35 anni di carriera, quasi quelli che servono solitamente per andare in pensione anche se Marco Masini e il suo pubblico hanno dimostrato mercoledì scorso al Teatro Galleria di Legnano che l’entusiasmo è quello dell’inizio, forse anche di più.

Correva infatti il 1990 quando uno sconosciuto Marco Masini vinceva la categoria nuove proposte del Festival di Sanremo con Disperato e iniziava la sua carriera. Da allora tanto è cambiato, dallo stesso cantautore, che scherza sul fatto che lui sia meglio adesso di allora (parere che così come il pubblico presente ci sentiamo di condividere), alla società che ci circonda ma nella quale anche le vecchie canzoni sembrano assolutamente attuali.
Quello che è rimasto immutato è l’affetto del pubblico per l’artista toscano, accolto con un boato da un Teatro Galleria pieno e che non ha fatto mancare il suo supporto per tutta la durata dello spettacolo.

La scaletta si apre con alcuni dei brani più recenti di Masini, procedendo quasi a ritroso verso i brani che ne hanno segnato il successo in un crescendo coinvolgente e che alterna momenti più energici a quelli più commoventi, come d’altronde ci ha abituato la sua discografia.
L’acme emotivo si raggiunge con la parentesi in piano solo o accompagnato in acustico: prima con Caro Babbo e la dedica ai due Giancarlo padri di Marco: quello biologico e quello artistico (Bigazzi), poi con le istantanee di vita, come definite dallo stesso cantautore, riproposte in un medley che racconta tutte le fragilità ma anche tutta la dolcezza di cui talvolta il mondo è capace.

Il ritorno sulla scena dei compagni di viaggio, sia di questo tour sia di buona parte della carriera di Masini, dà il via al segmento finale del concerto dedicato a quelli che sono probabilmente i più grandi successi di questi primi 35 anni di carriera, come ad esempio i brani vincitori del Festival Disperato e L’uomo volante.
Nel mezzo anche un po’ di riflessioni con brani che, come detto, appaiono ancora oggi estremamente contemporanei. Dall’ironia sul “maschilismo” di Le ragazze serie, alla serietà sulla legittimità della rabbia “che però non giustifica mai la violenza” introducendo Principessa.
Attenzione ai contenuti quindi ma anche, ovviamente, alla musica, come dimostrano i professionisti che affiancano Masini sul palco: amici certo, ma anche validi musicisti per un suono studiato e ricercato, ma non nel senso artificioso del termine ma proprio inteso come pensato e voluto.
3 chitarre diverse, basso, batteria, tastiere la base su cui spaziare, oltre a 2 coriste, più per dare ulteriore colore al cantato che per supportare la vocalità di Masini, perfettamente conservata nonostante il passare degli anni.

Il finale è invece quasi da stadio o da palazzetto, con i fedelissimi di Marco accalcati vicino al palco su invito dello stesso cantautore e una Vaffanculo con tutto il teatro in piedi in una sorta di rito liberatorio collettivo.
E liberati dalla rabbia c’è ancora spazio per l’ultimo momento di poesia con la versione piano e voce di Ci vorrebbe il mare, il brano che dà il titola a questo tour celebrativo e diventa una sorta di buonanotte con cui salutare il pubblico in attesa di tornare di nuovo, per la quinta volta, nella città dei Legnanesi.

Per tutti gli altri però gli appuntamenti con Ci vorrebbe ancora il mare non sono finiti e proseguono anzi fino al prossimo 5 dicembre:
7 novembre – PADOVA, GRAN TEATRO GEOX
8 novembre – BRESCIA, TEATRO CLERICI (SOLD OUT)
13 novembre – VARESE, TEATRO DI VARESE (SOLD OUT)
20 novembre – MONTECATINI (PT), TEATRO VERDI
25 novembre – BARI, TEATRO TEAM
27 novembre – CATANIA, TEATRO METROPOLITAN (SOLD OUT)
29 novembre – AGRIGENTO, PALA FORUM
30 novembre – PALERMO, TEATRO POLITEAMA GARIBALDI (SOLD OUT)
2 dicembre – NAPOLI, TEATRO AUGUSTEO
5 dicembre – TORINO, TEATRO COLOSSEO

Nato a Sesto San Giovanni ma con sangue 100% “made in sud” nella settimana in cui primeggiava in classifica “Carletto” di Corrado. Suonava benino il pianoforte, ora malissimo la chitarra
Cresciuto a Battisti, Battiato e Renato Zero, sviluppa una passione per i cantautori che ancora lo accompagna.
Al liceo scopre il punk e lo ska e abbandona un’adolescenza tamarra, il passaggio al rock è una normale evoluzione. Spotify gli spalanca le porte dell’Indie, parola che in ogni caso odia.







