Sanremo 2025: fare i Conti con il passato che ritorna

Nella 75^ edizione il Festival di Sanremo torna ad essere lo specchio del peggio dell’Italia, caduto talmente in basso che sul palco il più bravo di tutti è stato un topo pupazzo.

Sanremo 2025, si è concluso con la vittoria di Olly, seguito da Lucio Corsi (vincitore del premio della critica Mia Martini), terzo Brunori Sas (premio Sergio Bardotti per il miglior testo), quarto Fedez, quinto Simone Cristicchi (premiato dalla Sala Stampa Lucio Dalla e dal premio Giancarlo Bigazzi per la composizione musicale), sesta Giorgia (a cui è andato il premio Tim che va anche a Settembre, vincitore di Sanremo Giovani).

Ecco il giudizio generale su questa edizione e sulla nuova direzione artistica e le nostre pagelle sui cantanti in gara e disposti dai migliori ai peggiori, in un violénto decrescéndœ.

Willie Peyote

Dopo aver vissuto male la sua consacrazione al grande pubblico nel Sanremo senza pubblico (ne ha parlato molto nell’album successivo “Pornostalgia”) è tornato con un pezzo un po’ rap e un po’ blues come è nel suo stile, parlando dell’attualità: dei manifestanti manganellati in piazza, degli asterischi nel linguaggio, del rapporto complicato con il politicamente corretto, del vittimismo di certi personaggi tra cui conservatori e nostalgici del fascismo che ora si sentono protetti e spalleggiati. In più ha messo su un bel siparietto con tanto di simpatico cameo del comico Luca Ravenna, ottenendo un bel risultato scenico.

Voto: 10 politico per il testo più politico (non che ci volesse tanto).

Lucio Corsi

L’alieno della nuova scuola del cantautorato ha fatto capire come si può essere eccentrici senza finire per risultare, all’opposto, banali. Il brano, con un assolo di chitarra a ricordare che è rock, è un inno per tutti quelli che non si sentono dei “duri”, che non si sentono perfetti perché non conformati. Quindi a ben vedere è il brano migliore, quello che dice le cose più coraggiose. 

Questo elfo retrò, un po’ giullare, un po’ glam, un po’ space rock anni ’70 – ’80, che sembra uscito dal film Labyrinth ricordando in piccolo David Bowie, insieme a Topo Gigio, più intonato di molti altri cantanti, ha messo in scena una favola, che entra nella storia della televisione, celebrando Domenico Modugno, l’istituzione più grande del firmamento della canzone italiana.

Nella finale ha portato la chitarra Wandrè, uno strumento unico con una storia particolare tutta italiana. Inoltre mentre suonava il pianoforte, seduto scomposto come un bambino, ha mostrato la suola dello stivale con la firma “Andy” che cita il film Toy StoryQuesto e tanti altri elementi hanno dimostrato una grande sensibilità e dolcezza.

Mentre tutti gli altri sfoggiano abiti di stilisti lui si fa i vestiti da solo con i sacchetti di patatine per riempire le spalline, perché lui è così: va per la propria strada, senza dover per forza brillare per farsi notare. Partito da outsider è diventato il vincitore morale, meravigliandoci tutti e al tempo stesso facendoci chiedere se questo artista lunare sia esistito veramente o lo abbiamo sognato, come fossimo sotto effetto di un incantesimo collettivo. 

Sogno Luci(d)o. 

Voto: 10 più altri numeri inesistenti fantastici stralunati

Simone Cristicchi

Ci ha abituato a brani molto diversi tra loro. Quest’anno come con “Ti regalerò una rosa” con cui vinse a Sanremo, è andato sull’emotivo, con un brano che ha commosso molti e ha fatto alzare tutto il pubblico dell’Ariston. Chi non si è commosso ha cominciato a sospettare della sincerità del brano, a odiarlo e addirittura identificarlo come simbolo della destra. Alla fine porta a casa due premi della critica. 

Voto: 9

Brunori SAS

Sempre a cavallo tra De Gregori e Dalla, rischiando di non uscire da questo stampo, sa sicuramente essere all’altezza di questi punti di riferimento, con un testo sul rapporto padre-figlia che non delude le aspettative sul premio della critica, anche se la melodia inizialmente ricalca troppo “Rimmel”Cantautore di razza. 

Voto: 9

Fedez

Riesce a emozionare anche se più che altro nel senso che ci fa preoccupare per la sua salute. A prescindere dalle sue vicende personali diventate di dominio pubblico, ha portato un brano che descrive la depressione, facendocela venire. 

Quindi evidentemente è riuscito a trasmettere la sofferenza in un brano dal significato importante. Nonostante molti se ne sono accorti solo ora, al di là degli aspetti discutibili del personaggio, in realtà Fedez è un rapper bravissimo tecnicamente (noi lo abbiamo detto più volte, precisamente qui e qui). 

Per quanto riguarda la serata delle cover, come era forse più prevedibile, si è distinto grazie all’aiuto fondamentale di un Masini dal carisma stratosferico, che si sapeva sovrapporre benissimo alle strofe di rap duro, in una sorta di remix dal vivo di “Bella stronza” che in modo molto intenso e personale ha dedicato alla donna che, lo sanno tutti, lo ha fatto tanto soffrire, che è… Volete saperne di più? Lo scoprirete nella prossima puntata, facendo l’abbonamento. 

Voto: 8,5

Shablo e la gang

A leggere i nomi nella lista, l’accozzaglia di rappusi e hiphoppettari al seguito del producer Shablo si preannunciava una partecipata di quelle fatte tanto per fare, per portare a casa dai genitori la foto ricordo, una comparsata fuori luogo, al sapore di macchietta dell’Hip Hop. 

E sembrava proprio così a vederli comparire nella prima serata: un tizio strano che pigia tasti su una consolle, uno sconosciuto mulatto dall’accento americano che sembra la versione nera di Mondo Marcio (quindi la sua versione credibile), una stella del rap italiano goffamente camuffata da Run DMC e un veterano dell’Hip Hop delle origini ormai pensionato, vestito da limone.

Invece il beat era particolare, i coristi facevano la loro figura e hanno contribuito, insieme alle due strofe di Gue e Tormento unite dalla voce calda di Joshua, a creare un’atmosfera spiritual, soul, hip hop gospel che suonava real come se la sentissimo sbarcare in Italia per la prima volta. 

Voto: 8

Serena Brancale

Talento istrionico ammantato di nu jazz che qui strizza l’occhio al neomelodico, l’unica a portare un po’ di brio ed energia. Magari dovrebbe scandire meglio le parole, altrimenti si perde il senso. Rivelazione. 

Voto: 8

Giorgia

Dopo l’edizione precedente in cui aveva un brano che evidentemente non era adatto alle sue doti vocali, questa era l’occasione del coronamento di una grande carriera iniziata proprio all’Ariston. Per questo tutti facevano il tifo per lei, il brano in gara stavolta lasciava spazio ai suoi virtuosismi vocali, in più come era prevedibile ha vinto nella serata cover con la sua versione di “Skyfall” potenziata dal duetto con Annalisa, e alla fine… è rimasta fuori dalla top 5. 

Si è dovuta accontentare del premio Tim (forse un premio di consolazione?) ma lei ha reagito comunque commuovendosi, vedendo  l’acclamazione e l’affetto del pubblico. Infatti forse se avesse vinto lei nessuno avrebbe protestato. 

L’unica Giorgia riconosciuta da tutti come istituzione. 

Voto: 7,5

Coma_Cose

La nuova coppia romantica della canzone all’italiana continua a situarsi nel solco della tradizione perpetuando quella di Albano e Romina (anche nel ritornello del brano) e ricorda i Ricchi e Poveri, ma sapendo modernizzare il tutto con look e dettagli studiati alla perfezione. Con il loro stile e il gesto di formare un cuore con i propri corpi, con il ritornello martellante, sanno sempre essere evocativi, al passo con i tempi e smaccatamente pop, rimanendo originali. Andando a stringere però la riflessione sociale del brano, seppure importante, non è abbastanza approfondita. 

