Intervista a Napoleone: alla ricerca della Amalfi che fu

Napoleone è il cognome e nome d’arte di Davide Napoleone appunto, autore già, tra gli altri, per Michele Bravi, Chiara Galiazzo e Gaia Gozzi. 

Ora Napoleone ha deciso di mettersi in proprio con un lavoro che racconta una storia ambientata nella costiera amalfitana di qualche tempo fa, i cui primi capitoli sono i singoli Amalfi e Porta Pacienza.

Abbiamo quindi deciso di fare una chiacchierata con lui per farci raccontare direttamente di questo suo nuovo progetto personale. 

Ho letto che c’è un lavoro di recupero di materiale di un antenato dietro i tuoi ultimi singoli nato da una ricostruzione genealogica. È un progetto nato durante il lockdown o qualcosa di precedente?

Non è un mio antenato in realtà ma è un lontano parente di un mio amico che è anche diciamo il co-produttore che insieme a me ha fondato l’etichetta con la quale lavoriamo (Tippin’ the Velvet).
Qualche estate fa quando andai a trovarlo ad Amalfi mi raccontò della scoperta di questo parente misterioso mentre suo fratello stava ricostruendo l’albero genealogico di famiglia. Quindi in realtà con il tempo abbiamo iniziato a raccogliere storie su questo personaggio e per rispondere alla tua domanda in quarantena ho trovato il tempo e ho iniziato anche a buttare giù delle canzoni che in qualche modo poi raccontassero questa storia.
Quindi sì, diciamo che l’idea c’era da prima però durante la quarantena poi ho iniziato effettivamente a scrivere

Abbiamo trovato quindi un aspetto positivo in questo lockdown…

Guarda in realtà io facendo il mestiere dell’autore avevo totalmente abbandonato diciamo la la mia carriera artistica o semplicemente non l’avevo mai iniziata, però sempre trovando delle scuse: non ho tempo, sto seguendo altri progetti, eccetera. In quarantena non ho avuto nessuna scusa e quindi mi sono ritrovato io e la chitarra e mi sono detto “Ok, adesso non ho più scuse” e ho iniziato a buttare giù qualcosa.

Sempre parlando del periodo di quarantena, visto che tanti artisti hanno rinviato le proprie pubblicazioni per via della situazione, credi sia stata un’opportunità per permettere ad artisti interessanti di emergere o tante novità sono invece frutto più della necessità di riempire un vuoto inaspettato?

Non so se ti riferisci poi Spotify oppure a quale altra forma…

Si, Spotify ma i social e i media in genere, visto che c’era anche un sacco di gente che faceva dirette o altro a volte senza essersi mai vista prima ma che avevano trovato uno spazio in quella situazione…

Di certo è stata una buona occasione per scoprire magari artisti emergenti visto che i grandi nomi erano totalmente fermi e appunto sulle piattaforme come Spotify non c’erano grosse uscite perché tutti hanno deciso di rimandare. Quindi in qualche modo magari hanno dovuto hanno dovuto rimpiazzare con artisti emergenti o comunque con canzoni che magari non sarebbero mai rientrate in playlist editoriali.
Però questo alla fine è un bene, anche magari nel loro voler diciamo solo compensare quel vuoto, hanno fatto comunque un qualcosa di positivo: il problema è che dobbiamo capire adesso chi è che riesce effettivamente a durare e chi no.
Poi in realtà gli effetti del lockdown e di questo stop secondo me lì capiremo l’anno prossimo.

Nei tuoi ultimi brani c’è una parte cantata in napoletano, da dove viene questa scelta, solo conservare l’origine dei brani o c’è altro?

Ti dico, in piena onestà, io ho iniziato a scrivere i brani in italiano perché non ho mai scritto in dialetto ed in realtà non è nemmeno una cosa facilissima scrivere una canzone che sia credibile, nonostante io magari sia padrone del mio dialetto.
La mia intenzione iniziale era quella di scrivere questi brani in italiano come ho sempre fatto, senza l’utilizzo del dialetto: non ci avevo nemmeno pensato.
Scrivendo però poi è uscito fuori come un qualcosa di di spontaneo che calzava perfettamente sulla storia che stavo raccontando e in qualche modo la rendeva anche più credibile. Quindi è un elemento assolutamente non forzato infatti nei due brani che sono usciti c’è solo una piccola parte come il ritornello.
Però ci sono altri brani, che poi faranno parte del disco che uscirà, dove magari si trova anche solo una parola o una frase in tutto il brano, ma non è una formula già predefinita quella dello scrivere in italiano e dialetto

Storicamente la musica napoletana ha una grande tradizione ma piuttosto definita, nel bene e nel male. La tua musica si distacca chiaramente da quella ma mantiene appunto questo riferimento linguistico, non hai paura che risulti una via di mezzo e che questo possa essere quindi controproducente?

All’inizio con il primo singolo Amalfi quando ho fatto il giro di ascolti del provino tra collaboratori, amici e colleghi, non ce n’era uno che fosse convinto della della scelta del dialetto o comunque della funzionalità del brano. Però diciamo che tu tutti questi scetticismi alla fine sono stati ribaltati quando poi il brano ha fatto da subito comunque dei numeri abbastanza importanti essendo un brano praticamente autoprodotto senza nessuna struttura forte alle spalle.
Quindi non lo so, secondo me alla fine è importante il messaggio che arriva, se arriva.
Per cui ti ripeto, la formula del voler ostentare il dialetto per una questione anche solo estetica, rimane in secondo piano se hai poi un contenuto forte da volere esprimere e se il dialetto diventa un mezzo e non solo un colore che vuoi dare al brano.

