Abbiamo fatto qualche domanda a The Blind Monkeys, rock band milanese che lo scorso 7 agosto ha pubblicato Argini, il suo primo album.
Nonostante il nome The Blind Monkeys e anche il titolo di un brano (Prisoner) cantate in italiano, avete mai pensato o provato a fare qualcosa in inglese?
Ci è passato per la testa, ma per ora scrivere inglese non è tra le nostre priorità. La scelta dell’italiano viene da una precisa scelta stilistica.
Al primissimo ascolto mi avete ricordato i vecchi Timoria, è una band che appartiene alla vostra cultura musicale? Quali sono i vostri riferimenti musicali italiani e stranieri?
Conosciamo certamente i Timoria, ma non possiamo dire che sia una band che appartenga alla nostra cultura musicale.
Tra gli artisti di riferimento certamente indicheremmo Pink Floyd, Led Zeppelin e mille altre band anglosassoni che ispirano il nostro sound, per i testi di certo Tenco e prog anni ’70 italiano, primo fa tutti il Banco del mutuo Soccorso.
Non può mancare poi la radio e spotify, li accendi e ogni volta è uno spunto diverso: da i grandi del pop mondiale contemporaneo a Vasco.
Avete sonorità abbastanza atipiche per la scena italiana ma che ultimamente a livello internazionale stanno tornando “di moda”, c’è qualche artista contemporaneo che vi piace in particolar modo?
È forse strano da dirsi, ma per la musica abbiamo ascoltato noi stessi, non abbiamo cercato di inserirci in un filone o qualcosa del genere. Scalpore aveva fatto l’arrivo dei Greta Van Fleet, una gran risorsa e forse un inizio.
A differenza di tanti artisti che vanno per la maggiore ultimamente il vostro suono sembra piuttosto asciutto, senza particolari artifici da studio e facilmente riproducibile live…è così? Pensate già al live quando siete in studio?
Per noi l’esecuzione live ha un’importanza elevatissima. Ci siamo concentrati su una produzione in studio che potesse adattarsi alle necessità di registrazione e ascolto.
Il concerto e l’ascolto da registrazione sono due momenti completamente diversi e necessitano di una resa, di una struttura e di dinamiche differenti. Nonostante questo, di sicuro, di comune accordo con Luca Liviero, il nostro produttore, abbiamo cercato di estrapolare e fermare per sempre su nastro il sound che ci contraddistingue dal vivo.
C’è uno spazio relativamente ampio all’interno dei brani per le chitarre con il testo che gli lascia spazio un po’ come se fosse un altro modo di esprimere il messaggio del brano, cosa viene prima a livello di scrittura? È più il testo a essere modificato in funzione della musica o viceversa?
Non si può dire che uno venga prima dell’altro in termini di importanza. Abbiamo più che altro cercato un equilibrio, un completamento. Testo e musica devono lavorare uno per l’altro per esprimere al meglio il concetto.
In fase di composizione diciamo che idee in prosa, racconto musicale e formazione del testo continuano ad altalenarsi per poter contribuire alla creazione di ciò che cerchiamo di esprimere.
Tornando sul tema live, quanto è mancata ad una band rock la dimensione dal vivo? Come vivete la situazione attuale?
La musica dal vivo è mancata di sicuro, anche se la lontananza da essa ci ha permesso di coglierne altri aspetti e lavorare su di noi singolarmente sia sul suono che sulla dimensione band.
La situazione attuale è forse meglio di quanto prospettavamo mesi fa.
L’album è piuttosto organico, dovessi dargli una collocazione spaziale lo ambienterei in un deserto americano, tipo far west. Vi ci ritrovate? Avevate in mente un ambientazione generale quando avete scritto i brani e se si quale?
Le immagini ambientali ci hanno aiutato nell’ispirazione per la stesura dei brani e del tessuto che crea l’intero album, creando una base per i racconti. Ogni brano ha la sua ispirazione, si va dal Far West americano ed ispirazioni orientali di Prisoner , al Mar Mediterraneo di Argini, dalle campagne francesi di Bianca, alle mura domestiche per Teco.
Non era quindi presente un’ambientazione generale, il filo conduttore risiede altrove.
Ho letto che avete fatto tutto voi, dalla scrittura ai suoni fino anche alla parte grafica. Quale parte del lavoro è stata la più complicata e quale la più divertente?
All’inizio la parte più complicata è stata quella grafica, perché, pur avendo i concetti in testa, non disponevamo degli strumenti tecnologici e dell’esperienza necessaria.
Poi, con decine di tentativi, abbiamo imparato a liberarci dai preconcetti e ci siamo divertiti molto.
A tal proposito abbiamo un paio di aneddoti simpatici: le scritte di Animale (singolo) e Argini sono state tracciate a mano su un foglio bianco con pittura o pennarello e poi ritagliate sulla copertina, ci piaceva questo fatto di crearci un font estremamente naturale e imperfetto. Una scritta imperfetta su un rustico tavolo di legno consumato, cosa di più umano?
Bianca invece ha una storia diversa: lavoravamo a una composizione naturale che portasse al legame con la terra, che significa radici. Ci abbiamo lavorato per un paio di mesi, con diversi tentativi, ma cercavamo ancora più calore e più sentimento.
È saltata fuori una delle prime foto scattate da Paolo, il chitarrista, con il suo primo smartphone. Inutile a dirlo la definizione e i colori dell’immagine erano scadenti, ma il contesto perfetto…e pensare che senza l’insistenza di Fede sarebbe rimasto solo un esempio…

Nato a Sesto San Giovanni ma con sangue 100% “made in sud” nella settimana in cui primeggiava in classifica “Carletto” di Corrado. Suonava benino il pianoforte, ora malissimo la chitarra
Cresciuto a Battisti, Battiato e Renato Zero, sviluppa una passione per i cantautori che ancora lo accompagna.
Al liceo scopre il punk e lo ska e abbandona un’adolescenza tamarra, il passaggio al rock è una normale evoluzione. Spotify gli spalanca le porte dell’Indie, parola che in ogni caso odia.