Intervista a Jesse The Faccio: il successo della normalità

In occasione dell’ultima data del suo tour estivo abbiamo fatto quattro chiacchere con Jesse The Faccio che ci ha stupito con la sua semplicità e spontaneità.

Siamo all’ultima tappa di questo tour estivo: cosa ti porti dietro da questo viaggio e cosa hai perso invece strada facendo?

Perso direi niente anzi ho solo guadagnato partendo dal nulla direi che assolutamente tutto di guadagnato. Ho preso sicuramente del pubblico, della consapevolezza di come fare i, live di come fare il mio live…di me stesso sicuramente. La voglia di fare tanto, altro anche se l’avevo già, è comunque aumentata, non voglio che questo viaggio finisca: finirà però per il più breve tempo possibile.

Leggevo che nella definizione del tuo genere ti rifai molto a sonorità lo-fi e leggevo che anche tu stesso registi in maniera abbastanza semplice, abbastanza “artigianale”. Quanto è una registrazione in questo modo e quanto invece è un tipo di suono che vai a ricercare anche quando magari vai a mettere effetti o comunque del lavoro in studio?

Parte sicuramente da un’esigenza e da un mio modo di fare le cose cioè mi piacciono quelle sonorità e quindi riesco a riprodurre quelle sonorità abbastanza naturalmente in più penso che si sposi abbastanza bene con il mio modo di scrivere, il mio modo di arrangiare e produrre i pezzi. Poi in studio chiaramente, soprattutto adesso, c’è un po’ più di ricerca per riprodurre qualcosa, in verità per il disco “I Soldi per New York” è stato molto molto molto naturale veramente: avevamo quei mezzi là, un microfono, una scheda audio, la mia chitarra e i miei pedali. Una scelta abbastanza obbligata insomma

E nel look invece? Siamo abituati a vederti sempre con il cappellino (quanti ne hai?): quanto c’è la voglia di sentirsi a proprio agio e quanto invece di avere un’immagine identificabile?

Sinceramente non ci penso più di tanto, penso di vestirmi così da tutto il tempo della mia vita o almeno da quando ho iniziato ad avere una coscienza di decidere come vestirmi.  

Il cappello lo porto in testa da tipo 3 anni ininterrottamente, senza mai toglierlo quindi è una cosa che un po’ mi è rimasta. Poi ovviamente forse l’ho preso da quello che vedevo che non c’era in Italia, ma c’era in Europa o negli Stati Uniti soprattutto anche a livello di look tramite Internet. Magari anche semplicemente la musica che ascoltavo, guardavo ovviamente le facce di chi faceva questa musica e si vestiva in una determinata maniera, portava le cose in una determinata maniera e paradossalmente si agganciava naturalmente, anche qui, a come già io andavo in giro e quindi poi è diventato un look totale.

Ho semplicemente lavorato in autogrill per dei mesi e quindi ho un cappello dell’Autogrill perché ci ho lavorato, gli altri sono trovati e uno l’ho comprato a €1,90…

Hai fatto un primo album poi una cover e un altro singolo su Spotify. Qual è il tuo rapporto. con un mezzo come come Spotify? l’intenzione poi è di proseguire comunque con il classico disco o più seguire più una strada di singoli e vedere poi dove portano?

Il mio rapporto con Spotify sinceramente non so come sia nel senso che è un po’ non dico d’obbligo, però è la piattaforma più utilizzata quindi c’è bisogno che chiunque scriva musica prima o poi finisca in determinate maniere. Poi non penso che la mia musica non sia esattamente nel registro totale di come viene ascoltato la musica italiana o anche semplicemente paragonata a qualche altro esempio di musica italiana quindi sicuramente si fa un po’ più fatica sui numeri. Ma non li guardo così spesso, davvero, non sono così troppo interessato. c’è della roba molto figa che a me fa impazzire che ha numeri bassissimi che secondo me dovrebbe averne molti di più, quindi secondo me sono più su quella fascia là.

Per quanto riguarda il futuro sicuramente la forma disco è la forma che mi interessa di più e quindi ci sarà sicuramente un altro disco. Ovviamente proviamo a seguire “le regole” che sono state decretate e quindi singolo-singolo-singolo-disco, queste cose qua. Però non è che ho una vera e propria formula, io cerco di scrivere più che posso, capire i pezzi che possono essere più singoli “per me”. Poi se riesco ad arrivare alla gente che ascolta anche il famigerato Indie Pop italiano o It Pop italiano o Indie italiano, o come vogliamo chiamare questa categoria che è diventate fin troppo grande, sono ovviamente contento.

Da questo punto di vista, quanta libertà di azione e quanta comunione d’intenti c’è a livello di etichetta, di management, etc. nel voler portare avanti un progetto come un disco che oggi sembra quasi una cosa un po’ anacronistica?

Fortunatamente trovo totale appoggio da chi lavora con me, ho quasi il 100% del polso della situazione su tutto quanto. L’unica cosa un po’ più determinata sono le tempistiche semplicemente, quando io potrei fare uscire, volendo da solo, un pezzo al mese dopo ovviamente viene tutto quanto un po’ ridimensionato. Però davvero sono veramente tutti molto tranquilli e si fidano molto di me, secondo me semplicemente perché hanno visto che c’è un po’ di consapevolezza nel progetto da parte mia e quindi le cose vanno avanti un po’ da sole.