Io personalmente l’ho trovato molto “organico”, non mi è sembrata una forzatura anzi si vede quella cosa che dicevi tu della spontaneità nell’uso del dialetto…

Si ecco, non mi sono seduto e ho detto “ok, ora scrivo una canzone usando il dialetto”, non faccio paragoni però rispetto ad altri brani dove il dialetto magari viene usato solo come valore estetico…

Un po’ a voler sottolineare che uno ha quell’origine e ce lo vuole mettere per forza…

Si esatto, invece a me serviva solo per diciamo rendere la narrazione e dare un valore aggiunto quindi rendere ancora più forti quelle atmosfere.

Qual è lo scoglio maggiore tra scrivere per gli altri e scrivere per sè?

Scrivere per me stesso è sempre stata una delle cose più difficili. Ora non so se dipende anche dal lavoro che faccio come autore, però se arriva un artista domani e mi dice “Davide devo scrivere, devo arrangiare o produrre questo pezzo” per me non dico che sia facile, però ecco riesco a farlo avendo una visione esterna del pezzo non avendolo scritto io e quindi mi ci metto e faccio il mio lavoro
Quando invece mi approccio alle cose che scrivo pensandole per me, mi blocco totalmente infatti in questi brani mi sono affiancato con Paolo Caruccio che è un bravissimo produttore che ha trovato le sonorità giuste e il vestito da dare a queste canzoni.
Poi io sono sempre del parere che la musica non vada mai assolutamente fatta da soli, perché il bello del comporre qualcosa è quello di avere punti di vista diversi che tu nel momento in cui scrivi non puoi avere: non hai mai una visione universale del brano, di quello che stai facendo, quindi c’è sempre qualche sfumatura, qualcosa che ti sfugge.
Nel mio caso poi ho trovato sempre molto più difficile lavorare su cose mie perché deve esserci una componente molto molto intima e personale. Non è come quando scrivo per gli altri che magari semplicemente mi ritrovo con persone davanti con delle idee e io le butto giù o li aiuto a ricomporre il puzzle, con me è un processo molto più lento e che non riesco a guardare dall’esterno.

Ti sei mai pentito di aver scritto per qualcuno o quanto meno di aver scritto una certa canzone per qualcuno e aver pensato poi che per qualunque motivo sarebbe stata meglio cantata da altri o che avresti potuto tenerla per te?

Facendo questo lavoro corri spesso il rischio, anzi quasi sempre, che qualche tuo brano possa in qualche modo essere stravolto perché poi tu alla fine consegni il provino al discografico, all’artista o all’editore che in qualche modo rivede il tutto e lo impacchetta anche in base al progetto discografico che si sta portando avanti. Deve comunque passare per le mani di un produttore che renda omogeneo tutto il lavoro.
Però ti dirò la verità, per fortuna in questi anni di lavoro come autore posso dire di non essermi mai pentito di nessuna uscita discografica, non ho mai nemmeno scritto qualcosa che non rispecchiasse in qualche modo la mia visione di musica, perché magari alle volte purtroppo capita anche di dover scrivere delle cose che sono totalmente lontane dal tuo modo di fare e di concepire musica.

Scrivi, suoni, produci…qual è l’aspetto che ti da maggior soddisfazione?

In realtà vado vado a periodi, tipo quest’anno mi sono divertito molto di più a produrre. Ho lavorato alle preproduzioni del rischio di Giorgieness ed era anche una cosa che non avevo ancora esplorato come aspetto del mio lavoro, perché avevo sempre solo scritto affiancato da qualche produttore quindi lavoravo solo su testi e melodie. Non mi ero mai occupato da solo della musica e degli arrangiamenti, nell’ultimo periodo invece l’ho fatto e credo mi sia riuscito anche abbastanza bene.
Poi c’è il periodo che magari voglio solo scrivere e altri, che sono forse i più produttivi, in cui decido di non fare assolutamente nulla perché credo che poi l’ozio sia una parte fondamentale.

Anche per ricaricarsi immagino perchè mentre scrivi la testa sia concentrata solo su quello mentre se non fai niente hai più modo di pensare…

Si quando non lo fai credi di non star facendo nulla e ti senti pure malissimo, però in realtà stai incubando cose, stai anche inconsciamente raccogliendo idee e poi butti tutto giù all’improvviso.

Mi hai già anticipato che ci saranno altri brani sempre su questo progetto di recupero di materiale, quindi l’ultima cosa che ti chiedo è se c’è già in programma un album e quali sono i tuoi progetti per il prossimo futuro?

Di sicuro uscirà un disco, spero entro il 2021 anche perché ho intenzione di portarlo fuori dal vivo, Covid permettendo. Però sì, di certo non vedo l’ora di andare a suonare e di portare queste canzoni su un palco perché è una cosa che non faccio da un bel po’ e inizia a mancarmi.


ali

Nato a Sesto San Giovanni ma con sangue 100% "made in sud" nella settimana in cui primeggiava in classifica "Carletto" di Corrado. Suonava benino il pianoforte, ora malissimo la chitarra Cresciuto a Battisti, Battiato e Renato Zero, sviluppa una passione per i cantautori che ancora lo accompagna. Al liceo scopre il punk e lo ska e abbandona un'adolescenza tamarra, il passaggio al rock è una normale evoluzione. Spotify gli spalanca le porte dell'Indie, parola che in ogni caso odia.

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