Pisa Rock Festival w/ Appaloosa + Voina Hen

Il Pisa Rock Festival, quest’anno giunto alla sua decima edizione, ha deciso di non usare mezzi termini ed ha sfoderato per la prima serata due nomi forse non tra i più noti della scena indipendente, ma senza dubbio tra i più incisivi. Il 20 maggio il concerto organizzato dai ragazzi dell’associazione studentesca Sinistra Per nella Facoltà di Agraria di Pisa, tra luci cangianti proiettate sui palazzi e volumi infernali, ha visto esibirsi i toscanissimi Appaloosa.

A fare da apripista c’erano i Voina Hen: come sempre concisi e diretti, han fatto sputare anche l’ultimo residuo di rabbia rimasto in fondo al cuore. Un live potentissimo, una grande capacità di stare sul palco, una schiettezza e una sincerità ispirate da modelli – umani e musicali – che difficilmente hanno pari nella scena musicale odierna. I ragazzi di Lanciano eseguono i loro pezzi più noti, regalandoci due cover di fronte alle quali è difficile non emozionarsi – “Summer on a solitary beach di Franco Battiato e “Io non piango” di Califano.

Quando scendono dal palco i Voina Hen, intorno alle 23.30, nelle prime file siamo tutti già afoni e parzialmente sordi: sensazione splendida, se non fosse che il bello deve ancora venire. Gli Appaloosa da Livorno propongono un live eccezionalmente intenso e altrettanto impegnativo. Un suono che già in studio si presenta come profondo e incisivo ci arriva triplicato già dal primo brano “Amigo Mio” e “Barabba“. Da quel momento in poi soltanto una valanga inarrestabile di energia drum ‘n’ bass, con quel pizzico di elettronica che da sempre caratterizza la band. La scaletta alterna brani del nuovo “BaB“, con un’impronta industrial rigida e spigolosa, a pezzi del precedente disco “Trance44”, caratterizzati da melodie più orientaleggianti ed oniriche. Mentre il batterista taglia a fette lo spazio-tempo, i due bassi elettrici incedono con suoni così profondi che sembrano preannunciare calamità naturali, synth e drum machine curatissimi danno il tocco elettronico che basta per scatenare il delirio sotto il palco. Il meglio lo godiamo in chiusura, con pezzi come “Lestern“, “Yuri” e “Pellestate che ce la mettono tutta per dare il colpo di grazia al nostro stomaco e ai nostri timpani.

La band non brillerà per presenza scenica, ma i loro pezzi, eseguiti bene e a volumi spaventosi, sono l’unico biglietto da visita che serve. Questo concerto non si sa bene da che parte prenderlo: il pubblico balla alcuni pezzi come se fosse in una grande discoteca a cielo aperto, ma giusto un paio di secondi dopo prende vita un pogo in cui qualsiasi legge sembra essere sospesa. Gli Appaloosa ci chiedono una scelta radicale, un aut-aut: o si abbraccia questa meraviglia con tutti i suoi spigoli o difficilmente si vorrà ripetere l’esperienza.

Chiara Cappelli