico, non possiamo evitare di tornare su una caratteristica negativa (non trascurabile) e costante di questi ultimi anni, che abbiamo già sottolineato nelle nostre recensioni delle scorse edizioni: perché dobbiamo assistere ancora a questi problemi con l’audio? Perché far vedere a tutti in Mondovisione cantanti che stonano e il pubblico che grida “voce” perché non sente neanche il conduttore, manco fossimo a una riunione dei genitori di studenti di una classe delle medie?

Ecco, non vorremmo essere ripetitivi ma per l’ennesima volta dobbiamo ricorrere a un chiarimento su ciò di cui questo Sanremo ancora ha bisogno: