Intervista ai Josephine

La seconda intervista del Senza Filo Music Contest è stata dettata dal cuore: quando ho ascoltato i Josephine non ho potuto fare a meno di restare affascinata dalle loro sonorità crude e secche, eppure cariche di echi. Conoscendoli, poi, ho scoperto che si tratta di un progetto praticamente neonato, e questo mi ha affascinato ancora di più. La band è composta di tre elementi: Josephine, che compone i pezzi ed è cantante e chitarrista, Elia alle percussioni e Sara, corista. Ho deciso di fargli qualche domanda in amicizia, ed ecco il risultato. Buona lettura!

Cominciamo con una breve panoramica sulla vostra storia: come vi siete formati e da quanto tempo?
Questo progetto ha visto la luce grosso modo alla fine dell’estate 2015, inizialmente in una dimensione mia molto intima: è nato perlopiù da un’esigenza personale di esprimermi e solo poi è arrivato il desiderio di condividere con altri la mia musica e le mie emozioni, per fare qualcosa insieme. Io e Sara facciamo entrambe parte del laboratorio di teatro del Cantiere San Bernardo e ci conoscevamo già bene; a fine autunno il gruppo di teatro era partito per la Danimarca e io avevo promesso che al ritorno gli avrei regalato le mie canzoni per fare qualcosa insieme. Ormai parliamo di un anno fa, Elia ancora non lo conoscevamo. Da Gennaio poi abbiamo iniziato a lavorare sui pezzi con grande entusiasmo, io li facevo ascoltare a Sara e lei era entusiasta, così abbiamo iniziato a pensare in un’ottica di gruppo, il che non è stato difficile dato che siamo molto amiche e abituate a collaborare. A Marzo abbiamo fatto la prima serata qui al Cantiere, in maniera molto kamikaze ad essere sincera, forse non eravamo pronte ma avevamo davvero voglia di metterci alla prova, continuando a consolidare questo assetto conferendo maggior rotondità alle sonorità, soprattutto da quando, solo pochi mesi fa, si è aggiunto Elia alla formazione.

Altra domanda di rito per un gruppo appena formatosi: quali sono le vostre influenze e a quale genere vi sentite più vicini?
E’ un po’ difficile dirlo: essendo tre singoli che hanno deciso di mettere insieme le proprie esperienze individuali non c’è una vera omogeneità. Anche per le diversità dei nostri caratteri, che si rispecchiano negli ascolti di ciascuno, non riusciamo a definire la nostra musica con un genere preciso, è una cosa che non ha a che fare con noi tre, emerge dallo stare insieme eppure ciascuno da il suo contributo naturalmente. Abbiamo spesso incontrato persone che facevano fatica a inquadrarci musicalmente, e noi non possiamo che essere d’accordo con le loro perplessità.

Concordo sulla difficoltà ad inquadrarvi. Penso piuttosto che abbiate la rara capacità di generare un immaginario. Forse è più semplice dire quali atmosfere sapete creare piuttosto che a quali generi vi ispirate. A questo proposito, sia Josephine che Sara fanno parte del Teatro Cantiere: questa esperienza quanto e come incide sui vostri pezzi e sulle vostre performance soprattutto?
Per noi musica e teatro sono due mondi paralleli a distinti, anche se senza dubbio le esperienze che maturiamo nei due campi vengono riutilizzate. Ad esempio Sara usa molto gli esercizi vocali tipici del mondo del teatro per gli arrangiamenti vocali, inoltre spesso nei cori sovrappone alla linea vocale principale in inglese la glossolalia, una lingua inventata di cui facciamo spesso uso nei nostri esercizi a teatro. L’esperienza personale maturata nel teatro l’ha portata all’interno del gruppo: questo significa per noi portare la vita di ciascuno nel progetto per metterlo in comune. E’ una cosa che ci è venuta subito naturale, essendo prima di tutto amici e facendo le cose in maniera molto istintiva, ed è così che vogliamo continuare a crescere.