Nuova icona pop, ma meno “urban”, meno “fresh”. 

Voto: 7 con cuoricini

Rose Villain

In linea con la doppia personalità che porta nell’aspetto e nel nome, come l’anno scorso con “Click Boom!” sa essere allo stesso tempo dolce, aggressiva, sexy, melodica, urban, rap, pop, alternativa, sa costruire strofe molto ritmiche, ritornelli con quella ripetizione perfetta per le radio e bridge melodici che spezzano e contemporaneamente fluidificano il passaggio dalle une agli altri, con cambi vocali azzardati ma sempre ben riusciti. In più abbiamo ormai appurato che è ‘na preta… 

Catwoman de’ noantri

Voto: 6,5

Joan Thiele

Ha una voce e uno stile particolari, ma il brano sembra una versione di “Bang Bang” rifatta dall’Intelligenza Artificiale. Ottima invece la cover di Gino Paoli con lo zampino di Frah Quintale, che rende prezioso tutto ciò che tocca. 

Voto: 6,5

Clara

Non male le variazioni melodiche, le strofe quasi trap, e il ritornello da tormentone. Manca solo il contenuto. Si è fatta apprezzare più per l’estetica, ma siamo a Sanremo non a Miss Liguria. 

Voto: 6,5

Rkomi

Da “Insuperabile” a “Insufficiente”. La canzone sembra avere un significato interessante, un discreto testo e un bel sound. Ma con precisione non lo sapremo mai, visto che Rkomi riesce a mangiarsi tutte le vocali tra quelle che non pronuncia sbagliate.

Logopedista cercasi. 

Voto: 6

Francesca Michelin

La canzone ha buoni accostamenti di parole ma manca di sonorità moderne e non fa brillare la sua vocalità come meriterebbe.

Voto: 6

Noemi

Il suo graffiato aggressivo in questo brano la fa passare per una gatta rabbiosa in calore, privandola della sua solita femminilità.

Voto: 6 striminzito

Olly

Come il classico meme del cavallo sul balcone, ti chiedi come sia finito lì. Eppure è il vincitore di questa edizione portando un pezzo dal titolo “Balorda nostalgia” ma con solo lo 0,4% di distacco dall’alternativo Lucio Corsi, distacco che è stato invece molto maggiore nel televoto. Favorito da fangirl che lo apprezzano fisicamente, non è certo uno sprovveduto, avendo dalla sua anche i numeri dello streaming.

Voto: 5,5

 

Marcella Bella

Come i Ricchi e Poveri nel “regno” giovanilistico di Amadeus, poteva rappresentare la quota “ricicleria”. Invece si è saputa difendere con un ritornello orecchiabile e un’interpretazione senza difetti che porta a casa un discreto risultato: l’ultimo posto. 

Voto: 5

Bresh

A parte il ritornello che sembra copiaincollato da edizioni precedenti, fatto apposta per somigliare al tipico brano vincente di Sanremo, ma quelle occhiaie come se non dormisse da giorni, la voce diversa, il nome diverso… Insomma, Tananai tutto bene?

Voto: 5

(D)Irama

Uno dei più talentuosi ed eclettici giovani emersi proprio a Sanremo nell’era Amadeus, si è andato a perdere in un brano troppo artificiale per la sua voce. Rispetto agli inizi ha dIRAMAto. 

Voto: 5

Elodie e Achille Lauro

Dalla prima serata vestita da trota, alle altre con la scelta del nero per l’abito (che in questo caso fa il monaco) dava già un’idea precisa: sia Achille Lauro che Elodie, hanno scelto di mostrare un lato più introspettivo ed emozionale che non riesce a emergere rispetto al personaggio più provocatorio e movimentato creato negli anni nell’immaginario collettivo, facendo perdere tanti punti potenziali al Fanta Sanremo e dando uno sfogo minimo a sensualità e stravaganza solo a sprazzi nel duetto. 

