La celebrazione di una bella storia nel live dei Massimo Volume a Foligno

Nella sera di plenilunio fortemente ventilata, che stride con la data segnata dal calendario ovvero l’inizio della primavera, questo 21 marzo 2019 al centro di Foligno è avvolto in un’atmosfera crepuscolare, perfetta per accogliere il concerto dei MASSIMO VOLUME, che portano anche in questa città il tour dell’ultimo riuscitissimo lavoro Il Nuotatore, che continuerà con tante altre date.

Anziché far pensare alla primavera, quest’atmosfera ricorda le parole di una canzone nota come Inverno ’85:  

“Per tutto l’inverno dell’85 / ho passato i miei pomeriggi di fronte allo

stereo / in camera di mio fratello”

A questa idea di sotterraneo, di storia underground, di fan di una musica sperimentale nascosta, ci fanno pensare i Massimo Volume con tutta la loro produzione, che però ha fatto veramente la storia della musica alternativa negli anni ’90, situandosi in una linea di continuità in materia sperimentale tra i CCCP (immediatamente precedenti) e gli Offlaga Disco Pax (immediatamente successivi e i cui testi parlati sembrano ispirati a Clementi e compagni).

Oggi, dopo scioglimenti, ricomposizioni e cambi di formazione, oltre a celebrare la loro storia, ci vogliono dire che nonostante tutto sono ancora qua, con dei pezzi nuovi.

Man mano che viene occupata gran parte delle poltrone dell’Auditorium San Domenico, una chiesa sconsacrata, ambientazione perfetta per ospitare i Massimo Volume, una musica ripetitiva e ipnotica introduce gli spettatori all’inizio del live.

Dopo la partenza con la vecchia e cara Litio, si rimane da subito affascinati dai giochi di luci suggestivi, con illuminazione variante ma a intervalli monocromatici, i cui colori evocano scenari diversi e spazi aperti in cui far viaggiare e muovere le parole e la musica, perfettamente fusi insieme, creando una sintonia unica.

Già dall’entrata sul palco con relativa calda accoglienza del pubblico, la band si impone come formazione composta da eroi con il piglio delle rockstar.

La formazione ridotta all’osso con i tre membri storici, più Sara Ardizzoni aka Dagger Moth, cantante ferrarese, in aiuto alla chitarra elettrica, occasionalmente al basso e ai cori, è composta da:

-le chitarre di Egle Sommacal che fanno vibrare l’aria;

-Emidio Clementi che troneggia in mezzo al palco con un elegante cappello e il suo caratteristico spoken word;

-Vittoria Burattini che alla batteria scandisce il tempo in modo affettato ma brutale, come con potenti battiti di tam tam di una tribù selvaggia, un ritmo incalzante su grosse percussioni africane, eppure riesce a farlo su una base musicale ricercata e dall’atmosfera elettrica (non elettronica, sonorità che la band, per questo ultimo album, ha messo da parte dopo la contaminazione elettro-rock dei precedenti), dandosi un tono da band alternativa.

Le (poche) parole spese dal “cantante” per introdurre i pezzi, contestualizzano e danno il “la” alle sensazioni che vogliono richiamare. Inoltre permettono di apprezzare maggiormente le capacità evocative dello storytelling fortemente presente nel repertorio della band.

La scaletta è ottimamente variegata, pur concedendo la supremazia ai brani nuovi, e offre una sintetica ed esaustiva panoramica del percorso dei Massimo Volume dagli anni ’90 a oggi.

Abbiamo quindi tutte le perle del nuovo album, la tracklist Il Nuotatore, ma anche Una voce a Orlando, la potente Amica prudenza, la preghiera Nostra signora del caso che dal vivo è interpretata in modo ancora più struggente, La ditta di acqua minerale, prima della quale Mimì Clementi dice che lo zio di cui parla la canzone era proprio di queste parti, poi l’ironica e riflessiva L’ultima notte del mondo con la sua carrellata di personaggi crepuscolari, fino a Fred, il dialogo immaginario con Nietszche passeggiando per la laguna di Venezia e alla sorprendente Mia madre & la morte del generale Josè Sanjurjo, decisamente la canzone più d’effetto dell’ultimo album, che eseguita dal vivo rafforza lo stile ironico e rimane in testa.

Fra le vecchie glorie svettano Silvia Camagni, Compound, in cui si sente del noise come voci raddoppiate, effetti di echi e delay; poi il pubblico va in visibilio per Il primo dio, dedicata al poeta Emanuel Carnevali, e in chiusura l’intensa Vedremo domani.

A seguire il bis che si apre con La cena e che culmina nel più forte hard rock di Qualcosa sulla vita e di Fuoco fatuo.

La voce di Emidio Clementi, nonostante le difficoltà dovute alla resa dell’audio, forse non adatto a un luogo come l’Auditorium San Domenico, dove è prevalso il suono degli strumenti, declama (e talvolta urla) testi fatti di immagini vivide, tratteggiate e dipinte con cura, svolgendo un ruolo importantissimo per gli utenti che oggigiorno hanno minori livelli di attenzione: contribuisce infatti ad esercitare l’ascolto attivo, e con questo le capacità immaginative e intellettive, oltre che quelle di comprensione e apprezzamento delle migliori forme di capacità espressiva.

E così facendo permette alla società di migliorarsi.

Si, perché in un momento storico di crisi valoriale, culturale e sociale diffusa a livello nazionale, in una situazione di stallo in cui proliferano l’ignoranza e l’analfabetismo funzionale, in un mondo ormai traviato e soggiogato da fake news, informazioni inquinate e distorte, e incapacità di comprensione, che si ferma alla superficialità totale, anche il mondo musicale ne risente e subisce gli strascichi dell’appiattimento dei livelli e dei canoni della buona musica.

Ma proprio partendo da un presupposto di reazione, sottoforma comunque di “constatazione” del mondo così com’è e della sua decadenza, partendo dalla descrizione di ciò che si può osservare con una certa sensibilità, seppure in modo nichilista, i Massimo Volume si sono ritagliati nel tempo un posto tutto loro, un posto che respira il fascino o quantomeno nutre l’aspirazione di un innalzamento culturale della musica.

E in questo contesto colpisce, e regala sprazzi di speranza in una società migliore, vedere un pubblico brillante, fatto di appassionati della band e della sua storia, che partecipano attivamente al concerto urlando dalla platea i titoli dei pezzi più datati che vorrebbero sentire.

Insomma, i Massimo Volume, per quanto invecchiati in termini di età, non sono invecchiati come band, oppure lo sono nel senso in cui “invecchia” un buon vino o un oggetto da collezione, che acquisisce ancora più valore.

La loro storia li conferma come una band dal suono incisivo, gustosamente sperimentale nell’espressione dei testi eppure, senza per niente far rimpiangere l’assenza di cantato e di melodie vocali (elemento geniale e originale nel paese del canto melodico per eccellenza), profondamente e intensamente rock.