La vostra nudezza e originalità proviene proprio dalla vostra spontaneità: nel sentirvi suonare ho percepito come se quel che stavate facendo lo faceste per la prima volta, nell’accezione positiva di una completa sincerità. Quanto è importante per voi l’improvvisazione? Come nascono i vostri pezzi?
Questo aspetto di spontaneità e improvvisazione a volte potrebbe essere preso per inesperienza, cosa che a tutti gli effetti non possiamo negare: siamo inesperti, e se suoniamo è proprio per acquisire esperienza e diventare sempre più padroni di quel che facciamo. La nostra spontaneità e la freschezza delle nostre idee viene dal fatto che siamo una formazione nuova e stiamo attraversando quel periodo dinamico in cui c’è grande fermento. Molto di quello che facciamo è costruito su una sorta di feeling, su un’ispirazione o un’improvvisazione se vuoi, ad esempio gli la parte ritmica e le percussioni di Elia sono spesso nati dal suo istinto e da come lui ha interpretato i pezzi che gli abbiamo proposto. Per noi cercare la sintonia tra di noi è fondamentale in questo momento, l’intesa è la cosa che ci porta avanti nella nostra ricerca di un’identità.

Abbiamo parlato di immaginario e di atmosfere: ci sono situazioni, ambientazioni, immagini che vi ispirano o in cui vi riconoscete, che vorreste ricreare, anche rifacendovi ad altre arti?
Più che da un’ispirazione esterna credo si tratti di un bisogno interno. Il nostro obiettivo è quello di dar vita ad un’atmosfera che sia il più intima possibile. Ciò non vuol dire che debba rimanere esclusiva, anzi siamo felici quando vediamo che coinvolgiamo più pubblico possibile al livello emotivo, ma l’intimità del dialogo col singolo non si deve perdere. Speriamo che la nostra musica ci permetta di instaurare un legame con ogni singolo ascoltatore: un dialogo con un interlocutore, questo è il nostro approccio. Quindi direi che non c’è una vera ispirazione che ci arriva dall’esterno.

Il vostro intento è, quindi, parlare alle persone…niente male! Ma non deve essere facile, dato che siete ancora alle prime armi spesso il pubblico ha la brutta abitudine di non ascoltare davvero. Che tipo di feedback avete avuto fin ora?
Personalmente io la prendo come una sfida, e anche il mio dare qualcosa di me ogni volta che suono, raccontarmi, è una sfida ogni volta. E’ bello quando scopri che qualcuno è rimasto ammaliato, che si è lasciato avvicinare da te, capisci che a quel punto c’è una sintonia, ma bisogna avere il coraggio di sbilanciarsi anche quando c’è il rischio di non venir capiti. Credo che sia fondamentale per qualunque gruppo o artista in generale, per trovare la propria dimensione e non adattarsi a fare sempre la stessa cosa, quella che magari riscuote più consensi.

La vostra performance a cui ho assistito al Senza Filo era ovviamente acustica, ma essendo voi alle prime esperienze vi piacerebbe ampliare i vostri orizzonti, sperimentare qualcosa di diverso visto che ancora è tutto così indeterminato? Quanto siete disposti a osare nel vostro futuro?
Tanto, anzi non vediamo l’ora di farlo!! In realtà siamo nati in veste acustica più per esigenze esterne che per altro, io suonavo sempre in casa, oppure provavamo qui al Cantiere San Bernardo, quindi quella di suonare in acustico è sempre stata un po’ una scelta obbligata. Già prima del contest però ci siamo detti che vorremmo provare nuove strade con le cose nuove a cui stiamo lavorando tutti e tre insieme, che quindi avranno anche un respiro diverso, più corale e meno impostato sulla mia sensibilità. Quindi si, senza dubbio abbandoneremo un po’ le nostre abitudini per lavorare su un repertorio elettrificato, siamo aperti a qualsiasi influenza e non abbiamo idea per ora di cosa andremo a fare.

Chiara Cappelli