Il brano di Achille Lauro una lagna. 

Il brano di Elodie dimenticato alle 7. 

Da “bollenti” a “bolliti”. 

Voto: 5

Massimo “Terminator” Ranieri

Nonostante il testo scritto da nientepopodimenoche Tiziano Ferro e Nek, non riesce a fare altro che generare meme per il suo occhio rosso. È riuscito a non arrivare ultimo, bene. Ora può tornarsene nel suo sarcofago al Museo Egizio. 

Voto: 4

Sarah Toscano

O, come definita da Conti, “La giovanissima Sarah Toscano”, come se la sua caratteristica identificativa fosse solo l’età. Effettivamente forse troppo giovane per cantare di “Amarcord” però, dai, simpatica…

Voto: 4

Francesco Gabbani

Porta un inno alla vita con la flemma di chi non ci crede fino in fondo, col suo fare piacione e antico.

Fuori luogo. 

Voto: 4

The Kolors

Il classico tormentone che non dice niente di significativo, se non ti trovi in vacanza a Mykonos. Unico merito: aver portato sul palco Fru dei The Jackal. 

Ci risentiamo quest’estate! 

Voto: 4

Gaia

Famosa per il tormentone “Sesso e Samba”, non a caso la sua specialità è il suo sangue brasiliano perfetto per i brani un po’ ballabili ma non sfodera questa sua arma nemmeno nella cover di un brano simbolo con il maestro Toquinho. Poco sesso e poca samba.

Voto: 4

Tony Effe

Non funziona la scelta di mostrarsi “ripulito” davanti a un pubblico che forse ne conosce solo qualche gossip o un tormentone ballato in spiaggia la scorsa estate dopo uno spritz di troppo. 

Una scelta patetica a partire dal look con cancellazione dei tatuaggi (che infatti poi cambia) e che si conferma nella canzone, una sceneggiata recitata male proprio mentre dice “Ora so fare l’attore”, mischiando una serie di riferimenti alla “romanità” da Califano a Mannarino, da Lando Fiorini a Gabriella Ferri, senza saper omaggiare veramente nessuno. Talmente infantile da minacciare di andarsene se non gli lasciavano indossare la collana di marca. Purtroppo la Rai ha perso questa occasione e lo ha accontentato. 

Stornellatore indegno. 

Voto: 3

Rocco Hunt

Da un rapper ci si aspetterebbe un testo significativo, mentre qui c’è sempre più appiattimento. Inconsistente. 

Voto: 2

Modà

Gli unici che sono riusciti a non rinnovarsi senza neanche essere considerati vecchie glorie. Inutili, anche se indubbiamente rappresentano una quota tamarra che rappresenta una fetta consistente di popolazione italiana. Kekko nel duetto porta con sé Renga, cantante altrettanto superato, riuscendo a sbagliare l’attacco come nei peggiori karaoke di provincia. Fanno presenza (e colore). 

Voto: 2

CARLO CONTI

E IL FESTIVAL IN GENERALE

Voto: 0 

Finita l’era di Amadeus & Fiorello, il clima che si respira in questo Sanremo 2025 è di restaurazione. O peggio: di una forma ibrida che conserva il “giovanilismo” nella musica, ma il più becero tradizionalismo e conservatorismo democristiano su tutto il resto.

Non a caso in un’intervista a RTL 102.5, Carlo Conti alla domanda su alcuni commenti che hanno definito la sua conduzione “democristiana” ha risposto: 

«Cosa significa Democristiano? Non lo so. Sono democratico e sono cristiano, forse è la fusione delle due parole»

Non c’è risposta più democristiana di questa. 

In tanti hanno notato che questo Sanremo non ha “Sanremato”: mancava qualcosa. 

Ad esempio stavolta non ci sono stati episodi eclatanti e nonostante il grande potenziale esplosivo (ricordiamo che in uno spazio minuscolo si sono alternati e presumibilmente incrociati Fedez, Achille Lauro e Tony Effe) non c’è stato spazio per gossip, polemiche piccantine, questioni pruriginose, neanche quando il Fanta Sanremo assegnava punti a baci in bocca e limoni. Tanto che solo l’ultimo giorno si sono inventati voci di corridoio variamente smentite. 

