Francesco De Gregori, un Principe al Vittoriale

Sabato scorso siamo stati nuovamente ospiti di Tener-a-mente festival per il live del Principe Francesco De Gregori, penultimo appuntamento di questa decima edizione del festival del Vittoriale.

Principe che come lo stesso De Gregori ha raccontato tempo fa è l’unico soprannome che accetta, anche perché coniato dall’amico Lucio Dalla e che, aggiungiamo noi, non potrebbe essere più adatto al cantautore romano.

Un po’ per il modo regale in cui porta i 70 anni compiuti lo scorso aprile, molti dei quali, 50 il prossimo anno, vissuti suonando la sua musica. Musica che ha attraversato le generazioni come dimostra anche l’eterogeneo pubblico presente a Gardone Riviera per il secondo sold out in altrettante date dopo quello dello scorso 10 luglio.

Ma anche per quel modo di fare non, come potrebbe permettersi, da re, figura che tutto comanda e decide spesso anche anteponendo sé stesso al bene comune, ma appunto da Principe, quello che nelle fiabe e nell’immaginario comune arriva a salvare coloro in difficoltà e a portare pace e bellezza.

Il live di De Gregori comincia chitarra e voce, come i suoi esordi quando suonava spesso prima di un gruppo punk/metal i cui fan in un crescendo di malcontento sopportavano questo antipasto acustico come lui stesso racconta:

Potevo fare 3-4 canzoni: se ne facevo almeno 3 venivo pagato, se vedevo che il pubblico apprezzava potevo farne un’altra. Inutile dire che non sono mai riuscito a farne 4.
Però da quella esperienza ho imparato una cosa: mai fare più di 3 pezzi chitarra e voce.

E fedele a questa lezione il resto del concerto lo vede circondato dalla band, musicisti ai quali lascia spazio con una dimostrazione di umiltà rara: nelle parti che non lo vedono protagonista il Principe quasi si nasconde, cedendo il palco al virtuosismo ora di uno ora dell’altro strumento quasi a ricordare che il tour si chiama Francesco De Gregori & Band live, quasi come fosse un duetto e lui fosse solo uno dei due protagonisti.

Tolto l’aneddoto sugli esordi De Gregori parla poco e suona molto e anche il pubblico segue quasi in religioso silenzio il susseguirsi dei brani: nonostante i testi delle sue canzoni siano noti probabilmente anche agli assenti c’è forse una forma di rispetto, una sorta di volontà di vedere l’artista all’opera più che di partecipare attivamente allo spettacolo.

La scaletta è un crescendo continuo verso i brani più attesi che, come promesso, sono talvolta resi inizialmente irriconoscibili o quanto meno mascherati da un nuovo vestito, come capita con Alice eseguita con un nuovo e riuscitissimo arrangiamento.

De Gregori canta, suona chitarra e armonica e in generale sembra essere il primo a divertirsi durante il proprio concerto: questa è una cosa che paga sempre ed è forse il segreto per una carriera lunga e costellata di successi come la sua, fatta musica popolare, nel senso più puro del termine, ma con tratti decisamente blues che la dimensione live fa risaltare e apprezzare particolarmente.

L’unico rimpianto della serata è proprio che con così tanti successi alla fine qualche brano storico debba rimanere fuori, o almeno farlo per una sera visto che come ha spiegato lo stesso cantautore presentando questo tour

La bellezza del live è anche questa, la scaletta non deve essere scontata, bisogna mischiare le carte

Il concerto si chiude con Viva l’Italia, il brano migliore per sottolineare l’invito a resistere e rispettare le regole anti-Covid in modo da potersi rivedere “più numerosi e più vicini” in futuro: appuntamento che, siamo sicuri, nessuno dei presenti vorrebbe mancare.