Poi ovvio che essendoci davvero tantissima musica e approcciandomi alla musica italiana ti direi che non mi piace troppo, anzi abbastanza quasi zero, rimanere in determinati canoni ma capisco che è importante farlo e cerco quindi di riuscirci portando avanti ovviamente quello che interessa a me, quella sorta di educazioni musicale che interessa a me.

Tu parlavi di una sorta di maturità che ti riconoscono, anche perché tu sei giovane ma non giovanissimo nel senso che ad oggi c’è gente che a 18 anni ha già praticamente una carriera alle spalle, tu invece sei arrivato relativamente tardi. C’è stata una gavetta di un qualche tipo o semplicemente non volevi fare questa prima di trovare chi te la facesse fare come dicevi tu?

Diciamo esattamente a metà tra le due cose. Mi è servita molto la gavetta che ho fatto, iniziando a suonare supergiovane in alcuni gruppi del liceo, provando a fare indie rock quando era veramente indie-rock sia in inglese che in italiano. Poi mi  è servito molto il mio percorso con i Moplen, un gruppo con cui ancora sto lavorando di cui faccio parte ancora e fare un tour con loro, capire effettivamente come funziona la musica in Italia. Poi in verità tutto quello che avevo accumulato dei pezzi, fortunatamente non è stato registrato prima di dell’estate del 2017 dove penso di aver trovato le persone, il tempo e anche la mia stabilità emotiva per decidere di registrare un disco, anche se in casa comunque. Quindi è un po’ l’insieme delle cose.

Sicuramente i pezzi non erano fatti prima e a un certo punto ho detto “c**** adesso è il momento” oppure non avevo nessun tipo di conoscenze e quando le ho messe insieme sono partito: è stato un po’ insieme delle cose, ho dovuto assimilare dei meccanismi, nel frattempo ho scritto, ho preso delle mie sicurezze e poi ho trovato una quadra perfetta con i miei ragazzi che suonano con me ed era il momento giusto per fare queste cose qua…ed è andata bene.

Leggevo i tuoi riferimenti e per quanto riguarda gli stranieri sono tutti molto contemporanei, per quanto riguarda gli italiani invece sono tutti abbastanza datati…quindi ti chiedo, se tu potessi riportare in vita un solo artista chi sarebbe e per quale motivo?

Uno solo faccio molta fatica, italiano io vado purtroppo sul mega classico e vorrei Battisti, solo ed esclusivamente per saper, poi magari non lo direbbe neanche adesso e farebbe come Mina tipo…però capire cosa ne pensa di adesso e magari tipo l’album del 2006 di Battisti lo vorrei sentire ecco.

Stranieri in verità ne ho due, uno per la stessa motivazione di Battisti che l’unico e grandissimo Kurt Cobain anche qui cadendo nel banale, ma è uno dei miei fondamenti sono partito da ragazzino ad ascoltarlo, avevo 10 anni quindi non può non esserci nelle mie cose. e per lo stesso motivo di Battisti appunto, capire cosa potrebbe fare, cosa avrebbe da dire di quello che gira adesso.

E poi Elliott Smith sicuramente,  per vedere quanta altra bellezza avrebbe potuto scrivere.

Hai fatto il MIAMI, io ti ho visto suonare al Woodoo Fest…in generale i festival ti piacciono? la situazione dei festival in Italia ti piace? come li vivi?

Per piacermi mi piace molto. Essendo anche comunque un primo turno con questo progetto è un po’ tutto quanto nuovo, un po’ tutto da scoprire però sono veramente entusiasta di com’è andata la mia esperienza. Li vivo normalmente cioè come ogni live, si arriva là si fa il lavoro d check e tutte quelle cose che “dobbiamo” fare giustamente… e poi ci se la gode e  si parte con il live. Ci sono momenti in cui ho molta ansia, altri momenti  in cui non ce l’ho, ma questo non dipende al 100% dalla musica o dal posto.

E poi solitamente facciamo chiusura cioè restiamo fino al massimo che si possa rimanere lì nei posti, nei festival, a conoscere gente, abbracciare persone, vivere al 100% l’esperienza quindi ti direi che è tutto super positivo.

Poi magari quando avrò, come spero di avere, tantissime date una vicino all’altra ridimensionerò o avrò qualcuno che mi dirà “oh Jesse mi sa che dobbiamo andare in albergo se no domani si suona neanche”. Però al momento visto che è ancora abbastanza blando è tutto quanto molto autogestito e anche con le doppiette triplette ce la siamo gestita bene…poi una settimana di rehab, però va bene.

Progetti per il futuro: stai già lavorando alle cose nuove o ti prenderai una pausa?

Sto già lavorando a cose nuove anzi le cose nuove sono abbastanza già definite, non so le tempistiche perché appunto dipendono probabilmente da altri quindi io ho le mie in testa e poi possono diventare altre. Però le cose nuove ci sono e sono molto contento.

Dopo questa chiusura del tour estivo sicuramente andranno avanti delle date invernali, qualcosa ma sarà non un vero e proprio tour, probabilmente sarò da solo…e basta, poi si riparte molto carichi per l’anno prossimo!