In questa edizione, per contraddistinguersi dalla gestione precedente, si riesce a finire tutto entro le una e un quarto di notte, facendo una corsa furibonda che sacrifica tutto ciò che compare sul palco, con cantanti in lacrime liquidate in fretta o che hanno paura a fare un ringraziamento, artisti cacciati, co-conduttori interrotti e zittiti. 

Carlo, stai molto calmo! 

Per esempio: nella fretta Carlo Conti scambia Willie Peyote per Brunori Sas: e dopo l’esibizione gli dice “so che volevi salutare qualcuno…” e Willie si guarda intorno smarrito, poi si scopre che era il cantautore calabrese a voler omaggiare Paolo Benvegnù

Con 29 artisti in gara (che poi dovevano essere 30), quelli di cui veramente ci interessa, e con tante cose che si potevano dire, tante cose si potevano evitare, tra espressioni poco felici e spesso sessiste (si parla tanto di catcalling però quando le conduttrici scendono dalla scala col nuovo abito, un grosso fischio grezzo da muratore in cantiere si può fare), tra apparizioni del Papa (“a sua insaputa”) e goffi tentativi di inclusione che finiscono per essere imbarazzanti forme di abilismo. 

Come con il Teatro Patologico e i continui complimenti alla bellezza di Bianca Balti evidentemente legati alla sua malattia, elementi che a molti hanno ricordato lo sketch di Lundini con gli attori down che si meritano le coccole.

Insomma “tutto scorre” per citare Eraclito, o Giuliano Sangiorgi, velocissimo, non aiutando la già scarsa attenzione verso le canzoni che dovrebbero essere al centro. Riducendo lo spazio si pretende di occuparlo comunque con tante amenità accessorie, pubblicità continue, marchette a film e programmi Rai, forti dosi di greenwashing e finti messaggi sociali.

Infine, anche rispetto all’anno scorso, non c’è consapevolezza sociale, consapevolezza del mondo che c’è là fuori. Intanto perché, come è stato detto, tutto ciò è completamente assente dalle canzoni, come se le canzoni d’amore fossero l’unica cosa di cui conviene parlare, quando ci sono tante cose da dire sulla vita e la società.

Poi per la scena patetica con cui è stato trattato l’argomento del Medio Oriente: con la più classica e superata delle scene retoriche, definendo genericamente “guerra” un evento di proporzioni storiche che non è una guerra, perché non ci sono due eserciti schierati, ed è più corretto definire genocidio e pulizia etnica, hanno fatto cantare insieme una cantante israeliana e una palestinese “Imagine” di John Lennon (che dice “no religion too” subito dopo il video messaggio del Papa). 

Ma è ancora peggio perché in realtà le cantanti in questione, Noa e Mira Awad sono rispettivamente una israeliana e un’araba drusa (quindi con la cittadinanza israeliana), entrambe a rappresentare Israele all’Eurovision, quindi stanno entrambe da una sola parte, quella che ha il coltello dalla parte del manico. Non è proprio la stessa cosa: manifestano un’idea di pace astratta e irrealizzabile, pura retorica buonista. Che in tempi in cui alla pace non si crede più è comunque stucchevole.

Questo, come la censura attuata da sempre, è l’emblema di un modo di fare televisione (e di condurre il Festival) che ricorda molto un Sanremo vecchio, ma che torna attuale. A conferma del fatto che, esattamente come la società di cui è specchio, questo ultimo Sanremo ha rappresentato un passo indietro, un ritorno al passato, a uno spettacolo più breve ma comunque più noioso e meno sopportabile. Come una volta. 

Unica nota positiva e che fa ben sperare è che i premi della critica, e anche in parte i primi posti della classifica globale, ci dicono che, nonostante tutto, è stato riconosciuto il valore dei cantautori.